Grande amore – Ann Brashares

SINTESI DEL LIBRO:
Non lo conosceva da molto tempo. Era comparso all’inizio del terzo
anno delle superiori. La città era piccola e anche il distretto
scolastico: erano sempre le stesse persone che si vedevano, anno
dopo anno. Quando arrivò era un ragazzino delle medie come lei,
ma in qualche modo sembrava più grande.
Lei ne aveva sentite tante su dove e come avesse passato i
suoi primi diciassette anni di vita, ma dubitava che in quelle storie ci
fosse qualcosa di vero. La gente diceva che prima di arrivare a
Hopewood era stato in un centro d’igiene mentale, che suo padre
era in prigione e che lui viveva da solo. Dicevano che sua madre era
stata uccisa, molto probabilmente da suo padre, e che lui portava
sempre le maniche lunghe perché aveva delle bruciature sulle
braccia. Per quanto ne sapeva lei, non si era mai opposto a quelle
dicerie e non aveva mai fornito una versione alternativa.
E anche se Lucy non ci credeva, capiva il motivo per cui
giravano quelle voci sul suo conto. Daniel era diverso, anche se
tentava di non esserlo. Aveva un’espressione fiera, ma in lui c’era un
che di tragico. Le sembrava che nessuno si fosse mai preso cura di
lui, e che lui non se ne fosse neppure reso conto. Una volta lo vide in
piedi accanto alla finestra della caffetteria, in mezzo alla folla che lo
spintonava sbatacchiando i vassoi e chiacchierando senza sosta…
sembrava completamente perso. In quel momento c’era qualcosa
nel suo aspetto che la indusse a pensare che fosse la persona più
sola al mondo.
Quando fece il suo ingresso a scuola per la prima volta ci fu un
po’ di confusione, per via del suo aspetto fisico: era davvero bello,
alto, robusto e sicuro di sé, e portava vestiti più eleganti della
maggior parte degli altri ragazzi. Vista la sua stazza, all’inizio gli
allenatori lo tenevano d’occhio, sperando di farlo giocare a football,
ma a lui non interessava. Ma dato che la cittadina era piccola,
noiosa e piena di persone curiose, i ragazzi parlavano e
cominciarono i pettegolezzi. All’inizio si diceva bene di lui, ma poi
commise qualche errore: a Halloween non si presentò alla festa di
Melody Sanderson, anche se l’aveva invitato di persona davanti a
tutti nel corridoio della scuola; poi parlò con Sonia Frye per tutto il
picnic di fine anno, anche se la gente come Melody la considerava
uno scherzo della natura da non avvicinare. Vivevano tutti in un
delicato ecosistema sociale, e già alla fine del primo inverno la
maggior parte delle persone lo temeva.
Tranne Lucy. Neanche lei sapeva perché. Non teneva in gran
considerazione Melody e il suo gruppo di ragazze alla moda, ma si
muoveva comunque con i piedi di piombo.
Tanto per cominciare partiva svantaggiata, e non voleva
diventare un’emarginata… non poteva fare questo a sua madre, non
dopo quello che aveva già passato con sua sorella. E poi non era
nemmeno il tipo a cui piacevano i ragazzi difficili. Per niente.
Si era fatta la strana idea – una specie di fantasia, a dire il vero
– di poterlo aiutare. Sapeva come andavano le cose dentro e fuori
da scuola, e quel che ci voleva per sopravvivere in entrambi i casi.
Sentiva che lui portava un peso più grande della maggior parte delle
altre persone, e questo le faceva provare una strana e dolorosa
empatia nei suoi confronti. Si sentiva onorata all’idea che avesse
bisogno di lei, che forse lei sarebbe riuscita a capirlo.
Ma lui non sembrava affatto pensarla allo stesso modo.
