Perché i tedeschi? Perché gli ebrei? Uguaglianza, invidia e odio razziale 1800-1933 – Götz Aly

SINTESI DEL LIBRO:
Perché i tedeschi? Perché gli ebrei?
Perché i tedeschi hanno ucciso sei milioni di uomini, donne e bambini per
la sola ragione che erano ebrei? Com’è stato possibile? Come ha potuto un
popolo civile e culturalmente cosí ricco e produttivo liberare una simile
energia criminosa? Questa è la domanda delle domande a cui i tedeschi
devono rispondere se vogliono capire la loro storia e cercare di spiegare a se
stessi e ai figli le proprie vicende famigliari.
Gli ebrei emigrati in Germania nel XIX secolo dai vicini Paesi dell’Est
europeo erano felici di aver attraversato i confini tedeschi. Sapevano
apprezzare la certezza del diritto, la libertà economica e le opportunità di
formazione offerte ai loro figli dalla Prussia dopo il 1812 e poi dall’impero
germanico. I pogrom, diffusi nei Paesi dell’Europa orientale e sudorientale
fino al XX secolo, in Germania erano ormai un fenomeno sconosciuto. I Paesi
tedeschi, soprattutto la Prussia, garantivano agli ebrei, nonostante gli ostacoli,
buone opportunità di dare impulso alla loro autoemancipazione.
Paradossalmente, tuttavia, il grado assai elevato di libertà consentita agli
ebrei ispirò una particolare forma di antisemitismo.
Nel 1910 gli ebrei che vivevano in Germania erano piú del doppio di
quelli residenti in Inghilterra e cinque volte tanto gli ebrei francesi. Nel 1919,
quando la Germania dovette cedere la provincia di Poznań alla neonata
Polonia, gli ebrei tedeschi che vi risiedevano fuggirono precipitosamente
verso Berlino «in preda a un terrore patologico dei polacchi, i nuovi signori
del Paese»
1
. Nel 1937 Siegfried Lichtenstaedter, alto funzionario bavarese in
pensione dal 1932 e scrittore dilettante (tra i molti che hanno riflettuto una
vita intera sulla propria esistenza di tedeschi ed ebrei), notava come in
Germania, intorno al 1900, se qualcuno avesse predetto «che dopo il 1933
migliaia di noi sarebbero fuggiti in Palestina per non morire, sarebbe stato
preso per matto»
2
. Un dato di fatto che non consente di dare risposte banali a
una doppia domanda cosí inquietante su cui la storia è chiamata a far luce:
perché i tedeschi? Perché gli ebrei?
Oggi in Germania poniamo le vittime al centro delle nostre analisi,
incoraggiamo all’identificazione, come dimostrano i tanti monumenti, i
musei, gli studi, le sollecitazioni letterarie e gli sforzi pedagogici.
Parallelamente stilizziamo i carnefici riducendoli a meri esecutori alieni.
Amiamo definirli «i nazionalsocialisti», «gli sgherri nazisti», con un distacco
che spesso ignora la propria storia famigliare, o parliamo di «regime nazista»,
di «fanatici ideologi della razza», della «paranoica visione del mondo degli
antisemiti razzisti» e del «movimento völkisch». Questa scelta lessicale non
consente di fare chiarezza. Nelle pagine seguenti cercherò di mostrare cosa
nascondevano storicamente simili concetti.
A mio parere anche diverse teorie sul fascismo, sulle dittature in generale
o sulla logica dell’inclusione e dell’esclusione servono a recintare e tenere
l’Olocausto a debita distanza dai posteri. Questi concetti in fondo sbiaditi
nascondono il genocidio razziale dietro una nebbia di teorie marxiste, ne
minimizzano la portata considerandolo una ricaduta nella barbarie primitiva o
scaricano il peso della colpa sul Sonderweg, il particolare percorso storico
tedesco, su una determinata e in apparenza riconoscibile generazione di
carnefici, su una certa ideologia o una propensione generalizzata per la forma
di Stato totalitaria. Pur se provvisti di una logica intrinseca, questi giochi
mentali non spiegano in modo esauriente le tappe della storia tedesca che
hanno portato al genocidio. A simili approcci solo in apparenza chiarificatori
si può replicare, citando Goethe, che la categoria dei teorici «vorrebbe
volentieri sbarazzarsi dei fenomeni e al loro posto [inserire] immagini,
concetti o anche semplicemente parole»
3
. Una parola nuova non sempre
svela una verità nuova.
Chi desideri imparare qualcosa dal genocidio degli ebrei d’Europa
dovrebbe prima di tutto smettere di scindere la preistoria dell’Olocausto in
linee di sviluppo «buone» e «cattive» con l’aiuto di uno schema bipolare. Gli
ottimisti della storia amano certe rappresentazioni funzionali. Pensano che il
presente sia l’apogeo della civiltà e cullano il loro pubblico nell’illusione che
quanto oggi ci pare giusto o sbagliato fosse altrettanto giusto o sbagliato in
passato. A livello analitico questa idea della storia è fuorviante: crea distanza
e non spiega niente.
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