La nuova vita di Dalton MacIain – Karen Ranney

SINTESI DEL LIBRO:
Alle quattro in punto di un afoso pomeriggio di luglio, Minerva Todd
salì a bordo della carrozza, infilò i guanti con decisione, annodò il
nastro del cappellino e puntò lo sguardo dritto davanti a sé, come
per affrettare il percorso verso la meta.
Nonostante fosse giorno inoltrato, il sole elargiva la sua luce con
timidezza. Da est avanzavano grosse nuvole color peltro,
accompagnate da un vento umido che preannunciava pioggia.
Minerva insinuò un dito fra la guancia e il nastro del cappellino,
infastidita dalla ruvidezza del tessuto. Era inevitabile che qualunque
indumento nuovo provocasse una certa irritazione, fino a quando
non si acquisiva familiarità con esso.
L'abito che portava, al contrario, non era nuovo. Era un pratico
vestito da giorno color blu scuro. Ne possedeva una mezza dozzina,
predisposti in modo tale da poterne sganciare il colletto e i polsini
bianchi mentre lavorava. Altrimenti era solita indossare il suo capo
preferito: una gonna aperta nel mezzo, a mo' di pantalone.
Quel giorno, tuttavia, doveva presentarsi come una signora
perbene di Londra, almeno fino a quando non avesse portato a
termine quell'orribile faccenda.
Avrebbe preferito di gran lunga partire per una delle solite
spedizioni, ma la primavera piovosa e l'estate anticipata glielo
avevano impedito. E comunque, se pure il sole della Scozia l'avesse
graziata con il suo splendore, Minerva non si sarebbe allontanata da
Londra. Non prima di ricevere notizie di Neville.
Che fine aveva fatto suo fratello?
Il Conte di Rathsmere lo sapeva senz'altro, ma non aveva
risposto a nessuna delle cinque lettere che lei gli aveva scritto,
l'ultima appena tre giorni prima. Non le rimaneva altra scelta se non
quella di presentarsi da lui di persona.
Certo, conosceva le storie che circolavano sul conto di
quell'uomo. Gli avevano affibbiato un ridicolo appellativo – il Libertino
di Londra – e si diceva che avesse persino avuto un'amante di stirpe
reale, una cugina della regina stessa.
Che avesse interrotto lui la relazione era stato un evento già
piuttosto scandaloso ma, come se non bastasse, il conte aveva
pensato bene di rivelarne alcuni dettagli intimi a una cerchia di amici
della stessa risma. Per esempio, che la donna in questione adorava
il rosso e che lui, per compiacerla, si era fatto tingere di quel colore
tutta la biancheria intima. Poi aveva sfoggiato con orgoglio le proprie
origini sfilando per le stanze dell'amante vestito del solo gonnellino
scozzese rosso e nero.
La regina non aveva affatto gradito le dicerie sulla licenziosità
della cugina e aveva spedito la poveretta in Australia a visitare gli
allevamenti di pecore, intimandole perentoria di rivedere le proprie
maniere se mai avesse voluto mostrarsi di nuovo a corte.
Le donne che non si attenevano alle regole non riscuotevano il
plauso della società.
Il Libertino di Londra, al contrario, rimaneva un eterno beniamino.
La gente rideva per le sue bravate. Ne giustificava gli eccessi. Ne
tollerava, se non addirittura incoraggiava, la totale mancanza di
riguardo per i principi basilari della civiltà.
In poche parole, era un reprobo, un debosciato, una vera
canaglia. E adesso era diventato conte. Un totale e assoluto spreco
di un titolo tanto nobile e decoroso.
Quando la carrozza si arrestò di fronte alla maestosa residenza
del conte, Minerva ne contemplò l'ampia gradinata attraverso i
finestrini e sollevò lo sguardo per abbracciare tutti e tre i piani
dell'edificio. Tipico di MacIain non accontentarsi soltanto di abitare in
una piazza così elegante, ma in una villa che ne occupava un intero
lato e che sembrava rivendicare il proprio stato di residenza da
sovrano. Era senza ombra di dubbio la giusta dimora per uno che si
riteneva tanto importante.
Si diceva fosse anche molto attraente. L'aspetto sfiorisce.
L'intelligenza resta. Stando al suo comportamento, il conte doveva
essere proprio stupido, anche se bello. Che importanza aveva
l'aspetto esteriore di una mela se al suo interno era marcia?
Minerva intratteneva un'assidua corrispondenza con diversi
uomini in tutto il Continente. L'argomento delle sue lettere non era
importante quanto il contenuto delle missive inviate al Conte di
Rathsmere, ma ognuno dei destinatari si era sempre mostrato tanto
cortese da inviarle un riscontro.
L'unico a non averla degnata di alcuna risposta era proprio il
conte, il solo a possedere l'informazione che lei desiderava con tanto
ardore.
Il cocchiere scese a terra, fece il giro della carrozza e le aprì lo
sportello.
«Sei proprio sicura di volerlo fare, Minerva?»
Lei trattenne un sospiro. Hugh era un perfetto esemplare di uomo
attraente, intelligente e di carattere. Peccato che fosse fin troppo
curioso. Ma non poteva che biasimare se stessa. Con il proprio
comportamento lo aveva spinto a credere di avere tutto il diritto di
mostrarsi così invadente.
