La mutazione – Marco Bracconi

SINTESI DEL LIBRO:
Per dodici settimane sei stato dappertutto e da nessuna parte. La
condizione ideale per farci impazzire. La specie che ti sei messo a
inseguire non è come i pipistrelli, noi umani non sappiamo volare nel
buio. La nostra intera civiltà è un giocattolo per sentirci al sicuro. E tu
non ti sei limitato a uccidere, hai anche accecato i sopravvissuti.
Pensa che casino che hai combinato.
All’inizio non ti abbiamo capito, poi quando ti sei messo in viaggio
ci siamo accorti di che genere di turista eri. Uno che quando arriva in
un posto rimane sempre in quello che ha appena lasciato. Come
quando si condivide una foto su Facebook: non viaggi, ti moltiplichi.
Rispetto a noi, da questo punto di vista, sei molto meno viziato. Mi
pare di aver capito che non consulti le recensioni per decidere dove
trascorrere il weekend. Come tutti i giovani, preferisci i luoghi
affollati. Per il resto ti muovi come capita. Più che alla qualità degli
alberghi è evidente che sei interessato alle persone.
In autunno ti sapevamo a Wuhan, che nemmeno sapevamo dove
fosse. Poi hai deciso di partire per fare il giro del mondo e del tuo
domicilio abbiamo perso le tracce. Conoscevamo le strade che
frequentavi e sapevamo dov’erano gli ospedali nei quali pernottavi,
ma non avremmo saputo a quale indirizzo venire a proporti un
cessate il fuoco.
Per mesi non abbiamo fatto altro che parlare di te, in realtà
eravamo senza parole. Succede sempre così quando non sappiamo
che dire. Non abbiamo altro modo che provare a raccontarlo. È uno
stratagemma per mantenere il controllo, o comunque per credere di
poterci riuscire.
Chissà se facciamo bene.
Magari hai ragione tu che non sai né leggere né scrivere.
Hai bussato alle porte di Milano a gennaio e ti abbiamo aperto a
fine febbraio, quando eri già in mezzo a noi. Per sessanta giorni
siamo usciti solo a fare la spesa e buttare la spazzatura. Da un
momento all’altro la nostra socialità reale è stata ricondotta al ciclo
consumo e scarto. Il resto sul digitale. Dopo qualche esitazione
anche il resto del mio Paese ha pensato di non farsi vedere in giro
per un po’. Volevamo prenderti per fame come durante l’assedio di
Sarajevo. Tutti dentro. La differenza è che nessuno sparava e dentro
c’eravamo noi. Quando le autorità ci hanno chiesto di farlo abbiamo
ubbidito, come se ti aspettassimo per far rientrare la crisi delle élite.
In molti si sono allineati perché finché restavano in casa tu non
potevi fargli del male, altri perché così ti sarebbe stato più difficile
fare del male anche ai loro simili. Non sapremo mai la proporzione.
In attesa che tutti imparassero in fretta il significato della parola
lockdown la paura ha cominciato ad avanzare a tua somiglianza: a
cerchi concentrici. Prima noi stessi, poi la famiglia, gli amici, l’Italia,
Luis Sepúlveda, la catastrofe generale.
Non ci crederai ma alla vigilia del tuo arrivo questa città era
considerata un membro ormai permanente del gran consiglio delle
icone globali. Adesso un po’ meno. È venuta giù più veloce di un 5G,
vittima di quella connessione globale tra reti mercati e culture che
aveva fatto la sua fortuna. La scommessa con il contemporaneo è
perduta. Un futuro abnorme e imprevisto ha fatto irruzione nel
presente e il contemporaneo non basta più, diventa inservibile, non è
più nemmeno tale. Colpa tua che per mesi ci hai piantati in mezzo a
un paradosso spazio-temporale che nemmeno un finale pensato da
Stanley Kubrick.
Sei riuscito a trarci in inganno: non vedevamo che il tempo
sospeso correva veloce. Mentre aspettavamo di capire se a liberarci
sarebbe stata una statistica o la primavera, il mondo che
conoscevamo era salito a bordo di un razzo spedito a tutta manetta
verso l’avvenire.
Non so se conosci il poeta, ma il futuro stavolta era entrato in noi
dopo essere già accaduto.
Dopo tre settimane di profilassi generale, in Lombardia quasi ogni
amico era amico di qualcuno che era morto o che rischiava di morire
a causa tua. Il principio era lo stesso dei social network, solo che al
posto della foto profilo c’erano i necrologi e i respiratori in terapia
intensiva, entrambi non sapevamo fino a quando sarebbero bastati.
In quel momento nulla sapevamo con certezza. Né quanto sarebbe
durata, né dove avresti deciso di mutare l’emergenza in tragedia.
