La donna di ghiaccio – Robert Bryndza

SINTESI DEL LIBRO:
Lee Kinney emerse dalla casetta a schiera, l’ultima della fila, dove viveva
ancora con sua madre, e lanciò un’occhiata alla strada coperta di bianco. Tirò
fuori un pacchetto di sigarette dai pantaloni della tuta e se ne accese una.
Aveva nevicato per tutto il weekend, e ancora non aveva smesso. I nuovi
fiocchi cancellavano il turbinio di impronte e scie lasciate a terra dai
pneumatici. La stazione ferroviaria di Forest Hill, ai piedi della collina, era
immersa nel silenzio. I pendolari del lunedì mattina, che di solito
sfrecciavano diretti ai loro uffici al centro di Londra, probabilmente erano
ancora al calduccio sotto le coperte, a godersi quell’inaspettata mattinata
libera insieme alle loro dolci metà.
Bastardi fortunati.
Lee era disoccupato da quando aveva lasciato la scuola, sei anni prima, ma
i bei vecchi tempi in cui poteva contare sul sussidio di disoccupazione senza
far nulla erano finiti. Il nuovo governo conservatore aveva dichiarato guerra
ai disoccupati di lungo corso e adesso Lee doveva darsi da fare per mantenere
il sussidio. Gli avevano assegnato un lavoretto facile facile come giardiniere
all’Horniman Museum, a una decina di minuti a piedi da casa. Quella mattina
sarebbe volentieri rimasto sotto le coperte come tutti quanti, ma il centro di
collocamento non si era fatto vivo per comunicargli che la giornata di lavoro
era cancellata. Durante l’acceso battibecco che era seguito, sua madre aveva
detto che se non fosse andato al lavoro gli avrebbero sospeso il sussidio e
avrebbe dovuto trovarsi un altro posto in cui vivere.
Lee udì battere sul vetro della finestra, spuntò fuori il volto emaciato di sua
madre che gli fece cenno di andare. Lui le mostrò il dito medio e si
incamminò su per la collina.
Cinque graziose adolescenti venivano verso di lui. Indossavano le giacche
rosse, le gonne corte e i calzettoni al ginocchio della scuola femminile di
Dulwich. Stavano chiacchierando freneticamente con il loro accento affettato,
commentando la decisione della scuola di rispedirle a casa, mentre
contemporaneamente armeggiavano con i loro iPhone. I caratteristici
auricolari bianchi ondeggiavano e sbattevano sul taschino della giacca.
Occupavano tutta la strada e non si spostarono quando Lee le raggiunse,
perciò fu costretto a mettere un piede oltre il cordolo, in un punto fangoso che
la spargisale aveva trascurato. Sentì del liquido ghiacciato penetrare nelle sue
scarpe da ginnastica nuove e lanciò un’occhiataccia alle ragazzine, ma erano
troppo prese dal loro chiacchiericcio tribale, dai gridolini e dalle risate.
Che ricche puttanelle arroganti, pensò lui. Man mano che saliva,
l’orologio del campanile dell’Horniman Museum spuntava sempre più tra le
fronde nude degli olmi. La neve si era posata qua e là sui mattoni color
sabbia, i fiocchi erano rimasti appiccicati come brandelli di carta igienica.
Lee svoltò su una stradina residenziale che correva parallela alla ringhiera
di ferro che delimitava la proprietà del museo. Il pendio si fece più ripido, le
case più imponenti. Quando raggiunse la cima si fermò un momento a
riprendere fiato. I fiocchi di neve, gelidi e taglienti, gli ricaddero sugli occhi.
Se la giornata era bella da lì si poteva vedere tutta Londra, per chilometri e
chilometri fino al London Eye, al Tamigi. Ma quel giorno erano calate delle
fitte nubi bianche e Lee riuscì a vedere soltanto l’imponente profilo della
tenuta di Overhill, sulla collina di fronte.
