La spada del destino – Andrzej Sapkowski

SINTESI DEL LIBRO:
L'uomo coperto di pustole scosse la testa. «Non verrà più fuori, vi
dico. Ormai è un'ora e un quarto che è là dentro. Sarà bell'e morto.»
I cittadini accalcati tra le rovine tacevano, gli occhi fissi sulla nera
buca ingombra di detriti che si apriva tra le macerie e conduceva al
sotterraneo. Un grassone in farsetto giallo spostò il peso da un piede
all'altro, si schiarì la voce e usò la berretta sgualcita per asciugarsi il
sudore dalle sopracciglia rade. «Aspettiamo un altro po'.»
Il pustoloso sbuffò. «Aspettare cosa? Laggiù nelle segrete c'è un
basilisco, l'avete dimenticato, capovillaggio? Basta entrarvi per
essere spacciati. Sono forse morti in pochi? Aspettare cosa,
dunque?»
«Ma avevamo un accordo, no?»
«L'accordo l'avevate con un vivo, capovillaggio», disse il
compagno del pustoloso, un gigante con indosso un grembiule di
cuoio da macellaio. «Ma ora è crepato, è chiaro come il sole. Si
sapeva fin da subito che sarebbe morto, come gli altri che lo hanno
preceduto. È entrato senza portare con sé neppure uno specchio,
solo la spada. Ed è impossibile uccidere un basilisco senza
specchio, lo sanno tutti.»
«Tutto denaro risparmiato, capovillaggio», aggiunse il pustoloso.
«Non dovrete pagare nessuno per la pelle del basilisco. Ora andate
tranquillamente a casa. Al cavallo e alle cose del mago pensiamo
noi, sarebbe un peccato se andassero perduti.»
«Già. Una giumenta robusta e bisacce belle piene. Vediamo un
po' che cosa c'è dentro», fece il macellaio.
«Ma come? Che fate?»
«Zitto, capovillaggio, e non v'immischiate, se non volete guai», lo
ammonì l'uomo coperto di pustole.
«Una giumenta robusta», ripeté il compagno.
«Lascia in pace quel cavallo, dolcezza.»
Il macellaio si girò lentamente verso lo straniero che era appena
sgusciato fuori di una breccia nel muro, alle spalle della gente riunita
intorno all'ingresso delle segrete. Aveva folti capelli ricci, una tunica
marrone sopra una giubba imbottita e alti stivali da cavaliere. E
nessun'arma.
«Allontanati dal cavallo», ripeté con un sorriso sarcastico. «Ma
come? Si tratta del cavallo, delle bisacce e delle cose di un altro, e
tu osi posarci sopra i tuoi occhi cisposi, allungare la tua manaccia
rognosa? È così che si fa?»
Il pustoloso guardò il macellaio e infilò lentamente una mano nella
giubba. Il compare annuì e fece un cenno alla volta del gruppo, dal
quale uscirono altri due uomini tarchiati coi capelli tagliati corti.
Erano armati entrambi di bastoni, di quelli usati al macello per
stordire gli animali.
«E voi chi sareste per insegnarci cosa si fa e cosa non si fa?»
chiese il pustoloso.
«Non ti riguarda, dolcezza.»
«Siete disarmato.»
«È vero», confermò lo straniero accentuando il sorriso sarcastico.
«Fate male.» L'uomo coperto di pustole sfilò dalla giubba la mano
serrata intorno a un lungo pugnale. «Fate malissimo a girare
disarmato.»
Anche il macellaio estrasse una lama simile a un coltello da
caccia. Gli altri due si fecero avanti sollevando i bastoni.
«Non ne ho bisogno. Le mie armi mi seguono», ribatté lo straniero
senza muoversi da dov'era.
Due giovani fanciulle uscirono a passo leggero e sicuro da dietro
le rovine. La piccola folla si fece subito da parte, arretrò, si diradò.
Le due fanciulle sorrisero scoprendo i denti scintillanti e
socchiusero le palpebre, ai cui angoli era tatuata una larga striscia
blu che giungeva fino alle orecchie. Le pelli di lince che cingevano
loro i fianchi lasciavano scoperte le cosce vigorose, mentre dai
guanti di maglia di ferro s'intravedevano le braccia nude e tornite.
Dalle spalle di ognuna, protette anch'esse da giachi, sporgeva il
manico di una sciabola.
Il pustoloso piegò le ginocchia piano, molto piano, e lasciò cadere
il coltello.
Dalla buca tra le macerie si sentì raspare, smuovere sassi, quindi
dall'oscurità emersero due mani che si aggrapparono al bordo
frastagliato del muro. Poi apparvero una testa dai capelli bianchi
cosparsi di polvere di mattone, un volto pallido e il manico di una
spada che spuntava al di sopra della spalla. La folla mormorò.