Qualcuno sperava che te ne saresti andato con la noncuranza con
cui ti sei presentato sul proscenio delle nostre società di massa, altri
erano sicuri che ti saresti affezionato a noi oltre il dovuto. Nessuno
riusciva a valutare quanto avremmo potuto tirare la corda.
Ignoravamo se le multe sarebbero diventate arresti e se il
tracciamento digitale di ognuno sarebbero state le autorità a
imporcelo dopo essercelo per anni serenamente inflitti da soli.
Non sapevamo nulla, tranne le cose che già sapevamo.
Una di queste è che avevamo troppa fretta. Davanti a un
avversario che avanzava con lentezza sarebbe stato meglio
adeguare la nostra andatura. Prendere tempo. Il pericolo quando si
vola nel buio è lasciar fare alla prima luce che si accende.
Non sapevamo niente: da un giorno all’altro ci hai precipitati nel
gran girone delle ipotesi, che è un posto dove ci piace stare solo
quando le ipotesi non riguardano noi.
All’inizio non facevamo che ripeterci che una cosa così non era
mai accaduta prima. Chissà. Di certo è stata un’esperienza
straniante ritrovarsi iscritti a nostra insaputa a un workshop sugli
effetti indesiderati della globalizzazione. Fatto sta che durante le
lezioni la nostra vita è cambiata in fretta. Molti di noi hanno
cominciato a disinfettare la suola delle scarpe sulla soglia di casa.
Altri si sono accorti che prima cambiavano strada solo quando
vedevano un pitbull senza guinzaglio o un negro senza
autocertificazione Just Eat, ma che adesso, là fuori, erano diventati
tutti negri e cani randagi.
Siamo d’accordo: il pandemonio che hai scatenato è stato senza
precedenti. Però a forza di ripeterlo ci siamo immunizzati dalla realtà
come dal morbillo. Mentre lo dicevamo era già passato. Avremmo
dovuto invece imparare da te che ogni sera ti facevi trovare in un
posto diverso da quello dov’eri al mattino. Resistere oltre le superfici
e non solo sui balconi. Andare a cercare i posti nuovi come li vai a
cercare tu. Un’altra cosa che ci siamo detti senza perdere tempo è
che dopo di te nulla sarebbe stato mai più come prima. Una
previsione venduta come certezza, che un attimo dopo era già
avvertimento. Meglio all’inizio, quando questa fine del mondo sotto
metafora era solo l’intenerito lamento di chi non aveva la più pallida
idea di come avresti ridotto i sistemi economici e modificato i nostri
spiriti disorientati.
Stavolta davvero non lo sapevamo.
Se avessimo trovato una molecola per addomesticarti, le cose
sarebbero rapidamente cambiate. Ma potevi essere tu a cambiare
scenario infettando solo quelli che mantenevano un metro di
distanza: una strage di responsabili. In quei giorni eravamo così
insicuri di tutto che dubitavamo perfino delle fake news, il più tipico e
pericoloso passatempo delle società piene di certezze.
Capisci meglio adesso in che assurda situazione ci hai messo:
oltre a toglierci la fede nell’aria che respiravamo ci hai anche
impedito di fare previsioni, mentre noi umani siamo ossessionati
dalla necessità di sapere sempre dove siamo e dove stiamo
andando. Non è importante che sia vero, basta che funzioni.
Così quando hai spento il navigatore ci siamo arrangiati come
potevamo. Abbiamo continuato a ripeterci che una cosa del genere
non era mai accaduta e che avrebbe cambiato il mondo. Non siamo
andati a cercare le cose nuove. Abbiamo dimenticato che la Storia
funziona esattamente come un’epidemia: sviluppata l’immunità di
gregge sul passato, è il virus della novità quello che si espande e poi
ti conquista.
O ti contagia.
Di sicuro tu non eri una gran novità. I malati di Ebola e HIV in
Africa sapevano da tempo che non c’è nulla di straordinario
nell’essere fatti fuori da un microrganismo incompatibile con la
propria specie.
Non erano primizie nemmeno gli altri protagonisti di questa storia,
a cominciare dalla considerevole quantità di morte che ci portavi
ogni giorno. Io non so come ti comporti tu quando incontri un
disinfettante, ma per noi morire è talmente increscioso che ogni volta
pensiamo stia succedendo per la prima volta. Ma non è vero. Noi la
morte la conosciamo bene. Se non fossi appena arrivato su questo
pianeta sapresti che la nostra è una vicenda di trionfi e catastrofi, e
la cosa che ci tormenta è non riuscire a evitare che le catastrofi
diventino le punizioni per i nostri trionfi.
