L’istante presente – Guillaume Musso

SINTESI DEL LIBRO:
Boston, primavera 1991
Il primo sabato di giugno, mio padre si presentò a casa mia all’improvviso,
alle dieci del maino in punto. Portava con sé del pane di Genova e dei
cannoli al limone che sua moglie aveva preparato per me.
“Sai cosa, Arthur? Potremmo passare la giornata insieme,” propose
azionando la macchinea del caè espresso come se fosse a casa propria.
Non lo vedevo da Natale. Seduto al tavolo della cucina, contemplavo il
mio riflesso sulla cromatura del tostapane. Avevo la barba lunga, i capelli
incolti, lo sguardo scavato dalle occhiaie, dalla mancanza di sonno e
dall’abuso di Apple Martini. Indossavo una vecchia t-shirt dei Blue Öyster
Cult risalente agli anni del liceo e pantaloni Bart Simpson slavati. La sera
prima, dopo quarantoo ore di guardia, avevo ingollato qualche bicchiere
di troppo allo Zanzi Bar in compagnia di Veronika Jelenski, l’infermiera
più sexy e socievole del Massachuses General Hospital.
La bella polacca aveva trascorso con me parte della noe, ma aveva
avuto la buona idea di eclissarsi due ore prima, portandosi via la sua
bustina di hashish e le cartine, in modo da evitare uno scontro fastidioso
con mio padre, uno dei pezzi grossi del reparto di chirurgia dell’ospedale
in cui entrambi lavoravamo.
“Un doppio espresso, la migliore frustata per cominciare la giornata,”
dichiarò Frank Costello posandomi davanti una tazza di caè ristreo.
Poi aprì le finestre per aerare la stanza, nella quale persisteva un forte
odore di fumo, astenendosi però da qualsiasi commento. Addentai una
tartina, studiandolo con la coda dell’occhio. Aveva festeggiato i cinquanta
due mesi prima, anche se, per via dei capelli bianchi e delle rughe che gli
solcavano il viso, dimostrava dieci o quindici anni di più. Con ciò, aveva
mantenuto un bell’aspeo, trai regolari e uno sguardo azzurro limpido
alla Paul Newman. el maino aveva rinunciato agli abiti di marca e ai
mocassini su misura e aveva optato per un paio di pantaloni kaki, un
maglione liso da camionista e scarpe pesanti da cantiere, di cuoio pesante.
“Le canne e le esche sono nel pick-up,” annunciò, inghioendo il suo
caè nero. “Se partiamo subito, saremo al faro prima di mezzogiorno.
Mangeremo qualcosa in frea e potremo cacciare le orate per l’intero
pomeriggio. Se la pesca è buona, al ritorno ci fermeremo qui e cucineremo
il pesce alla griglia con pomodori, aglio e olio d’oliva.”
Mi parlava come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Il che suonava un
po’ falso ma non sgradevole. Mentre sorseggiavo il caè, mi chiedevo da
dove gli fosse venuta quella voglia improvvisa di passare del tempo con
me.
Nel corso degli ultimi anni i nostri rapporti erano stati pressoché
inesistenti. Stavo per compiere venticinque anni. Avevo un fratello e una
sorella più grandi di me. Con il benevolo accordo di mio padre, mio
fratello e mia sorella avevano assunto in gestione l’azienda di famiglia
fondata dal nonno – una modesta agenzia di pubblicità a Manhaan – e
l’avevano faa prosperare a sufficienza per sperare di rivenderla nelle
seimane a venire a un grande gruppo del seore delle comunicazioni.
Io mi ero sempre tenuto lontano dagli affari. Facevo sì parte della
famiglia, ma “da lontano”, un po’ come un vecchio zio bohémien andato a
vivere all’estero che si rincontra con piacere per festeggiare a tavola il
giorno del Ringraziamento. In verità, appena mi si era presentata
l’occasione, ero andato a studiare il più lontano possibile da Boston: un
pre-med a Duke, North Carolina, quaro anni di corso di medicina a
Berkeley e un anno di specializzazione a Chicago. Ero rientrato a Boston
solo da pochi mesi, giusto per frequentarvi il secondo anno di
specializzazione in medicina d’urgenza. Sgobbavo quasi oanta ore alla
seimana, ma il lavoro mi piaceva e mi piacevano le scariche di adrenalina
che mi procurava. Mi piacevano le persone, mi piaceva lavorare alle
emergenze e misurarmi con la realtà quotidiana, con quanto poteva esibire
di più scioccante. Il resto del tempo, lo passavo portando a spasso il mio
spleen da un bar all’altro del North End, fumavo erba e scopavo ragazze
un po’ schizzate del genere di Veronika Jelenski.