Il cancelletto era chiuso. Il vento aveva ripreso a soffiare e Lee, che
indossava dei semplici pantaloni della tuta, rabbrividì. Il capo dei giardinieri
era un vecchio idiota, Lee di solito lo aspettava e si faceva aprire da lui, ma in
strada non si vedeva anima viva. Si guardò intorno, scavalcò il cancelletto ed
entrò nel giardino del museo, imboccando poi un viale che si inoltrava tra due
siepi di sempreverdi.
Adesso che era protetto dalle raffiche di vento, tutto intorno a lui calò un
silenzio inquietante. La neve si ammucchiava velocemente, coprendo le
impronte che aveva lasciato tra i due filari di siepi. L’Horniman Museum e i
terreni della proprietà comprendevano quasi sette ettari, e i capanni degli
attrezzi erano proprio in fondo, accostati a un muro di pietra ricurvo. Ogni
cosa era coperta di bianco e Lee perse il senso dell’orientamento, inoltrandosi
più del necessario nel giardino e sbucando vicino alla serra. Quando vide
l’edificio decorato in vetro e ferro battuto rimase sorpreso. Ritornò sui suoi
passi, ma dopo qualche minuto si ritrovò di nuovo in un punto che non gli era
familiare, di fronte a un bivio del sentiero.
Quante volte ho attraversato questo maledetto giardino?, pensò. Imboccò
il sentiero sulla destra, che scendeva in un avvallamento. C’erano dei
cherubini di pietra su piedistalli coperti di neve. Il vento ululò sfrecciando tra
le statue e quando Lee ci passò davanti ebbe l’impressione che gli occhietti
bianchi e vuoti dei cherubini lo fissassero. Si fermò e si schermò gli occhi
con la mano per proteggersi dalla neve, mentre cercava di individuare la via
più breve per il centro accoglienza. In genere i giardinieri non erano ammessi
all’interno del museo, ma fuori si gelava e forse il bar era aperto, quindi
vaffanculo, anche lui aveva diritto a scaldarsi come qualunque altro essere
umano.
Sentì il telefono vibrare nella tasca e lo tirò fuori. Era un messaggio del
centro di collocamento, diceva che A CAUSA DELLE CONDIZIONI
METEREOLOGICHE AVVERSE quel giorno non era atteso sul posto di lavoro. Lee
si rimise il cellulare in tasca. I cherubini parevano tutti voltati nella sua
direzione. Era così anche prima? Immaginò le loro candide testoline
muoversi lentamente per seguirlo mentre attraversava il giardino. Scacciò via
quel pensiero e accelerò, concentrandosi sul terreno coperto di neve, finché
non sbucò in una tranquilla radura vicino a un laghetto dove una volta si
poteva andare in barca.
Si fermò di nuovo e socchiuse gli occhi nel turbinio di fiocchi di neve. Al
centro del candido ovale di neve che si era posato sulla superficie ghiacciata
del lago c’era una barca a remi azzurra. Vicino alla sponda opposta c’era una
rimessa in disuso e sotto la tettoia Lee intravide un’altra vecchia
imbarcazione a remi.
La neve si stava accumulando sulle sue scarpe già fradicie, e nonostante la
giacca il freddo gli era penetrato nelle ossa. Con una certa vergogna si
accorse di aver paura. Doveva uscire di lì in qualche modo. Se fosse tornato
indietro fino all’avvallamento avrebbe potuto riprendere il sentiero che
costeggiava il giardino e sbucare su London Road. Il benzinaio doveva essere
aperto, lì avrebbe potuto comprarsi altre sigarette e un po’ di cioccolata.
Stava per voltarsi quando udì un rumore nel silenzio. Un suono metallico e
distorto, che arrivava dalla rimessa.
«Ehi! C’è qualcuno?», gridò con voce stridula e impaurita. Solo quando il
rumore cessò, e ricominciò pochi secondi dopo, Lee realizzò che si trattava
della suoneria di un cellulare, forse quello di un collega.
La neve non gli consentiva di vedere dove finisse il sentiero e cominciasse
il lago, perciò Lee rimase vicino alla linea degli alberi che delimitava la
superficie dell’acqua e si incamminò nella direzione da cui proveniva la
suoneria. Era molto flebile. Quando si avvicinò Lee si rese conto che arrivava
dalla rimessa.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo