La vendetta del guerriero – Michelle Willingham

SINTESI DEL LIBRO:
«Aileen! C’è un morto sul prato!» Lorcan, agitatissimo, si
precipitò nella casupola di pietre.
Un morto? Aileen Ó Duinne lasciò cadere le teste d’aglio raccolte
quella mattina e si alzò di scatto in piedi. «Sei sicuro che lo sia?»
domandò, animata dalla vaga speranza che l’uomo fosse ancora in
vita.
Il ragazzo alzò le spalle. «Non si muove ed è sporco di sangue
dappertutto.»
Quindi era probabile che fosse davvero deceduto. Ma se invece
avesse respirato ancora, forse Aileen lo avrebbe potuto salvare.
«Dove l’hai visto?»
«Se volete ve lo mostro.» Lorcan rifletté per qualche istante,
evidentemente preoccupato. «Mi metterò nei pasticci riferendovelo?
In ogni caso è già morto.»
Lei scosse la testa. «Non ti preoccupare. Hai fatto bene a
rivolgerti a me.»
Ti è proibito, le rammentò la voce della ragione. Se il capoclan
Seamus Ó Duinne l’avesse scoperta, l’avrebbe di certo punita: non
le era più permesso curare malati e feriti.
Ma in quel momento non c’era tempo per porsi simili problemi.
Belisama, fai che sia vivo, pregò tra sé Aileen.
Lorcan la seguì nel retro della piccola dimora, dove lei riempì una
cesta di bende pulite, aggiungendo parecchie manciate di consolida
maggiore e di achillea. Poi si voltò e gli disse: «Portami da lui».
Il ragazzo partì di corsa verso i pascoli a settentrione. Aileen si
affrettò dietro di lui, superando le casupole dei vicini. Un contadino
smise di lavorare nel campo e la squadrò con disapprovazione; lei si
limitò a distogliere lo sguardo.
Non preoccuparti di quello che pensa, raccomandò a se stessa.
Tu sai di non avere fatto niente di male. Nonostante questa intima
certezza, sentiva le guance ardere per l’umiliazione. I membri del
clan non avevano dimenticato la sfortuna che l’aveva perseguitata
negli ultimi tempi.
Aileen proseguì in fretta, l’orlo della gonna inumidito dalla rugiada
mattutina. Lorcan procedeva davanti a lei, indicando il pendio
sottovento della collina.
L’erba alta ondeggiava al vento, tranne che nel punto in cui era
schiacciata dal peso dell’uomo, che giaceva a terra prono; la
posizione scomposta delle membra suggeriva una caduta da
cavallo. Gli steli attorno a lui erano chiazzati di sangue. Aileen lo
toccò con mani tremanti.
Udì un basso gemito. Per i santi del Paradiso, era vivo!
Dunque gli dei le accordavano una nuova possibilità di
dimostrare le proprie capacità, e lei non li avrebbe delusi.
«Va’ a chiamare Riordan» ordinò a Lorcan. «Ho bisogno di aiuto
per trasportare il ferito. Digli di venire con un cavallo.»
Non lo avrebbe lasciato morire. I pregiudizi degli altri non
contavano nulla: Aileen lo avrebbe guarito.
Dopo che Lorcan si fu allontanato, rigirò l’uomo sul dorso. Il viso
gonfio le fece fermare il cuore in petto. Nonostante le lesioni, infatti,
lo avrebbe riconosciuto tra mille: era Connor MacEgan. Aileen non
aveva mai pensato di rivederlo in vita sua.
La paura mista a un’assurda nostalgia si impadronì di lei,
annientando la sua consueta compostezza. Tra tutti gli uomini che il
fato poteva mettere sulla sua strada, perché proprio lui?
Il volto di Connor, simile a quello degli angeli del Signore, turbava
i suoi sogni sin dall’adolescenza. Aileen non aveva mai dimenticato
le labbra ben disegnate, il naso diritto e la mascella forte che
rivelavano le origini vichinghe. Ora il sangue stillava da un taglio
sulla tempia e incrostava i capelli color oro scuro.
Un tempo lei lo aveva amato. Al ricordo provò una profonda fitta
di pena, ma subito la represse. Con mani tremanti slacciò la tunica.
Tagliò poi col coltello la lana grigia e mise a nudo il muscoloso petto
da guerriero. Era stato pugnalato parecchie volte, ma le ferite erano
superficiali. Sembravano quasi le conseguenze di una tortura…
Aileen scacciò l’orribile idea. Da quanto tempo Connor giaceva
nel prato? Notando il pallore, si domandò quanto sangue avesse
perso. Forse era davvero troppo tardi per soccorrerlo.
Non pensarci. Gli pulì il petto con un panno, poi si dedicò alla
testa, premendo sulla tempia per arrestare il flusso di sangue. Fu
allora che si accorse del gonfiore alle mani e ai polsi. Erano
evidentemente fratturati e occorrevano stecche per immobilizzarli.
Non deve morire. Era necessario portarlo alla capanna della
guarigione per curare le fratture e cucire i tagli più profondi, ma non
poteva fare tutto da sola. Dov’era Riordan?
All’orizzonte non appariva nessuno. Aileen non poteva contare
sull’aiuto di qualcun altro, poiché quasi tutti la consideravano
maledetta.
