Innocenza Rubata – Julia Sykes

SINTESI DEL LIBRO:
La testa mi pulsava, e avevo la bocca asciutta. Ero sveglia già da un po’,
cosciente a tratti, ma non avevo osato aprire gli occhi. Non potevo
affrontare la realtà. Era più facile sprofondare nel dolore alla testa,
piuttosto che pensare al fatto di essere stata strappata via dalla mia casa e
dalla mia famiglia.
Calde lacrime scivolarono da sotto le mie palpebre chiuse, per
scendermi lungo le guance. Non potevo più trascinarmi nel dolore e nella
stanchezza. La fioca illuminazione attraverso le palpebre mi fece capire
che la notte era passata. Il sole stava sorgendo, destandomi.
Divenni maggiormente consapevole dei miei bisogni essenziali. Avevo
una sete disperata e dovevo andare al bagno.
Aprii gli occhi, trasalendo all’ondata di luce del mattino.
Non avevo tempo di esaminare i dintorni; i miei bisogni erano troppo
impellenti. Scorgendo un lavandino e un pavimento in piastrelle
attraverso una porta aperta dall’altra parte della stanza, scesi rapidamente
dal letto sconosciuto e mi precipitai nel bagno.
I miei movimenti affrettati mi fecero dolere la testa, ma quasi accolsi
volentieri quel disagio. Mi dava qualcosa su cui concentrarmi. Finché ero
assorbita dal mio malessere fisico, potevo rimandare il momento in cui
avrei dovuto contemplare appieno la mia situazione.
Mi occupai dei miei bisogni più urgenti, prima di dirigermi al
lavandino in cerca d’acqua. Un piccolo bicchiere sopra il ripiano mi fu più
utile di unire le mani a coppa per bere, perciò lo riempii di buon grado. Il
liquido rinfrescante diede sollievo alla mia lingua disidratata.
Una volta vuotato il bicchiere, notai che uno spazzolino nuovo e
confezionato mi attendeva sul ripiano, insieme a un tubetto di dentifricio.
Agendo in automatico, mi lavai i denti, e mi sentii discretamente meglio
quando la mia bocca fu fresca di menta e non più secca.
Infine, mi presi un momento per osservare effettivamente il mio
riflesso nello specchio. I miei capelli neri erano arruffati intorno al viso, le
guance abbronzate erano più pallide del solito. Un livido mi scuriva la
mascella. Era violaceo e brutto, deturpava il mio volto con la violenza.
Cristian mi aveva già lasciato dei lividi sul corpo in passato, ma non mi
aveva mai toccato la faccia. Lo shock di quel segno brutale mi procurò
una stretta al petto. Anche se sapevo che sarebbe svanito, quella vista fece
riempire di lacrime i miei occhi marroni. Le gocce calde rimasero
impigliate tra le mie ciglia folte, mentre mi sforzavo di ricacciarle indietro.
Trassi un respiro profondo, ma mi rimase bloccato in gola. Quando
espirai, l’aria lasciò il mio petto con un singhiozzo stridulo.
Le gambe mi tremarono, e non mi curai di provare a contrastare il mio
imminente crollo emotivo per un istante di più. Mi si piegarono le
ginocchia e mi afflosciai sulle piastrelle fredde sotto di me,
raggomitolandomi su un fianco, mentre i singhiozzi scuotevano il mio
corpo.
Mi trovavo in una stanza estranea all’interno di una residenza estranea,
intrappolata con degli uomini estranei che mi avevano portata via dalla
mia casa e dalla mia famiglia.
Ricordai le labbra sottili di Vicente piegate in un ghigno mentre
esaminava il mio volto; i crudeli occhi neri di Hugo che si stringevano
mentre strappava abuela via da me; il perverso sorriso di soddisfazione di
Cristian mentre prendeva a calci Andrés ripetutamente.
Abuela. Andrés.
Avevo nostalgia del calore dei loro abbracci confortanti, ma ero
completamente sola.
Mi avvolsi le braccia più strette intorno al petto, come se quella
posizione infantile potesse proteggermi dalla realtà.
«Fa’ silenzio.»
Sussultai a quelle parole ringhiate a bassa voce. Gli occhi verde chiaro
del ragazzo mi guardarono torvo dall’alto; la tenue luce del mattino li
colpiva, facendoli brillare. Ebbi la fugace impressione di una pantera, un
predatore che mi fissava da sopra. Ero piccola e indifesa sotto di lui. Una
facile preda.
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