Il leone dei templari – Saint-Clair – Jack Whyte

SINTESI DEL LIBRO:
Non avremmo mai dovuto lasciare
La Safouri. In nome di
Dio, perfino un cieco lo avrebbe
capito.»
«Davvero? Allora perché qualche
cieco non ha aperto bocca
e non lo ha detto prima che
partissimo? Sono certo che di
Ridefort l'avrebbe ascoltato e
avrebbe tenuto conto del
suggerimento di un cieco.»
«Piantala, de Belin, dico sul serio.
Che cosa ci facciamo
qui?»
«Aspettiamo che ci dicano che cosa
dobbiamo fare.
Aspettiamo di morire. È questo che
fanno i soldati, no?»
Alexander Sinclair, cavaliere del
Tempio, ascoltava la
discussione animata, benché
pacifica, che si svolgeva alle sue
spalle, ma si sforzava di mostrarsi
indifferente, perché, sebbene
una parte di lui fosse d'accordo con
le aspre critiche di messer
Antoine de Lavisse, non poteva
permettersi di darlo a vedere.
Avrebbe pregiudicato il rispetto
della disciplina. Si strinse la
sciarpa attorno al volto e si alzò in
piedi sulle staffe per
osservare l'accampamento che li
circondava: dappertutto i
rumori indistinti di corpi che si
muovevano nel buio e una voce
lontana, parte della litania che
andava avanti da tutta la notte,
un arabo che gridava «Allahu
Akbar», "Dio è grande". Alle sue
spalle, de Lavisse stava ancora
borbottando.
«Quale uomo sano di mente avrebbe
mai abbandonato una
postazione inespugnabile e sicura,
con mura di pietra e acqua
fresca in abbondanza, per marciare
nel deserto in piena estate?
E contro nemici che vivono nel
deserto, sono più numerosi
delle locuste e non patiscono il
caldo? Dimmelo, de Belin, te
ne prego. Lo voglio sapere. Ho
bisogno di conoscere la
risposta.»
«Non chiederlo a me, allora.» La
voce di de Belin era carica
di disgusto e di frustrazione. «Vai a
chiederlo a di Ridefort, in
nome di Dio. È stato lui a
convincere quell'idiota del re e sono
sicuro che sarebbe lieto di spiegarti
il perché. E poi
probabilmente ti legherà alla sella, ti
benderà gli occhi e ti
getterà in pasto ai saraceni.»
Sinclair inspirò profondamente, con
aria seccata, perché non
trovava giusto addossare solo sulle
spalle di Gerardo di
Ridefort la responsabilità della
situazione incresciosa in cui si
trovavano al momento. Il gran
maestro del Tempio, essendo un
personaggio di spicco, era un
bersaglio troppo facile e il fatto
che non facesse alcuno sforzo per
mascherare i lati sgradevoli
del suo carattere alimentava in modo
notevole la
predisposizione degli uomini
scontenti a biasimare le sue
motivazioni e le sue decisioni ogni
volta che se ne presentava
l'occasione. Quello che aveva detto
de Lavisse, cioè che il gran
maestro aveva spronato re Guido a
intraprendere le azioni delle
ultime settimane, in gran parte era
vero; Sinclair non aveva
dubbi su questo, ma sapeva anche
che Guido di Lusignano, re
di Gerusalemme, necessitava di
essere spronato per fare
qualsiasi cosa. Quell'uomo era re
soltanto di nome, era stato
incoronato grazie alle insistenze
della moglie Sibilla, sorella
del re precedente e ormai legittima
regina di Gerusalemme, che
lo adorava. Era di bell'aspetto, forte,
atletico e anche molto
virile, stando a quello che si diceva
in giro, una voce che
trovava conferma nel sorriso
compiaciuto che la moglie aveva
perennemente sul viso. E poteva
rivelarsi un compagno
piacevole e divertente, Sinclair lo
sapeva per esperienza. Ma
Guido, congenitamente debole e
indeciso, era del tutto
inadeguato quando si trattava di
esercitare il potere; non aveva
idea di cosa fossero l'integrità o
l'indipendenza personale, il che
significava che come sovrano non
valeva un granché. Tutti
erano a conoscenza, e ne ridevano,
del fatto che ogni volta che
Guido di Lusignano esprimeva con
veemenza un'opinione si
trattava di quella espressa dall'ultima
persona con cui aveva
parlato; il re era talmente malleabile
e soggetto ai
condizionamenti degli uomini più
forti che veniva disprezzato
da tutti quelli che lo circondavano.
Pertanto non c'era da stupirsi se il
gran maestro del Tempio,
che era una delle persone più
influenti della cristianità, riusciva
sempre a manipolare il re per
raggiungere i propri scopi;
Gerardo di Ridefort era uomo
politico per definizione e aveva
il compito di assicurare il benessere,
la prosperità e la
continuità all'ordine del Tempio
prima di ogni altra cosa. Agli
uomini che discutevano alle spalle di
Sinclair, tuttavia, non
interessava affatto essere saggi. Si
lamentavano per il semplice
gusto di farlo, ma la loro
controversia cessò quando uno di
loro
— a Sinclair sembrò che fosse de
Lavisse, ma non ci avrebbe
giurato — sibilò: «Sss! Attento,
arriva Moray».
Sinclair aggrottò la fronte
nell'oscurità e si voltò un poco per
vedere il suo amico, messer Lachlan
Moray, che si avvicinava a
cavallo, pronto ad affrontare
qualsiasi cosa l'alba avesse in
serbo per loro, nonostante mancasse
almeno un'ora allo
spuntare del giorno. Sinclair non fu
sorpreso, perché da quello
che aveva visto aveva capito che
nessuno era riuscito a
chiudere occhio nel corso di quella
terribile e snervante notte.
Ovunque si udivano colpi di tosse,
suoni aspri che provenivano
dalle gole irritate di uomini che,
mezzo soffocati dal fumo,
anelavano a una boccata d'aria
fresca. I saraceni, che
brulicavano sulle colline intorno a
loro, con il favore del buio
avevano incendiato gli sterpi e il
puzzo dei cespugli resinosi e
fumanti diventava ogni minuto più
intenso. Sinclair sentì un
fastidioso prurito alla gola e si
sforzò di fare respiri poco
profondi, mentre pensava che de
Lavisse, l'eterno scontento,
come al solito aveva più torto che
ragione, malgrado fosse fin
troppo evidente che l'esercito quella
notte non avrebbe dovuto
accamparsi lì.
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