Per molto tempo mio padre disapprovò il mio stile di vita, ma io non gli
avevo lasciato molti margini per avanzare recriminazioni. Mi ero
autofinanziato gli studi di medicina senza mai chiedergli un soldo. A
dicioo anni, dopo la morte di mia madre, ebbi il coraggio di lasciare la
casa di famiglia e di andarmene senza aspearmi più niente da lui. esto
mio allontanamento non sembrò pesargli molto. Si risposò con una delle
sue amanti, una donna affascinante e intelligente che aveva il grande
merito di sopportarlo. Li andavo a trovare due o tre volte l’anno, una
frequenza che pareva andar bene a tui quanti.
Per cui, quel maino, il mio stupore fu solo un po’ più forte. Come un
diavolo balzato fuori da una scatola, mio padre ricompariva nella mia vita
prendendomi per la manica e proponendomi un percorso di
riconciliazione che proprio non mi aspeavo.
“Allora, ti va o no questa partita di pesca?” insistee Frank Costello,
incapace di mascherare più a lungo la sua irritazione davanti al mio
silenzio.
“D’accordo, papà. Lasciami solo il tempo di farmi una doccia e di
cambiarmi.”
Soddisfao, estrasse un paccheo di sigaree dalla tasca e se ne accese
una con il vecchio accendino placcato d’argento che gli avevo sempre
visto usare.
Non riuscii a traenere un moto di stupore:
“Dopo l’ablazione del cancro alla gola, pensavo avessi smesso…”
Il suo sguardo d’acciaio mi trafisse da parte a parte.
“Ti aspeo nel pick-up,” rispose alzandosi dalla sedia ed esalando una
lunga boccata di fumo blu.
2.
Il tragio da Boston fino alla punta est di Cape Cod durò meno di un’ora e
mezzo. Era una bella maina di fine primavera. Il cielo era limpido e
cristallino, il sole infiammava il parabrezza, distillando particelle dorate
che fluuavano sul cruscoo. Fedele alle abitudini, mio padre non si curò
di fare conversazione, ma il silenzio non pesava affao. Durante il
weekend, gli piaceva guidare il pick-up Chevrolet ascoltando sempre le
stesse cassee, dopo averle introdoe nel giranastri dell’autoradio: un best
di Frank Sinatra, un concerto di Dean Martin e un oscuro album country
registrato dagli Everly Brothers a fine carriera. Incollato sul vetro
posteriore, un autoadesivo pubblicitario promuoveva la candidatura di Ted
Kennedy per la campagna senatoriale del 1970. Ogni tanto mio padre
amava farsi passare per uno zotico, ma era uno dei chirurghi più in vista
di Boston e, in particolare, deteneva quote considerevoli in un’azienda che
valeva parecchie decine di milioni di dollari. Negli affari, tui coloro che si
erano lasciati ingannare dal personaggio di bifolco che interpretava ne
avevano fao le spese.
Araversammo Segamore Bridge, percorremmo ancora una quarantina
di chilometri, ci fermammo al Sam’s Seafood per comprare dei lobster
rolls,
1
patatine frie e una confezione di boiglie di birra chiara.
Era da poco passato mezzogiorno quando il pick-up imboccò un
sentiero sassoso che conduceva alla punta nord di Winchester Bay.
Si traava di un posto selvaggio, avvolto dall’oceano e dalle rocce, e
quasi costantemente bauto dal vento. Lì, su un terreno isolato e
delimitato dalla scogliera, spiccava in altezza 24 Winds Lighthouse, il faro
dei 24 Venti.
La vecchia torre di segnalazione aveva una struura di forma
oagonale, tua in legno, e si ergeva per una dozzina di metri. Era
affiancata da una casa costruita con tavole dipinte di bianco e coperta da
un teo a punta, con tegole di ardesia. Nei giorni di bel tempo era una
gradevole casa da vacanza, ma bastava che il tempo cambiasse, che il cielo
si coprisse o che scendesse la sera perché al paesaggio da cartolina
subentrasse uno scenario cupo e onirico degno di un quadro di Albert
Pinkham Ryder. La casa ci apparteneva da tre generazioni. Mio nonno,
Sullivan Costello, l’aveva comprata nel 1954 dalla vedova di un ingegnere
aeronautico che se l’era aggiudicata a un’asta organizzata dal governo
americano nel 1947. ell’anno, per mancanza di fondi, lo stato federale si era liberato di
parecchie centinaia di siti privi d’importanza strategica per il paese.
Proprio come 24 Winds Lighthouse, divenuto obsoleto dopo l’edificazione
di un faro più moderno sulla collina di Langford, quindici chilometri più a
sud.
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