«Non vedo altra soluzione» gli disse. «Non ha risposto alle mie
lettere. Cos'altro posso fare?»
«Potrebbe rifiutare di riceverti.»
Minerva annuì e gli posò una mano sul braccio perché l'aiutasse
a scendere dalla carrozza.
«Forse» concordò. «Se non mi riceverà oggi, mi ripresenterò
domani. Se rifiuterà anche domani, tornerò il giorno successivo. E se
necessario anche tutti quelli a venire, Hugh.»
Lui inarcò un sopracciglio.
Ebbene, forse in alcune circostanze lei era un tantino testarda.
Dopotutto era una donna che lavorava in un mondo di uomini. Non
poteva permettersi di apparire docile e sottomessa. Per l'amor del
cielo, quell'atteggiamento si confaceva alle donne che di rado si
allontanavano dai loro salottini e che agitavano i ventagli da mattina
a sera. Lei non avrebbe mai potuto civettare con un uomo
schermandosi dietro a un ventaglio. Si sarebbe sentita a dir poco
ridicola.
Scosse il vestito per sistemare la gonna, poi si diede una rapida
controllata da capo a piedi. Non somigliava affatto al genere di
donne che erano solite percorrere quell'ampia scalinata chiara.
Era soltanto Minerva Todd, le cui doti non risiedevano nel viso né
tantomeno nell'apparenza.
Prima di raggiungere la porta d'ingresso, sentì cadere le prime
goccioline di pioggia. In meno di un istante, sembrò che le avessero
rovesciato sulla testa un secchio colmo d'acqua.
Arrivata all'ultimo gradino, trasse un respiro profondo, raddrizzò
le spalle e scrutò il curioso battente d'ottone che spiccava al centro
del portone nero.
Perché proprio un fungo?
Sollevò il battente e lo lasciò cadere, prestando orecchio al suo
riecheggiare sordo nell'ingresso della villa. Il cuore cominciò a
galopparle nel petto, mozzandole il respiro. All'interno dei guanti,
sentiva le punte delle dita congelate.
Il conte doveva riceverla. Doveva dirle tutto. Fosse stata anche la
peggiore delle notizie, lei doveva sapere.
Poiché nessuno si presentava alla porta, Minerva picchiò il
battente altre due volte.
Le finestre della facciata erano pulite e splendenti. La scalinata
d'ingresso appariva lustra. Sui gradini non si vedeva traccia di
sporcizia. Eppure la casa dava l'impressione di essere deserta.
Minerva fece un passo indietro e sollevò lo sguardo verso le
finestre, nonostante la pioggia. Le tende erano tirate. Nessuno la
stava osservando attraverso i vetri.
Si voltò per chiamare Hugh che si era fermato accanto alla
carrozza.
«Ti dispiacerebbe controllare la scuderia, Hugh? Per vedere se
c'è la carrozza?»
Se il conte fosse stato fuori casa, avrebbe avuto una buona
ragione per non rispondere alla porta. Forse aveva un'altra
residenza in campagna? Come scoprire dove si trovava?
Hugh annuì e seguì il perimetro della villa verso il retro mentre
Minerva rimaneva ad aspettare sulla soglia. I gradini dell'ingresso,
che non offrivano alcun genere di riparo dalle intemperie, le parvero
un affronto personale.
Picchiò di nuovo sul battente.
La pioggia portava con sé il sentore della polvere e delle strade
di Londra. La città sembrava un recipiente di odori, che tratteneva a
sé quasi temesse di vederli fuggire. Alle narici di Minerva giunse il
profumo di rose e caprifoglio, assieme all'odore di vecchi edifici, di
concime, di polvere e all'immancabile tanfo pungente del Tamigi.
La porta si aprì così all'improvviso che per poco Minerva non
cadde in avanti.
Fu accolta da un uomo alto e magro. Le maniche arrotolate della
camicia rivelavano due braccia vigorose. Aveva i capelli pettinati
all'indietro e un viso arcigno per via del naso sporgente e del mento
appuntito.
Il sudore gli imperlava la fronte e il labbro superiore.
Il suo sguardo irritato sembrava tutt'altro che incoraggiante, ma
lei azzardò lo stesso un sorriso.
«Desiderate?» chiese l'uomo.
Minerva provò lo strano impulso di scusarsi. No, meglio di no.
Era lì per una ragione ben precisa.
«Desidero vedere il conte.»
«Davvero?»
Curioso che un maggiordomo osasse contestarla.
Estrasse un biglietto da visita dalla borsetta e lo tenne in mostra
finché lui non si decise a prenderlo. Meno male, perché ormai era
fradicia e anche il bigliettino si era inzuppato.
Perché mai non si era portata l'ombrello?
«Sareste così gentile da riferirgli che Minerva Todd desidera
incontrarlo, per conto di suo fratello Neville?»
«Il conte non riceve visite.»
Lei ignorò la risposta.
«Vi prego di rassicurarlo che non mi tratterrò a lungo, solo il
tempo di una domanda.»
Che il maggiordomo in origine fosse stato un servitore comune?
Ostentava una statura impressionante. Minerva trovò alquanto
irritante vedersi costretta a sollevare il capo per guardarlo. Se non
fosse stata così determinata a incontrare il conte, si sarebbe lasciata
intimidire dall'espressione marmorea di quel volto ostile.
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