L'uomo dai capelli bianchi issò fuori della buca un corpo strano e
massiccio, ricoperto di polvere e impregnato di sangue. Tenendo il
mostro per la lunga coda da lucertola, lo gettò senza dire una parola
ai piedi del corpulento capovillaggio. Questi balzò indietro e
inciampò su un pezzo di muro, fissando il becco ricurvo da uccello,
le ali membranose e gli artigli falcati sulle zampe coperte di scaglie.
Il gozzo gonfio, un tempo vermiglio, ora di un rosso sporco. Gli occhi
vitrei, infossati.
«Ecco il basilisco», disse l'uomo dai capelli bianchi togliendosi la
polvere dai calzoni. «Come pattuito. I miei duecento lintar, di grazia.
Dei bei lintar poco tagliati. Controllerò, vi avverto.»
Con le mani tremanti, il capovillaggio tirò fuori una borsa.
L'uomo dai capelli bianchi fissò per un istante il pustoloso e il
coltello ai suoi piedi. Poi spostò lo sguardo sullo straniero con la
tunica marrone, sulle fanciulle cinte da pelli di lince. «È sempre la
stessa storia. Io rischio la pelle per voi in cambio di quattro soldi, e
intanto voi cercate d'impadronirvi delle mie cose. Non cambierete
mai, che la peste vi colga.»
Il macellaio indietreggiò. «Non le abbiamo toccate, signore.»
I due tizi armati di bastone si erano confusi da un pezzo tra la
folla.
L'uomo dai capelli bianchi sorrise. «Me ne rallegro molto.»
Alla vista di quel ghigno che si schiudeva sul volto pallido come
una ferita aperta, la piccola folla cominciò a disperdersi in fretta.
«Perciò, fratello, non sarai toccato neanche tu. Vattene in pace.
Ma fallo alla svelta.»
Il pustoloso voleva battere anche lui in ritirata. Le pustole
risaltavano orribilmente sul viso sbiancato.
«Ehi, aspetta, hai dimenticato qualcosa», gli disse l'uomo con la
tunica marrone.
«Che cosa... signore?»
«Di avermi puntato contro il coltello.»
A un tratto la più alta delle fanciulle si dondolò sulle gambe aperte
e fece ruotare i fianchi. La sciabola, estratta senza che nessuno se
ne accorgesse, produsse un sibilo acuto. La testa del butterato
schizzò in alto tracciando un arco e cadde nella buca che conduceva
alle segrete. Il corpo, rigido e pesante come un tronco abbattuto,
piombò tra i mattoni frantumati. La folla gridò. L'altra fanciulla, la
mano sull'impugnatura dell'arma, si girò rapidamente per
fronteggiare eventuali attacchi. Inutilmente. La folla, inciampando
sulle rovine, fuggiva a gambe levate verso la città. Davanti a tutti
correva a grandi balzi il capovillaggio, precedendo di appena
qualche tesa il gigantesco macellaio.
«Bel colpo», commentò in tono freddo l'uomo dai capelli bianchi,
riparandosi gli occhi dal sole con la mano guantata. «Bel colpo di
sciabola zerrikaniana. M'inchino davanti all'abilità e alla bellezza
delle libere guerriere. Sono Geralt di Rivia.»
Lo straniero indicò lo stemma scolorito sul davanti della tunica
marrone, raffigurante tre uccelli neri allineati in campo giallo. «Sono
Borch, detto Tre Taccole, e queste sono le mie ragazze, Tea e Vea.
Le chiamo così perché a pronunciare i loro veri nomi si rischia di
mordersi la lingua. Come hai indovinato, vengono entrambe da
Zerrikania.»
«Mi sembra che sia merito loro se ho ancora il cavallo e le mie
cose. Vi ringrazio, guerriere. E grazie anche a voi, signor Borch.»
«Tre Taccole. E lascia perdere il 'signore'. C'è qualcosa che ti
trattenga in questa cittadina, Geralt di Rivia?»
«Al contrario.»
«Perfetto. Ho una proposta: non lontano di qui, a un crocevia
lungo la strada che conduce al porto fluviale, c'è una locanda. Si
chiama Al Drago Pensieroso. La sua cucina non ha eguali in tutta la
regione. Mi ci sto giusto recando per passare la notte. Sarei felice se
volessi farmi compagnia.»
L'uomo dai capelli bianchi diede le spalle al cavallo e guardò lo
sconosciuto negli occhi. «Borch, vorrei mettere subito le cose in
chiaro tra noi. Sono uno strigo.»
«L'avevo supposto. Ma hai usato un tono come se dicessi: 'Sono
un lebbroso'.»
«C'è chi preferisce la compagnia dei lebbrosi a quella di uno
strigo.»
«C'è anche chi preferisce le pecore alle ragazze», ribatté Tre
Taccole con una risata. «Ebbene, c'è solo da compatirli, gli uni e gli
altri. Rinnovo la proposta.»
Geralt si tolse il guanto e strinse la mano che gli veniva tesa.
«Accetto, rallegrandomi di aver fatto la tua conoscenza.
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