Tu ti moltiplichi, insomma, ma noi ci ripetiamo: la nostra specie ha
già visto l’orrore negli ospedali, i patriottismi ambigui e gli slanci di
generosità delle brave persone. L’umanità non è un neonato che hai
aggredito a freddo al secondo giorno di vita, e lo dimostra il fatto che
a quanto pare tu non hai mai fatto del male ai bambini.
Perfino la prigionia alla quale ci hai costretto non era cosa ignota.
I coprifuoco in guerra avevano in ogni caso l’aggravante che poteva
pioverti Satana dal cielo nel mezzo di una videochiamata, mentre
oggi al massimo puoi rivedere L’esorcista in televisione.
Malgrado ciò, in quelle settimane andava di moda dire che contro
di te era iniziata una guerra. Per come sono fatte oggi le trincee
saremmo stati meno approssimativi se avessimo parlato di
un’Offerta Pubblica di Acquisto sulle cellule di Homo sapiens. La tua.
Anche qui nulla di nuovo: se la SARS avesse avuto milioni di
asintomatici, l’OPA ostile sarebbe stata ancora più vasta e virulenta.
Mentre noi ci dedicavamo ai corsi e ai ricorsi hai capito che in
Italia si stava mettendo male e hai cominciato a pascolare nel resto
del mondo. Ti sei mosso come quando facciamo spazio per i nuovi
allevamenti. Noi bruciamo foreste, tu chiudi i negozi. È stato un
nuovo inizio. Adesso avevi un altro nome, pandemia. Ma non
eravamo più in grado di misurarti. Un nemico può essere vasto
oppure invisibile. Quando è entrambe le cose diventa tutto più
difficile.
Se non riesci a capirlo pensa a una cosa che funziona più o meno
come te, tipo Internet. Non è forse vasto e invisibile?
Presi dalla necessità di allontanare la paura per mezzo della
novità, non ci siamo accorti che una cosa nuova in realtà stava
succedendo. Non era quella che avremmo desiderato in quel
momento, una cura o un vaccino, però ci avrebbe lo stesso aiutato a
vivere. Succedeva che tu ci accecavi, ma noi avevamo una torcia.
Un sistema di connessioni capace di mettere in Rete ogni singolo
individuo e intervenire in ogni ambito del sistema umano: relazioni,
produzione, politica, intrattenimento. La variante tecnologica. Il tuo
cigno nero.
Vedila in questo modo: la più mastodontica evacuazione della
storia, che prima ci ha riportato tutti a casa e poi ci ha trasferito in
massa nel sopramondo digitale. Un po’ come se al ritorno da
Dunkerque fossero finiti tutti davanti alla playstation. Non ci eravamo
ancora abituati a stare onlife e adesso avevamo improvvisamente
accesso a una forma di vita rispetto alla quale la famigerata infosfera
era un giocattolo da bambini. Ora era molto meno sfera e molto più
info. Lo spazio a disposizione del nostro corpo era ridotto al
perimetro del domicilio, però il flusso dei dati era rimasto lo stesso,
anzi dal primo giorno di reclusione aveva cominciato a crescere
quanto la curva delle tue infezioni. Come se avessimo infilato in una
scatola di scarpe un intero hub di smistamento di Amazon.
Questo sì che era veramente nuovo. Nel mondo prima di te
eravamo stati bravi a figurarci crisi di ogni genere, dall’attacco
biologico all’invasione degli extraterrestri, ma a questa specialità di
evento le nostre fabbriche della distopia non ci avevano mai
pensato. Nessuno aveva osato ipotizzare un posto dove le persone
rimangono imprigionate ma si lasciano libere le parole e le immagini
di trascorrere da una cella all’altra, ovunque e in ogni direzione. Un
nuovo habitat dove i corpi sono riservati a un utilizzo esclusivamente
personale, come i guanti usa e getta dei presidi chirurgici, mentre
tutto il resto della vita è delegato al linguaggio.
Una cosa molto diversa da Matrix, se per caso conosci. Sia
chiaro: non voglio mettere in dubbio il tuo ruolo nella faccenda. Tu
sei stata la star del lockdown e saremmo sciocchi a dimenticarlo.
Vorrei solo ruotare l’asse da quello che ci è stato chiesto a quello
che ci è stato offerto.
Per quasi due mesi abbiamo guardato al mondo come un
contenitore che aspettava di essere riempito, ma il sacco non era
affatto vuoto, anzi. Si trattava di una redistribuzione di pesi: la
materia delle nostre comunità stava diventando leggera come una
piuma, l’astrazione dei nostri racconti pesante una tonnellata. Una
questione di equilibri, insomma. Tanto sentita da far temere a
ciascuno di noi di dover sommare alla distopia in corso anche quella
aggiuntiva: pensa che disastro se ora saltasse Internet.
Tranne te, tutti lo abbiamo pensato.
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