La Mafia non esiste – Giuseppe Pellitteri

SINTESI DEL LIBRO:
A Roma, il tipico caos del sud si sentiva meno, ma era comunque
fragoroso.
Calogero Marrocco lavorava al dipartimento da quasi quindici anni.
Aveva vinto un concorso grazie a un diploma tecnico commerciale
con votazione sessanta sessantesimi e, quel giugno del 1982,
ricorreva il suo quindicesimo anniversario di quasi onorata e
onorabile carriera al dipartimento
Calogero non aveva moglie, figli, e nessuno aveva mai capito
perché.
Schivo, con quell'aria da ragioniere dalle maniche nere, ligio al
dovere, sempre timido e introverso, non si era mai legato ad alcuna,
soltanto con Alice, storia durata sei anni poi andata in fumo per
motivi non meglio identificabili.
O meglio, molto identificabili, dato che Alice aveva accettato un
trasferimento di lavoro a Cuneo. Poco da dire se non che, il
rapporto, era inevitabilmente crollato a causa della distanza.
Ma forse, la coppia, era già in crisi da tempo.
Il nostro travolgente racconto si incentra sulla figura chiave di
Calogero, Gero per gli amici: uomo semplice che, nonostante fosse
un siculo doc, sapeva stranamente farsi “gli affari suoi” e che, per
caso, incappò quel giorno ad origliare un dialogo affrontato da
uomini ambigui, misteriosi, incravattati e di chiare origini non laziali.
Il dialogo fra i tre era molto chiaro nonostante i toni sommessi.
Un quasi corale bisbiglio.
Uno di loro tradiva un chiarissimo accento partenopeo, un altro
doveva essere di origine russa o, quantomeno, di nazionalità simile
e, per ultimo, era presente un collega di Calogero stesso,
appartenente però ad altra sezione; collega che vedeva pochissimo
durante l’anno.
Si trovò per caso davanti la porta dell’ufficio accanto e, senza
entrare, sentì i tre bisbigliare su di un carico, un trasferimento di
qualcosa o di qualcuno che non doveva essere interrotto e tanto
meno controllato alla frontiera.
La merce doveva raggiungere il porto di Napoli per essere immessa
in un container e trasferita dritta dritta in Calabria, poi in Sicilia, per
sbarcare infine nei porti di Palermo e Gioia Tauro.
Dai toni della conversazione si intuiva che il carico non fosse
propriamente lecito ma, prudentemente, i tre non ne specificavano il
contenuto.
Stavano forse tramando qualcosa di losco e non propriamente
“ufficiale”?
Essendo schivo e timoroso per natura, Calogero, dopo aver
ascoltato la conversazione, si allontanò sperando che nessuno si
fosse accorto della sua presenza.
In realtà, fu tradito dal ticchettio dei suoi passi sul corridoio, ma il
collega lasciò che si allontanasse indisturbato. L’episodio rimase
senza apparenti conseguenze mentre quella stessa estate si avviava
verso i mondiali di Spagna, con Paolo Rossi che avrebbe fatto
sognare segnando per la nazionale di calcio italiana di Bearzot.
*******
Sicilia, Località di Torrefetusi
Luglio 1982
Grilli, zanzare, sole, caldo, afa, spighe, raccolti, mezzi agricoli,
bestiame.
«Ma cosa vuoi sintetizzare? Il giorno della Civetta? Era solo un
insieme di diversi punti di vista, come quell’autobus che nelle scene
iniziali del film si ferma e, in quelle curve di campagna, il suo autista
scopre che c’era un cadavere di presunto morto ammazzato li vicino.
La mafia? non esiste! è solo un punto di vista.» diceva lo zio Nicola
che la mattina si alzava alle 4 per andare in campagna a lavorare le
sue terre. Punti di vista… O di svista!
E come ogni cosa che esiste e non esiste, la Sicilia come palestra
di vita insegnava molto.
Insegnava a vedere tutto da diverse prospettive: quella del
vincente, del perdente, del ruffiano, del “sotto scacco”.
Da questo punto di vista, la Sicilia degli anni 80 non era altro che un
laboratorio, un ammasso di ammiccamenti, di silenzi, di posture, di
saggezza finta e, specialmente, suggerimenti non richiesti.
L’antica Grecia passata da lì secoli prima, aveva lasciato il posto a
un substrato di culture miste, un po’ come la frutta secca che si trova
nelle feste di paese, ammassata e mischiata alla meno peggio.
Lo zio Nicola, dicevamo, era un tipo schivo, con abbronzatura di
campagna segnata dalla sua canotta a costine bianca.
La moglie era morta di cancro cinque anni prima e i suoi terreni
erano l'unico suo piacere, dovere e delizia.