In quasi due anni non le aveva rivolto la parola neanche una
volta. Be’, un giorno era inciampata nel laccio della sua scarpa… si
era scusata, e lui l’aveva fissata e aveva mormorato qualcosa. Dopo,
Lucy si era sentita inquieta e agitata, e la sua mente aveva
continuato a tornare su quell’episodio, cercando di capire cos’aveva
detto Daniel e il significato delle sue parole; ma alla fine aveva
deciso di non aver fatto niente di male e che, se alle tre del
pomeriggio lui se ne andava in giro con la scarpa slacciata nel
corridoio della scuola, il problema era suo.
«Secondo te, ci sto pensando troppo?», aveva chiesto a Marnie.
L’amica l’aveva guardata come se si stesse sforzando di non
strapparsi i capelli. «Sì, credo che tu ci stia pensando troppo. Se
esistesse un film su di te, s’intitolerebbe Ci sto pensando troppo».
Lì per lì Lucy aveva riso, ma poi si era preoccupata.
Marnie non voleva essere cattiva. Le voleva bene sul serio, più
di chiunque altro al mondo, a eccezione forse di sua madre, che la
amava profondamente, anche se non nel modo giusto. Marnie
odiava vederla tanto presa da qualcuno che non era interessato.
Lucy aveva il sospetto che Daniel fosse una specie di genio.
Non che facesse o dicesse qualcosa per dimostrarlo, ma una volta
gli si era seduta accanto durante una lezione d’inglese e, mentre la
classe discuteva di Shakespeare, l’aveva osservato di nascosto.
Con le sue grandi spalle, rannicchiato sul taccuino, l’aveva visto
scrivere uno dopo l’altro sonetti imparati a memoria, in una bella
grafia inclinata che le fece pensare a Thomas Jefferson mentre
redigeva la Dichiarazione d’Indipendenza. Dall’espressione che
aveva, Lucy capì che era lontanissimo dalla squadrata auletta con le
luci intermittenti al neon, il pavimento di linoleum grigio e la piccola
finestra. Mi chiedo da dove vieni, pensò. Mi domando perché sei
finito in questo posto.
Una volta, in un impeto d’audacia, gli aveva chiesto quali
compiti d’inglese ci fossero da fare. Lui si era limitato a indicare la
lavagna, dov’era scritto che avrebbero dovuto prepararsi per un
tema in classe su La tempesta, ma sembrava che avesse voluto
aggiungere qualcos’altro.
Lucy sapeva che era in grado di parlare; l’aveva sentito farlo
con altre persone. Si preparò a lanciargli uno sguardo
d’incoraggiamento ma, quando incrociò quegli occhi dello stesso
colore dei piselli in scatola, all’improvviso fu colta da un imbarazzo
talmente forte che chinò la testa e non la rialzò più fino alla fine della
lezione. Di solito Lucy non si comportava così. Era una persona
abbastanza sicura di sé, sapeva chi era e qual era il suo posto. Era
cresciuta per lo più fra ragazze ma, tra comitati studenteschi, corso
di ceramica e i suoi due fratelli, aveva molti amici maschi.
Nessuno di loro le faceva l’effetto che le faceva Daniel.
E poi ci fu quella volta, alla fine del terzo anno, quando stava
svuotando l’armadietto. Lucy era triste all’idea di non vederlo per
tutta l’estate. Aveva parcheggiato con due ruote sul marciapiede la
Chevrolet bianca e arrugginita di suo padre a un paio d’isolati dalla
scuola. Stava cercando di tenere la portiera aperta, e aveva lasciato
in terra le pile di fogli e libri che erano nell’armadietto e una scatola
di cartone con le sue ceramiche.
A un tratto aveva visto Daniel, all’inizio solo con la coda
dell’occhio. Non stava andando da nessuna parte e non aveva
niente in mano. Era semplicemente lì, immobile, con le braccia
abbandonate lungo i fianchi, che la fissava con la solita espressione
persa, triste e un po’ distaccata, come se non stesse guardando
soltanto lei ma anche dentro di sé. Lucy si era voltata e aveva
incrociato il suo sguardo, e quella volta nessuno dei due lo aveva
distolto di scatto. Daniel era rimasto fermo come se stesse cercando
di ricordare qualcosa.
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