Mala Tempora – Fabrizio Carcano

SINTESI DEL LIBRO:

 La notte prima degli esami non passava mai.
Ma alla fine la mattina era arrivata. Presto, prestissimo. D’altronde quello
era il giorno più lungo dell’anno, no? Faceva caldo, nonostante fossero solo
le sei del mattino.
Un’alba afosa incubava una nuova giornata per Milano.
Una giornata, quella domenica, di riposo o di gite fuori porta per un
milione e mezzo di milanesi. Per poi tornare il giorno successivo alla solita
vita frenetica tra uffici e traffico.
L’ultima giornata di una vecchia vita per una di loro.
Che scalpitava per voltare pagina e ricominciare.
Una nuova vita, a colori, completamente diversa da quella scialba e in
bianco e nero vissuta finora, l’attendeva.
Promettendo emozioni, soldi, divertimento. Tutto.
Ancora un giro completo delle lancette piccole dell’orologio.
Dall’alto del suo balcone vedeva una porzione di una Milano privilegiata,
stesa ai suoi piedi.
La Milano del centro, la Milano più bella, quella ricca ed elegante, stava
sotto di lei. Si sentiva una regina.
Sorrise per scacciare la tensione che l’avrebbe accompagnata in quella
giornata che si preannunciava interminabile.
Doveva far passare le ore e soprattutto la paura.
Decise di farsi un tè, poi sarebbe uscita per una passeggiata in Brera.
Milano, domenica 30 giugno 2013
Ammaliatrice. Limpida e pulita, l’acqua del Naviglio della Martesana tentava
a un bagnetto impensabile in piena metropoli. Le piante acquatiche,
muschiose, oscillavano sul basso fondale. Qualche pesciolino guizzava tra i
rivoli. Un trenino di paperotti multicolori, guidati dalla mamma, risaliva
contro corrente, spostandosi dal centro alla periferia, nel senso letterale del
termine.
Angelo Cerutti, ex capo operaio alla Pirelli, in pensione da un decennio, la
corrente invece la accompagnava. Almeno all’andata.
La sua passeggiata prevedeva lo stesso copione. Sempre.
Da via Idro, dove abitava, cominciava a percorrere la pista ciclabile con
un’andatura spedita e regolare. Arrivava fino in fondo, fino allo splendido
mulino di piazza De Marchi, una fetta di Amsterdam trapiantata sotto la
Madonnina: lì le acque s’interravano e la pista terminava, obbligandolo a fare
dietro front e rientrare rifacendo lo stesso percorso.
Un allenamento intenso, mirato, nella speranza di sconfiggere il tempo, in
un impari braccio di ferro, e mantenere una forma fisica che a settantadue
anni cominciava a sfuggirgli.
Era il fiato che lo stava tradendo, maledetto, insieme a quei muscoli,
maledetti anche loro, che stavano perdendo la resistenza e la tonicità di cui
andava fiero da sempre.
Eppure la sua condotta di vita restava spartana, niente fumo, solo un
bicchiere di rosso a cena, a letto con le galline la sera, sveglia prima delle sei
ogni sacrosanta mattina che il buon Dio gli regalava.
Camminando veloce sudava copiosamente, nonostante la frescura di
quell’alba appena spuntata e ancora titubante.
Lui, invece, era sveglio e pimpante.
Come un ragazzino, pensava orgogliosamente l’Angelino Cerutti.
Però guai a chiamarlo Lino, s’imbestialiva, perché poi sapeva come andava
a finire.
Sempre con quella maledetta canzonetta del Gaber.
Il suo nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan drago
gli amici al bar del Giambellino dicevan che era un mago...
E maledetto anche lui, il signor G, non poteva sceglierne un altro di
cognome?
Al solo pensiero gli montava il sangue alla testa.
Intanto era giunto a costeggiare il largo di via Tofane, una striscia di
parcheggi a lisca di pesce, qualche panchina e un po’ di verde nello spiazzo
antistante alla strada: di fronte a lui i ponti della ferrovia e i cavalcavia che
uniscono la zona di viale Monza a quella di Greco.
In lontananza gli edifici della Regione e gli altri grattacieli ad annunciargli
che la passeggiata stava per terminare

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