Le melanzane, i meloni, le colture stagionali e le olive, che vendeva
spesso privatamente, senza pagare tasse ad alcuno, erano fonte di
soddisfazione associata all’evasione fiscale che per lui aveva
assunto la solennità di una tradizione, una effettiva necessità, un
guizzo!
Beh, qualunque tipo di romanzo o thriller che si rispetti
tralascerebbe il rapporto tra lo zio Nicola e il fisco, ma la tassa di
proprietà in primis e altri balzelli in Sicilia erano da anni visti come
soprusi e, dal 1861, lo zio Nicola manteneva alta la consuetudine
dichiarando soli sei milioni di lire annui di reddito.
D’altronde era solo un'attività agricola, apparentemente povera fuori
ma ricca dentro.
Tornando all’aspetto più romantico della storia, lo zio suddetto
aveva tre figli: due figlie femmine per l’esattezza e un figlio
maschio e tutti di età tra i 20 e i 25 anni, con attitudini e personalità
molto diverse tra loro.
Anna, la piccola, aveva preso il diploma di ragioniera ed era in
cerca di lavoro.
Francesca, più grande di Anna di 3 anni, aveva preso un diploma di
ragioniera e poi era in cerca di lavoro.
Nunzio, il più grande, aveva seguito le orme del nonno iscrivendosi
in legge ed era al terzo anno di università.
Anche lui aveva preso il diploma di ragioniere, o meglio
elegantemente definito perito commerciale.
Della moglie abbiamo già fatto cenno prima. Un grave male l’aveva
colpita anni prima, e un tumore al fegato in soli due anni l'aveva
portata via. Per alcuni, le solite malelingue, pare fosse colpa di una
fabbrica di metalli pesanti che si trovava non lontano dalla loro
abitazione.
Lo zio Nicola a quell’epoca aveva 50 anni, gran fumatore di MS,
sigarette che per i simpatici amici del bar erano “morte sicura” per
altri era un “sano” fumare e spendere poco.
Lo zio Nicola passava le sue giornate nella simpatica cittadina di
Torrefetusi, cittadina ridente non lontanissima dal mare, abitata da
circa dodicimila anime; cittadina che raramente vedeva turbate le
sue giornate da grandi avvenimenti.
Tracciare un profilo psicologico di un siciliano di 50 anni di
quell’epoca non era poi difficile: siciliano coltivatore di terre,
bracciante agricolo, cotto di abbronzatura del colore dell’argilla,
fumatore, persona semplice con la quinta elementare, spartano,
posato, silenzioso, mattiniere.
Lavoratore, monogamo, serio, riservato con pochi amici e schivo
anche nei confronti dei parenti. Bevitore di vino rosso, ma mai
esagerato nel rapporto con la bottiglia, un profilo psicologico le cui
abitudini quotidiane sarebbero state scosse da lì a poco da un
evento, per il quale avrebbe dovuto decidere, e alla svelta, le
strategie da attuare.
Le giornate di quel fine giugno dello zio Nicola le passava quasi
tutte ad irrigare i campi.
Il doppio volto dell’isola (che per molti turisti - i nordici del
paradosso in motocicletta - era un isolotto da girare in otto giorni), si
manifestava anche nel rapporto con le acque di cui approvvigionarsi
per le necessità domestiche e lavorative.
Alcuni abitanti del posto avevano risolto con dei “pozzi fai da te”,
molti dei quali irregolari e non dichiarati.
Già a trenta metri di profondità le vene della terra proliferavano
d’acqua, ma quello che in quegli anni ancora non si conosceva era il
danno che avrebbe causato l’eternit dei serbatoi e dei tetti per uso
coibentazione e stoccaggio.
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Ma questo argomento lo esamineremo più in là, quando parleremo
dello smaltimento dei rifiuti speciali.
Tornando al nostro simpatico contadino, quell’anno, i raccolti
procedevano meno floridi del solito.
Dietro il casolare, in fondo ai suoi venti ettari di terreno, lo zio
Nicola, stava scavando una piccola fossa per seppellire il suo povero
cane che, dopo dodici anni di onorata fedeltà alla famiglia Tripoli,
aveva smesso di abbaiare.
Il cuore dell’uomo quel giorno era triste: con quell’animale interrava
un pezzo di storia della sua famiglia, un pezzo di storia della sua
gioia quotidiana.
Con espressione visibilmente commossa, continuava a scavare la
fossa con la pala da contadino.
Quel giorno, il figlio Nunzio, avrebbe dovuto seguirlo per aiutarlo,
ma il giovane preferì restare a letto, forse addolorato per la perdita o
forse perché aveva semplicemente fatto tardi la sera prima. Lo Zio
Nicola, inarrestabile, andò ugualmente a seppellire il fedele cane
pastore, trovato morto la sera prima davanti alla porta del casale,
consapevole che l’operazione sarebbe durata non più di mezzora,
approfittando del sole non alto delle sette del mattino.
La sepoltura fu però interrotta per qualche ora.
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