Il sogno di Merlino – Jack Whyte

SINTESI DEL LIBRO:
Non riuscivo a identificare lo
sbatacchiamento che mi aveva
svegliato e per pochi battiti del mio
cuore giacqui istupidito senza sapere
dove mi trovavo. Il sole era alto e
caldo, e il mio letto era
paurosamente inclinato. Poi mi resi
conto del tepore del neonato
annidato nel mio braccio e ricordai
ogni cosa.
Eravamo alla deriva su una piccola
galea, una barca comunque troppo
grande perché potessi governarla da
solo, anche se avessi saputo come
fare. L'odore della pelle d'orso che ci
avvolgeva si mischiava ai profumi
della pece e del legno scaldati dal
sole. Un pesante rampone
arrugginito a tre rebbi era atterrato
sull'assito di fianco a me, vicino alla
mia testa. Appena lo vidi, il
rampone si allontanò di scatto, e
piantò due delle sue punte nel legno
massiccio della fiancata della galea.
Rotolai via dal bambino e alzandomi
a fatica, mi buttai contro un lato
dell'imbarcazione per guardare fuori
bordo.
Sopra di me, gigantesca al punto da
rendere insignificante la nostra
barchetta, c'era una galea con un
singolo albero e un drago rampante
dipinto sulla prua. Alla prima
occhiata vidi una fila di lunghi remi,
luccicanti d'acqua, levati
verticalmente per permettere alle
due imbarcazioni di entrare in
contatto e poi, in piedi sulla prua
dietro alla testa del drago, vidi un
guerriero dalla barba rossa che,
proteso all'indietro, tirava la corda
con una mano dopo l'altra,
trascinando la lancia verso di sé.
Accanto a lui, un altro uomo si
disponeva a tirare un secondo
rampone, e io abbassai la testa nel
momento in cui gli uncini di metallo
rimbalzarono dietro di me,
piantandosi nelle assi della lancia
verso prua, vicino al primo rampone.
Mi spostai di lato e un ruggito di
sorpresa mi disse che la mia
apparizione li aveva sconcertati
almeno quanto mi aveva stupito la
loro. Un terzo e un quarto rampone
si agganciarono alla barca, che
venne trainata come un pesce preso
all'amo.
Questa volta sollevai con cautela la
testa e capii di essere il bersaglio di
una ventina di archi, le cui frecce
erano tutte puntate ai miei occhi.
Alzai le mani con le dita aperte, per
mostrare loro di non avere
intenzione di fuggire né di
combattere, e subito mi lasciai
scivolare dalla fiancata in mezzo al
ponte, tenendo sempre le mani sulla
testa e lottando per mantenere
l'equilibrio, in attesa che la prima
freccia mi colpisse. Il bambino si era
svegliato e si era messo a urlare per
la fame, ma le sue proteste
minuscole e rabbiose si perdevano
tra i rumori che ci crescevano
intorno.
Lo guardai e scorsi immediatamente
il grosso e pesante anello d'oro con
la cresta rossa del drago, appesa a
una catena d'oro sul piccolo petto.
Mi gettai su di lui: gli tolsi l'anello
dal collo e me lo ficcai nel rinforzo
delle brache, sperando che
rimanesse lì al sicuro, senza cadere
sul ponte. Era l'unica soluzione
possibile, e comunque non avevo
tempo di meditare sull'istinto che mi
aveva indotto a nascondere l'anello
proprio in quel posto.
In pochi momenti, il primo dei nostri
soccorritori saltò a bordo, seguito da
una mezza dozzina di altri. Atterrò
con passo leggero e avanzò verso di
me con la punta della spada contro
la mia gola scoperta, guardandosi
intorno incuriosito. Era grande e
grosso quanto me, peloso come lo
sono i Celti, con una barba nera
intera, i capelli lunghi e i baffi; sul
petto, una folta peluria spuntava da
una tunica di pelle di pecora
indossata con il vello all'esterno.
Abbassai le mani e feci per parlare;
lui allontanò la punta della spada ma
poi con noncuranza abbatté il piatto
della lama contro la mia tempia.
Caddi, stordito.
Portai le ginocchia al mento per
proteggere il contenuto delle mie
brache e mi strinsi la testa tra le
mani, quasi accecato dal dolore e in
attesa che l'attacco continuasse. Il
mio assalitore, però, con me aveva
finito e in seguito mi ignorò
completamente. Quando mi si
snebbiò la vista, era chino sul
mucchio della mia armatura
abbandonata sul fondo della barca.
Con lo sguardo, indifferente alla
presenza degli altri che erano venuti
a bordo, cercai la pelle dell'orso ai
piedi dell'albero. Circondato da tre
nuovi arrivati, il bambino scalciava
e strillava, e le sue grida angosciate
si sentivano chiaramente al di sopra
di tutti i rumori. I tre uomini lo
osservavano e discutevano tra loro.
Dopo un'unica e sprezzante occhiata
verso di me, uno spostò l'ascia dalla
mano destra alla sinistra e prese il
bambino per le caviglie,
schiacciandole insieme.
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