Il Verdetto – Valeria Parrella

SINTESI DEL LIBRO:
Quando, nell’estate 2006, iniziai a scrivere la storia di Clitemnestra, avevo
chiara una cosa: che anche questa, come quella della Yourcenar, andava
messa davanti a un’aula di tribunale. Che tuo doveva essere già compiuto
nel momento in cui ella avesse iniziato a parlare poiché la giustificazione
che porta avanti non è una richiesta di comprensione, bensì la sua essenza
stessa. Un’assemblea di ciadini come i giurati in un’aula bunker, come
una folla di speatori, hanno bisogno di essere investiti da ragioni altre,
ben più universali dell’avvenimento, e poiché non possono assolverle,
abbandonano da sempre Clitemnestra in perfea solitudine esistenziale.
Non importa se questa donna sia regina di Argo o di Micene, o di un clan:
questo scrio non si riferisce a nessun accadimento di cronaca in
particolare, né si preoccupa di essere solidale alla lezione dell’epos o a
quella della tragedia.
Nel febbraio 2007 Mario Martone lo ha direo, come ao unico, per il
Teatro Stabile Mercadante di Napoli: delle continue incursioni che su di
esso ha condoo, così come Cristina Donadio e Antonio Buonomo, in fase
di allestimento dello speacolo, questo testo conserva molto. La stessa
messa in scena, il cortometraggio di Francesco Patierno che la precedeva,
hanno continuato a modificarlo: la pagina è cresciuta, con e contro la
parola recitata. La versione qui pubblicata ne è il risultato, neppure per
questo lo credo definitivo: perché racconta un ao di rabbia che non vuol
essere elaborata.
Napoli, 11 giugno 2007
CLITEMNESTRA
Non ci badate… Non badate ai miei guanti, possono sembrare démodé,
lo sono, e poi non è stagione, ma è che io non posso più guardarmi le
mani.
Devo giurare? Si giura ancora sui tribunali?
Va bene, lo giuro: giuro a voi, signori della corte, e a chiunque abbia
orecchie e intelleo per ascoltarmi fino in fondo, che quello che vi
racconterò è quello che è successo, che la stoffa dei miei guanti non
traerrà la verità.
Va bene così? Posso andare avanti?
Stavo dicendo… Non ci badate, non badate a quello che vi hanno deo:
il delio non conta nulla. Uccidere un uomo, un marito, una donna, una
gravida, un feto… niente, non è così che si versa il sangue.
Non ondeggiate ora per favore, non già da subito: siate più forti, più
pronti a sopportare la vita e le sue conseguenze, se è un giudizio che vi
apprestate a emeere, siate all’altezza del compito, ora non ondeggiate
come speatori in disappunto.
La società delle regole che voi rappresentate è caduta in un equivoco: lo
correggiamo subito.
Avete saputo di un delio, avete pensato alla premeditazione, alle
aggravanti, alla consanguineità e vi sono tremati i polsi per la rabbia: voi il
vostro verdeo già l’avete emesso. È per una questione di eleganza che
aspeo con voi finché la corte si ritiri; impiegherò però questo tempo per
chiarirvi l’equivoco del sangue. ello che vi hanno raccontato, quel sangue: l’ho versato io.
Ascoltate. Sentite pure voi? È una canzone che mi è entrata dentro,
quei motivi che ti cantano nella mente da soli.
AGAMENNONE
Nu suono ’e fisarmonica se sente / ma nun ’o ssaccio si m’o sto sunnanno
/o forse sta sunanno overamente / nu suono ’e fisarmonica se sente…
CLITEMNESTRA
Avevo sedici anni e un giorno, quando ho conosciuto mio marito:
uscivo dal liceo classico, il Viorio Emanuele, e via San Sebastiano
precipitava verso il sole. Mi chiese un fazzoleo, si sforzava di parlare
italiano, parlava con una fatica enorme ed era tuo sudato. ando glielo diedi lui mi ringraziò stringendo i denti, poi se lo passò
dietro la nuca, così, come per asciugarsi il sudore, e quando me lo restituì
era tuo sporco di sangue… Avreste dovuto sentirlo…
AGAMENNONE
Grazie, grazie assai.
CLITEMNESTRA
anto fu spavaldo, arrogante mentre mi tendeva quel fazzoleo rosso,
imbevuto, io non mi ritrassi e me lo strinsi… con queste mani.
Non avevo mai visto un uomo accoltellato, all’epoca, e neppure certe
spalle così larghe e certi occhi così profondi.
Profondo, esao: dal profondo della mia anima sentii che qualcosa mi
chiamava araverso quel fazzoleo: era la cià, la terra.
La mia terra non giustifica, signori della corte, di esserci nato dentro.
Anche se vieni da una famiglia borghese e ti mandano a scuola con la
gonna che ti arriva al ginocchio, anche se quella maina la versione di
greco l’avevo passata io a tui quanti, il sangue di quell’uomo che non si
lamentava e mi guardava oltre la ferita e oltre la paura, quella cosa lì mi
diede il tempo e la misura della mia vita.
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