Giochi di spada – Michelle Willingham

SINTESI DEL LIBRO:
Il legno scricchiolò: un rumore quasi
impercettibile per chiunque altro,
ma Honora St. Leger era abituata a
cogliere piccoli segnali come quello,
che rivelavano una presenza.
Era lui: il ladro che sperava di
catturare.
Le ginocchia le dolevano sul
freddo pavimento di pietra della
cappella. Fingendo di pregare,
strisciò verso l’altare e la spada che
vi aveva nascosto sotto.
Una settimana prima era stato
rubato un crocefisso di legno e la
notte precedente era sparito un
calice. Le guardie di suo padre non
avevano trovato nessuna traccia del
malfattore.
I capelli si rizzarono sulla nuca, gli
istinti si risvegliarono. Era quasi
arrivata. Rallentò il respiro e
mentalmente si preparò a
combattere.
Sollevò piano la tovaglia d’altare e
tastò l’elsa metallica. Le candele si
spensero per un improvviso soffio di
vento.
Honora scattò in piedi, pronta a
colpire. C’era qualcuno: lo rivelava
un leggero rumore di passi.
L’oscurità avvolgeva l’ambiente.
Non potendo vedere, bisognava
ricorrere agli altri sensi. Nemmeno
l’avversario, comunque, era in grado
di scorgere lei.
Quando il ritmo dei passi cambiò,
fu colta da un’improvvisa paura.
Gesù! Erano in due.
Qualcosa si mosse alle sue spalle.
Senza nemmeno riflettere, ruotò la
spada e colpì un oggetto metallico. Il
ladro parò con destrezza, facendole
vibrare il braccio.
Come diavolo si era procurato
una spada? Dunque non era un
ladruncolo comune, ma un
guerriero bene addestrato. Il terrore
aumentò.
Honora si fidava della propria
abilità, ma battersi alla cieca era
molto difficile. Inoltre, nella cappella
c’era qualcun altro, che lei non
riusciva a distinguere.
I passi accelerarono, ma non si
capiva se si avvicinassero o si
allontanassero.
Sferrò un fendente e fu ricambiata
da una fitta di dolore. «Chi siete?»
domandò. «Cosa volete?»
Silenzio.
Quando roteò di nuovo la lama,
non colpì nulla. Si fermò e ascoltò
con attenzione. Silenzio. Restava
soltanto il freddo che penetrava dalla
porta aperta. Nessun fruscio, nessun
respiro estraneo turbava la quiete. I
due uomini erano scomparsi.
Perché?
Forse il secondo aveva scacciato il
primo, come un ignoto difensore?
Perplessa e preoccupata, Honora
si lasciò cadere in ginocchio. L’elsa
della spada era calda nella sua mano
e il cuore le martellava nel petto.
Erano passati sei mesi da quando era
fuggita da Ceredys, la dimora del
defunto marito, ed era tornata al
castello di suo padre.Aveva sperato
di sentirsi al sicuro ad Ardennes, ma
la sua certezza iniziava a vacillare.
La innervosiva l’insistenza del
ladro, che continuava a tornare
come per cercare qualcosa. Ma cosa?
Avrebbe voluto ritirarsi in
camera, però sapeva che la sorella
Katherine stava dormendo. Non
poteva esporla al pericolo, attirando
da lei i furfanti.
Dunque accese le candele e tentò
di calmarsi con il rassicurante
profumo di cera d’api e incenso.
Spada in pugno, si sedette per
terra e appoggiò la schiena al muro
di pietra, nonostante fosse ruvido e
gelido.
Proprio mentre raccoglieva la
gonna attorno alle gambe, si accorse
che mancava lo scrigno intagliato.
Lo aveva portato da Ceredys, dopo
averlo ricevuto in dono da Marie St.
Leger, sua suocera.
Era stato rubato.
Honora guardò infuriata lo spazio
vuoto dov’era posato fino a pochi
minuti prima. Mormorò una
preghiera per Marie e giurò a se
stessa di fare giustizia.
«Non ti sposerà.»
Ewan MacEgan si schermò gli
occhi dal bagliore del sole, che
iniziava a calare sull’orizzonte. La
previsione del fratello non lo stupì.
In quanto ultimogenito, possedeva
soltanto un minuscolo
appezzamento di terreno. Come
poteva illudersi di conquistare la
mano di una bella ereditiera?
Tuttavia si trattava di Lady
Katherine di Ardennes, la donzella
che Ewan idolatrava da tempo, da
quando era un sedicenne. Mentre gli
altri schernivano i suoi modi
impacciati, infatti, lei sorrideva
benevola: Un giorno li sconfiggerete
tutti, gli assicurava.
