Mare greco: Eroi ed esploratori nel Mediterraneo antico – Massimo Manfredi

SINTESI DEL LIBRO:

Il romanzo di Odisseo 
1. L'uomo 
 Odisseo, o Ulisse come lo chiamarono i Romani, è certamente fra i personaggi preferiti da Omero, 
se non addirittura il suo beniamino. 
Nell'Iliade egli fa parte della ristrettissima cerchia degli eroi di prima grandezza assieme ad 
Agamennone, Menelao, Idomeneo, Nestore, Achille, Aiace Telamonio, Aiace Oileo, Diomede, 
benché la consistenza delle sue forze, quale appare dal "Catalogo delle navi", sia trascurabile: 
appena dodici navi e, al massimo, poche centinaia di guerrieri. 
 Si è detto che l'esiguità del suo contingente, quale è dichiarato nell'Iliade, sarebbe spiegata dalla 
necessità di non contraddire il numero indicato nell'Odissea - il che, ovviamente, implicherebbe per 
il "Catalogo delle navi" una datazione posteriore a quella della composizione dell'Odissea - ma la 
cosa di per sé ha un'importanza relativa. Odisseo è un piccolo re delle isole occidentali: Dulichio, 
Zacinto, Same, Itaca e forse una piccola striscia di costa continentale in Tesprozia dove viveva il 
nonno materno Autolico, ma la sua importanza non viene dalla ricchezza e vastità del suo regno 
bensì dalle sue doti personali. Benché nell'Iliade non si racconti la caduta di Troia, il poeta sa che la 
vittoria fu merito di Ulisse. Fra i molti epiteti che accompagnano il suo nome vi è infatti anche 
quello di ptoliethros, "distruttore di città", lo stesso che poi ricorre frequentemente nell'Odissea e
che l'eroe in persona si attribuisce quando rivela la propria identità al ciclope Polifemo che ha 
accecato, o ai Feaci che lo hanno ospitato. 
 Si sono volute spesso distinguere le due facce dell'eroe così come appaiono nei due poemi quasi 
che si trattasse di due personaggi diversi. In particolare si è notato che l'Ulisse dell'Iliade appare più 
oplita che arciere e anzi, nei giochi in onore di Patroclo, nemmeno partecipa alla gara del tiro con 
l'arco che pure ha come premio dodici bipenni. In realtà la distinzione è forzosa: l'arco nell'Iliade è 
un'arma secondaria perché le battaglie sono sempre scontri di fanteria pesante (i carri vi hanno una 
funzione assolutamente inadeguata al loro vero ruolo che era di massa d'urto e non di semplice 
mezzo di trasporto) e non si vede come Ulisse avrebbe potuto usare l'arco combattendo, come fa, 
sempre in prima linea. I Locresi di Aiace Oileo, che sono tutti arcieri, appaiono infatti in posizione
arretrata nello schieramento. I giochi in onore di Patroclo rappresentano inoltre un blocco quasi a sé
stante, che sembra frutto di un'inclusione dei periodi più recenti. D'altro canto anche nell'Odissea 
l'eroe, pur caratterizzato come arciere nel momento supremo della sua avventura, fa uso, in varie 
situazioni, anche di armi diverse come la lancia o la spada. 
 Per quanto ci riguarda riteniamo che il personaggio di Ulisse si possa leggere sostanzialmente in 
modo coerente, per cui il ritratto che cercheremo di evocarne si baserà su ambedue i poemi, anche 
se faremo riferimento in un primo momento principalmente all'Iliade per ragioni di successione 
cronologica nella vicenda dell'eroe. 
 Nell'Iliade Ulisse si distingue, unico fra gli eroi maggiori, per la forza del braccio ma soprattutto 
per l'acume della mente e per il buon senso: per questo è sempre incaricato delle missioni più 
delicate, quelle che esigono abilità e cautela. lui, dopo il responso di Calcante e la lite fra Achille e 
Agamennone, a riaccompagnare Criseide al padre e a officiare l'ecatombe riparatrice al dio Apollo. 
A lui Atena suggerisce di fermare gli Achei che corrono alle navi, dopo che Agamennone ha 
lasciato trapelare ad arte l'intenzione di fare ritorno in patria per mettere alla prova lo spirito 
combattivo dell'esercito. ancora lui ad essere inviato, assieme ad Aiace Telamonio e Fenice, alla 
