Le stelle fredde – Guido Piovene

SINTESI DEL LIBRO:
Il medico mi chiese:
“Peggio dal destro o dal sinistro?”
“Non saprei fare distinzioni tra un orecchio e l’altro.”
“Quando te ne sei reso conto?”
“Da poco, ma mi sono accorto che durava da un pezzo. L’hanno
notato gli altri prima di me.”
“Per ogni genere di suono?”
“Sì, ma non egualmente. Qualcuno penetra di più, qualcuno
meno, e le voci meno di tutti. Qualche voce poi fa eccezione, per
esempio la tua, e mi arriva abbastanza chiara. Con quasi tutti gli altri
ho invece l’impressione che parlino bisbigliando. Mi sforzo di
afferrare quello che dicono, ma ci riesco solamente a intervalli.
Come se le loro parole mi fossero portate da un vento che va e
viene. E non posso sempre interromperli per dire: non capisco, parla
più forte. Così taccio quando mi chiedono una risposta o rispondo
stonato. Soprattutto l’inizio dei discorsi mi sfugge. Mi arriva velato,
confuso. Poi spesso l’orecchio si abitua, ma è sempre troppo tardi.
La gente mette sempre nelle prime parole, e non ripete più, qualche
cosa di necessario per comprendere tutto quello che viene dopo. Il
nome, per esempio, della persona di cui parla. Cerco d’indovinarlo, e
sbaglio. Ida diceva anche...”
“Perché, ‘diceva’?”
“È lo stesso. Diceva che fingevo di non capire per darmi il tempo
di cercare una scappatoia. E non è vero, ho proprio la sensazione
che mi parlino da lontano, in un ronzio che cala e cresce. Ida diceva
che fingevo, ma spesso cambiava parere, e sosteneva invece che
grido come i sordi...”
“Non mi sembra.”
“Mi interrompeva dicendo: parla piano, non siamo sordi come te.
E quando io le dicevo: parla più forte, si arrabbiava: se non ci senti,
va’ a farti vedere da un medico. Lei si ostinava a bisbigliare, finché
mi arrabbiavo anch’io e tacevamo tutti e due.”
“Ma! Vediamo. Ripeti tutto quello che dico.”
Era anche un amico e il mio caso l’interessava. Mi esaminò con
cura. Mi parlò forte e sottovoce, sempre più sottovoce, in faccia e
dietro le mie spalle, da vicino e dall’angolo più lontano
dell’ambulatorio e perfino col viso rivolto verso la parete. Mi
sembrava un uccello che mi saltasse intorno emettendo i suoi pigolii.
Io ripetevo le sue frasi. Finalmente, concluse:
“Io non ti trovo niente. Il tuo udito, per me, è normale. Io credo
che tu sia soltanto distratto.”
“Non sarei venuto da te. Come si spiega allora che non ci sento
quando sto attento e desidero di sentire, magari per evitare una lite?
E quel ronzio che cresce nei momenti meno opportuni? O la
sensazione di avere, d’un tratto, gli orecchi turati?”
“Eppure...”
“Forse tu hai un timbro più adatto al mio orecchio. Ci sono suoni
che anche i pesci...”
“Andiamo.”
“Allora, mi convinco che la natura offre risorse inaspettate. Sa che
non mi piace rispondere.”
“Rispondere a che cosa?”
“A niente.”
“E perché?”
“Non so farlo. Gli altri hanno argomenti, e io no.”
“Non vorrai dirmi che ti senti il più debole.”
“Se taccio, no. Se parlo.”
“E la condizione degli altri?”
“Diversa. Ida...”
“È successo qualcosa?”
“Niente. Ida era un caso tipico. Un campione degli altri, come li
chiami tu. Un essere parlante. Umana, amorosa, sincera. Uno dei
personaggi buoni di Shakespeare, di Omero, dei tragici greci.
Lasciamo stare la bontà, è secondaria. Diciamo un personaggio
qualsiasi, di Shakespeare, di Omero, dei tragici greci. Non si dice
che hanno rappresentato tutte le passioni umane e che ognuno di
noi vi trova parte di se stesso?”
“È così.”
“Davvero? Io ne dubito. Allora, si potrebbe parlare con loro.
Figurati di doverlo fare. Rispondi con sincerità, se puoi, a uno di quei
personaggi che portano, a quanto si dice, l’eterno dell’umano,
parlanti e nati per parlare. Trova le parole per dire a Cordelia che il
suo amore per il padre è stolto. Soprattutto, se sei capace, offri a
Cordelia qualche cosa che possa accettare al suo posto. Ti faresti
disprezzare, e basta. Trova un argomento da opporre a Ettore che
va alla morte, ad Achille quando lo ammazza, a Oreste che invoca il
castigo. Discuti con queste eruzioni implacabili d’impulsi ottusi, di
necessità frenetiche, di pietà micidiali, che salgono in un flusso
continuo dal ventre al cervello, ma qui prendono voce e diventano
idee, giudizi, stupende passioni morali, convinzioni abbaglianti.
Preferiresti anche tu essere sordo per poter essere anche muto...”
“Ma non vedo più gli Ettori, le Cordelie, gli Oresti...”
“Sì e no. Vedo molto di peggio. Vedo le loro larve. Quello era il
mondo umano, il grande mondo umano che non c’è più. Sparito
come Urano, come Saturno, come i giganti e gli dei mitologici, come
i centauri e le sirene. Ne restano i simulacri, esseri umani finti ma
condannati a credere che esista ancora. Sorpresi dall’avvento delle
stelle fredde, inaspriti dal gelo in cui stanno morendo i loro ultimi
avanzi. Hai mai visto una mosca quando ronza furente perché il
freddo la fa morire? Lo stesso loro, i caratteri, i personaggi, i morali, i
fanatici, i missionari, i predicanti, i passionali, i credenti, i sinceri.
Orribilmente falsi. Orribilmente ebeti. Orribilmente spettri.
Disgustosamente parlanti. Mi ripugnano e io ripugno a loro. Che
risposta puoi dare? Non esiste risposta. È come parlare con esseri di
un altro tempo proiettati dagli astri. Ma la cosa peggiore è che li
portiamo anche dentro. Anche noi, estinzioni furenti. Ci fanno male
perché soffrono molto, dentro le nostre viscere, negli spasimi della
fine. La gelosia, l’ambizione, l’invidia, vuote, secche e rabbiose. Le
vere Arpie, sempre più magre. Ma con esse anche i grandi amori, le
passioni morali, le certezze che ci trascendono, i grandi sacrifici, la
ex bellezza del mondo. Spaventosi in quelli che parlano, dolorosi in
quelli che tacciono. Figure gelide, irreali, stravolte, bestiali,
mostruose, sepolte nelle viscere, perché non riescono più a salire al
cervello...
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