Estrasse dalla cesta molte teste d’aglio e le premette con
delicatezza contro il petto di Connor. Poi fasciò strette le ferite e
pregò che i bulbi tenessero lontani i demoni della febbre.
Finalmente, con un certo sollievo, sentì uno scalpitio di zoccoli
che si avvicinava. Fece un cenno con la mano a Riordan e lui
smontò di sella. Era un uomo robusto, abituato a lavorare nei campi,
e superava di una testa quasi tutti i compaesani. Aveva guance
rubizze e una folta chioma rosso fiamma.
Dall’espressione compiaciuta si capiva che era contento di
essere stato chiamato. Da quando Aileen era rimasta vedova,
trovava sempre pretesti per starle vicino; era l’unica persona su cui
lei potesse fare affidamento.
«È vivo?» s’informò subito.
«A mala pena. Mi occorre il vostro aiuto per portarlo alla
capanna.» Sollevò il busto di Connor e lo mise in posizione seduta.
Non appena Riordan lo ebbe riconosciuto, in lui la compassione
lasciò il posto alla rabbia e alla gelosia.
«Connor MacEgan» disse con amarezza. «Fareste meglio a
lasciarlo dov’è, quel bastardo.»
«Sono una guaritrice» ribatté lei. «Se il demonio in persona
avesse bisogno delle mie cure, gliele offrirei.»
Connor, in fondo, le faceva un effetto simile a quello del diavolo
stesso. Con lui, infatti, le era impossibile raggiungere quello stato di
calma e distacco che l’aiutavano nell’arte della guarigione. La sua
semplice presenza era sufficiente a innervosirla.
Riordan brontolò, ma l’aiutò lo stesso a sollevare il corpo inerte di
Connor e a sistemarlo in groppa al cavallo. Mentre camminavano
insieme verso il suo appezzamento di terreno, Aileen divenne
sempre più impaziente.
«Cosa l’avrà riportato da queste parti?» si domandò Riordan.
«Ero convinto che fosse tornato dalla sua famiglia.»
«Se sopravvivrà, glielo chiederete di persona.»
Lui si fece scuro in volto. «Lo sto aiutando solo per voi, Aileen.
Non ho nessun desiderio di rivolgergli la parola.»
Lei mascherò l’irritazione e incitò il cavallo a procedere più in
fretta. «Dobbiamo sbrigarci: deve sopravvivere.»
«Perché? Per i sentimenti che provate per lui?»
«Perché la sua morte rappresenterebbe la conferma che sono
maledetta. Non posso perdere un’altra persona. Se invece Connor
guarirà, forse Seamus mi permetterà di praticare ancora la mia
arte.»
«Nessuno sa che lo avete trovato» le fece notare lui.
«È stato Lorcan a vederlo per primo. Entro sera ne sarà
informato l’intero clan.» Su questo non aveva alcun dubbio. «Lo
avete rimandato a casa?»
«Sì.»
«Bene.» All’improvviso fu colta dal terrore all’idea che Connor
non si svegliasse più; non si era mosso neanche una volta durante
l’intero tragitto.
«Comunque questa storia non mi piace. Dovremmo piuttosto
portarlo da Seamus.»
Aileen non intendeva rinunciare a quella preziosa occasione, non
certo per la gelosia di Riordan. Gli posò una mano sulla spalla.
«Datevi pace. Andrà via di qui appena guarito.» Quel piccolo
contatto fisico accese una scintilla d’interesse negli occhi di Riordan,
e lei si pentì di quel gesto impulsivo.
Lui le strinse la mano e le lanciò un’occhiata languida. Aileen
rammentò a se stessa che scegliere come sposo un uomo forte e
affidabile come lui sarebbe stato assai assennato. Ormai da tempo
aveva rinunciato al sogno di incontrare un affascinante guerriero:
uomini come Connor MacEgan non si accorgevano nemmeno della
sua esistenza.
Poco dopo raggiunsero il suo piccolo terreno. Mentre passava tra
le piante dell’orto, Aileen rifletté sulle proprietà dei bulbi di giaggiolo
e dei fiori di tagete, in caso di infezione delle ferite. Dentro di sé
pregò sia il Dio cristiano sia le divinità degli antenati di concederle
aiuto.
«Portatelo nella capanna della guarigione» ordinò. La piccola
costruzione in pietra, eretta a pochi passi dalla sua dimora, era
destinata alla cura dei membri del clan feriti o ammalati.
Nel corso degli ultimi due mesi, neanche una persona si era
fidata abbastanza da farne uso. Aileen l’aveva tenuta sempre pulita
nella speranza che, un giorno o l’altro, qualcuno si rivolgesse a lei.
Ma in cuor suo temeva che il capoclan la costringesse a trasferirsi
altrove all’arrivo di una nuova guaritrice. Seamus non l’aveva mai
perdonata.
Provò un moto di amarezza. Alcune persone erano morte perché
troppo orgogliose o superstiziose per richiedere la sua assistenza.
Scostò la tenda di cuoio e si piegò sotto la matassa di lana
colorata destinata a tenere lontani gli spiriti maligni. All’interno
faceva fresco e aleggiava l’odore della terra umida. Riordan sistemò
il ferito su uno dei materassi imbottiti di morbida paglia. Anche se
Connor non aveva ancora ripreso i sensi, Aileen non abbandonava
le speranze di salvarlo.
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