tenda di Achille per convincerlo a tornare in combattimento. 
 Gli altri re hanno di lui grandissima stima e sono con lui in rapporti personali eccellenti: 
Agamennone gli dà incarichi di alta fiducia e afferma esplicitamente che se avesse dieci consiglieri 
come lui avrebbe già vinto la guerra, Diomede lo vuole come compagno nell'impresa notturna della 
Dolonea, Achille lo onora e lo riempie di lodi e di complimenti quando va a trovarlo nella sua 
tenda, Aiace Telamonio accorre con rischio altissimo a salvarlo da una situazione ormai senza 
scampo dopo aver udito il suo triplice grido. Menelao nell'Odissea rivela addirittura a Telemaco la 
sua intenzione di invitarlo a trasferirsi con la sua gente in Peloponneso vuotando alcune città per far 
posto a lui e al suo popolo. 
 A sua volta, con i re suoi pari Ulisse tratta sempre con il dovuto tono e con le espressioni 
protocollari che il poeta ci ha conservato, certamente tipiche del galateo aristocratico. Allo stesso 
tempo egli sa essere duro e determinato con i comuni mortali quando la situazione lo richieda. E a 
questo proposito egli non fa mistero nemmeno delle sue idee in fatto di gerarchie sociali: "Pazzo, 
stattene fermo a sedere, ascolta il parere degli altri,@ che sono più forti di te; tu sei vigliacco e 
impotente,@ non conti nulla in guerra e nemmeno in Consiglio:@ certo che qui non potremo 
regnare tutti noi Achei!@ No, non è un bene il comando di molti: uno sia il capo,@ uno il re, cui 
diede il figlio di Crono pensiero complesso,@ e scettro e leggi, ché agli altri provveda.@" 
 (Il.: II, 200-206) 
 Il notissimo episodio di Tersite è poi la descrizione pratica del comportamento di Ulisse nei 
confronti del comune soldato che tenta di far valere le proprie ragioni. Il malcapitato è battuto a 
sangue e duramente minacciato tra le risate dei presenti e i commenti di 
approvazione: 
 "Ah, davvero mille cose belle ha fatto Odisseo,@ dando buoni consigli e primeggiando in 
guerra@ ma questa ora è la cosa più bella che ha fatto tra i Danai,@ che ha troncato il vociare di 
quel villano 
arrogante.@" 
 (Il.: II, 272-275) 
 Per contro, il fatto che Tersite sia solito sparlare soprattutto di Ulisse e di Achille fa pensare che i 
due eroi siano posti dal poeta praticamente sullo stesso piano di eccellenza, anche se per ragioni 
diverse. 
 Un'altra delle sue doti è l'eloquenza, che ne fa l'ambasciatore ideale: apprendiamo da Nestore che 
Ulisse lo accompagnò a Ftia per chiedere ad Achille e a Patroclo di prendere parte alla guerra, e 
Antenore rievoca il giorno in cui l'itacese accompagnò Menelao a 
Troia per chiedere la restituzione di Elena: 
 "Ma ogni volta che Odisseo abilissimo si levava,@ stava in piedi, guardando in giù, fissando gli 
occhi in terra,@ e non moveva lo scettro né avanti né indietro,@ lo teneva immoto, sembrando un 
uomo insipiente;@ avresti detto che fosse irato o pazzo del tutto.@ Quando però voce sonora 
mandava fuori dal petto,@ parole simili ai fiocchi di neve d'inverno,@ allora nessun altro mortale 
avrebbe sfidato 
Odisseo... @" 
 (Il.: III, 216-223) 
 Un saggio della sua eloquenza ci è offerto nel discorso col quale tenta di convincere Achille (senza
peraltro riuscirvi) a recedere dal suo corruccio: si tratta di un lungo discorso (oltre ottanta versi)
sapientemente impostato su due registri. Nel primo egli vuole lusingare il giovane offeso con 
l'elenco di splendidi doni da parte del capo supremo. I doni vengono non solo enumerati ma 
descritti a tinte vivaci, specialmente le città e le campagne dell'Argolide che gli verrebbero cedute 
con le mandrie, gli alberi, i prati, con gli abitanti che lo onorerebbero come un dio. Nel secondo, 
quasi rendendosi conto dell'imminente rifiuto del Pelìde, egli fa appello alla sua compassione per i 
compagni che muoiono in battaglia senza 
colpa

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