Sebbene avesse soltanto
quattordici anni, lo sosteneva con la
sua tranquilla fiducia. Ormai era
diventata una giovane donna,
ambita da decine di pretendenti, e
lui intendeva prenderla in moglie.
«La conosco sin dall’infanzia»
spiegò al fratello maggiore.
Bevan fermò il cavallo in riva al
fiume per farlo abbeverare. «Sono
passati cinque anni. Suo padre
preferirà darla in sposa a un ricco
nobile, non a un irlandese
squattrinato.»
«Guadagnerò grandi ricchezze»
promise Ewan. «Abbastanza per
fondare un regno.» Nonostante
l’ostentata sicurezza, dubitava
quanto Bevan che Lord Ardennes lo
considerasse degno dell’adorata
figlia minore. L’unico elemento a
suo favore era il sangue reale, poiché
Patrick, il primogenito dei MacEgan,
era sovrano di un vasto territorio in
Éireann.
Bevan appoggiò l’avambraccio al
dorso del cavallo e lo guardò.
«Consentici di aiutarti. Perché non
accetti le terre offerte da Patrick?»
«Non desidero niente che non
abbia conquistato io stesso. Se non
ottengo terreni con le mie forze, non
ne voglio.» Non intendeva
comportarsi in modo importuno,
approfittando dei beni altrui.
«Sei troppo orgoglioso, non ti
pare?» La cicatrice sul volto di Bevan
si tese. «In questo caso l’ostinazione
non ti gioverà. La famiglia della
ragazza possiede ricchezze
inimmaginabili. Lady Katherine
sposerà un aristocratico d’alto rango:
tu non hai alcuna possibilità. »
Ewan rifiutava di crederlo. «Devo
almeno tentare.» Si irrigidì e fissò lo
sguardo sull’orizzonte. Quindi
spronò il cavallo, fingendo di non
notare la compassione sul viso del
fratello.
«Altre fanciulle potrebbero essere
più adatte a te» continuò Bevan,
addolcendo il tono. «Magari una
giovane irlandese. Scegliendo una
bella cailín delle nostre parti, non
dovresti vivere qui, in mezzo ai
nemici. »
Rinuncia a questa impresa
titanica, intendeva dirgli. Non
aspirare a ciò che non puoi
raggiungere.
Era lo stesso consiglio che gli
avevano impartito i fratelli anni
prima, quando aveva espresso il
desiderio di diventare guerriero.
Ewan era privo dei talenti naturali
di Patrick e Bevan. E, per quanto si
addestrasse, si affidava alla forza
bruta e non all’abilità. Tuttavia,
nonostante i numerosi insuccessi,
era riuscito a diventare l’uomo forte
e valoroso che era.
Non poteva impegnarsi allo stesso
modo per conquistare una donzella?
La perseveranza contava pur
qualcosa, no?
Si voltò verso il fratello. «È lei che
voglio.»
Con un profondo sospiro, Bevan
fermò di nuovo il cavallo e lo
guardò. Ormai erano a meno di
cinque miglia dal castello.
«L’importante è che tu ne sia
convinto. »
Proseguirono in silenzio, fianco a
fianco, per il resto del tragitto. Ewan
conosceva bene il paesaggio di
campi verdeggianti che si elevavano
verso le colline. Niente era mutato
negli ultimi cinque anni.
D’improvviso si ricordò della
felicità provata in quei luoghi.
Anche se i suoi parenti
consideravano i Normanni come
nemici, lui non li aveva mai ritenuti
tali. Aveva trascorso con loro tre
anni, grazie agli accordi presi da
Genevieve, la moglie di Bevan.
Aveva terminato il periodo di
addestramento con il padre di lei,
Thomas de Renalt, Conte di
Longford, che gli aveva insegnato a
combattere.
Provò un senso di profondo
disagio nel guardare le cicatrici sui
palmi. Le ferite erano guarite da
tempo, ma le mani erano rimaste
piuttosto rigide. Dunque aveva
bisogno di grande concentrazione
per impugnare la spada e doveva
compensare in altri modi i
movimenti maldestri.
Tuttavia sapeva di meritare quegli
sfregi per il male che aveva arrecato
a Bevan. Lanciò un’occhiata al
fratello, pentendosi di tutto cuore
per averlo tradito. Anche se era stato
perdonato, si sentiva sempre in
colpa.
Scorse in lontananza il castello del
Barone di Ardennes. L’imponente
struttura era una combinazione di
legno e pietra. Il bastione esterno si
elevava fino all’altezza di due
uomini. L’enorme torre interna era
munita di spalti merlati e attorniata
da edifici annessi in legno.
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