Fissato – Mingo McCloud – A.J. Llewellyn

SINTESI DEL LIBRO:
Sai, papà, ho letto un articolo online secondo cui i genitori gay
hanno quasi sempre figli gay. Tu e papà dovete stare facendo
qualcosa di sbagliato, perché a me piacciono le ragazze.”
Ma insomma. Avevo a malapena aperto gli occhi e non avevo
ancora bevuto la mia prima tazza di caffè e il mio figliastro, Ferric, mi
poneva una questione del genere di prima mattina. Per un attimo,
nessuno disse niente. Sentivo frinire i grilli, che neanche ci sono alle
Hawaii. Beh, in realtà ci sono, ma un qualche giro dell’evoluzione ha
reso silenziose le specie che abbiamo qui. Ma sto divagando...
Mi schiarii la gola mentre il mio compagno, Francois, mi ficcava in
mano una tazza di caffè fumante. Colsi il suo sorrisetto malizioso,
oltre a una zaffata di puro aroma Kona. Mmm... cosa volevo di più? Il
mio uomo o il caffè? Ferric era suo figlio, e la mela non cade mai
lontano dall’albero.
Lanciando un’occhiata al nostro ragazzo, decisi che alle sei e mezza
di mattina la chiave era l’umorismo.
“Sono contento che ti piacciano le ragazze, Ferric. Altrimenti, come
potrei avere i nipotini che tanto desidero?”
Ferric mi fissò a bocca aperta. “Nipotini? Ma sei fatto? Non sto
parlando di bambini. Sto parlando di sesso.”
“Beh, ho una notizia per te,” replicai, rinfrancato da un paio di sorsi di
caffè e dal sorriso di Francois che andava allargandosi. “È col sesso
che si fanno i bambini.”
“No, se uso il preservativo.” Ferric aggrottò la fronte. “Sai, cominci a
sembrare la nonna.”
Oh, mio Dio! Vuole fare sesso? Dove ho sbagliato? Lo abbiamo in
custodia solo da sette mesi e già comincia a parlare di sesso!
L’abbiamo corrotto!
“No, invece.” E invece sì, porca miseria. Mia mamma non faceva che
dire di volere altri nipoti. Era pazza di Ferric.
“Sì, invece. Dopodiché, ridipingerai la cucina color verde avocado.”
“Proprio no.” Iniziai a sudare. Perché all’improvviso pensavo che il
verde avocado fosse il nuovo colore di moda?
“Oh, Ferric.” Misi giù la tazza, corsi da lui e gli gettai le braccia
intorno alle spalle, coperte da una camicia hawaiana. “Mi dispiace.
Hai ragione, sembro lei. Non ti ho corrotto, vero?”
Ferric si mise a ridere. “Nah, nessun danno permanente.” Doveva
aver visto l’angoscia sul mio viso. “Ti prendevo in giro, papà. Sto
bene. E ti perdonerò se mi organizzi un appuntamento con... lei.” Si
scostò da me e indicò il computer portatile sulla panca in cucina.
“Chi è quella?” Strizzando gli occhi, osservai la bellezza esotica dai
capelli scuri con indosso un bikini stringato.
Sgualdrinella svergognata.
“Alika Clayton,” rispose Ferric, con l’espressione che assumevo io
quando guardavo suo padre. “È una campionessa di surf e la miglior
danzatrice di hula di tutte le isole.”
Lessi l’articolo. “Ha quindici anni.”
“D’accordo, è più grande di me.” Mio figlio quattordicenne si strinse
nelle spalle. “Però va bene se mi piacciono le ragazze, giusto?”
Prima che potessi rispondere, alzò una mano. “E non ricominciare a
parlare di bambini.”
Ripresi il mio caffè. “Va benissimo.”
Ferric sorrise. “Forte, papà.”
Finalmente prese la parola Francois. “Immagino che dovremmo fare
un discorsetto sul sesso.”
“Me ne ha già parlato mamma un paio d’anni fa,” rispose Ferric. “E
non ho in programma di fare sesso prima dei diciotto anni. A scuola
ci hanno insegnato tutto sul sesso sicuro e sulle malattie veneree.
Qualcuno di voi conosce Alika Clayton?”
Io e Francois ci guardammo, poi scuotemmo la testa.
“No, mi spiace, tesoro,” disse Francois.
Ferric parve grandemente deluso. “Beh, un ragazzo può sperare,
no?”
Già. Il pensiero che quella ragazza... che qualunque ragazza
facesse sesso con mio figlio e gli spezzasse il cuore... accidenti,
stavo per avere un infarto?
“Respira, amore.” Francois mi appoggiò una mano sulla spalla.
All’improvviso Ferric s’illuminò. “Visto che voglio conservarmi per lei,
avete quattro anni di tempo per conoscerla. Sarà un magnifico
regalo di compleanno per me.”
“Non preferiresti una moto d’acqua?” gli chiesi.
Ferric mi fissò con un sopracciglio sollevato, poi andò a fare la
doccia prima di partire per il suo campo scuola. Sarebbe rimasto
fuori casa per quattro giorni e l’ansia da separazione mi stava già
uccidendo. Da quando era venuto a vivere con noi, non avevamo
passato neppure una notte lontani. Francois e io avevamo stravolto
le nostre vite per quel ragazzino. Ma ne era valsa la pena. Adesso
non riuscivamo a immaginare di passare anche solo un giorno senza
di lui.
“Mingo, respira,” ripeté Francois.
Trassi un paio di respiri leggeri.
“Non andare nel panico. Ha detto che vuole conservarsi per lei.” Mi
rimise in mano la tazza di caffè. “Secondo me è dolce come cosa.
Perché sei preoccupato?”
“Sta pensando di fare sesso. Sesso! Io non ci pensavo quando
avevo quattordici anni.”
“Io sì.”
“Ovvio, dio del sesso che non sei altro. Pensavo solo che avessimo
un altro paio d’anni da trascorrere stile famigliola del Mulino Bianco.”
Francois si mise a ridere. Dio, quant’era sexy. L’uomo più sexy che
avessi mai visto. Alto, muscoloso, attraente, un po' seccante. La mia
grande, nera, crudele, bellissima macchina del sesso.
“Mi spiace doverti dire che, anche se conserverà il sesso vero per
quella ragazza, probabilmente si masturberà pensando a lei almeno
sette volte al giorno,” mi avvertì.
“Oh, mio Dio.” Mi premetti le mani sulle orecchie. “Non voglio sentire
queste cose.”
“Mingo, io sono nato pensando al sesso.” Francois finì di bere il
caffè.
“Perché la cosa non mi sorprende? Quanti anni avevi quando hai
perso la verginità?”
Lui diede un morso a una fetta di dolce alle mandorle. “Nove.” Lo
disse come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Nove?”
“Anche lei era più grande di me. Era la mia babysitter.”
“Oddio. Non voglio ascoltare neanche questo.”
“Tu quanti anni avevi?” Mi ficcò in bocca una fetta di torta.
“Sono sbocciato tardi.”
“Quanti anni avevi, dolcezza?”
“Diciannove.”
Lo sguardo di Francois si ammorbidì e mi rivolse un sorriso
disarmante. “Oh, Mingo, ti amo.”
Si chinò su di me e mi diede un bacio spettacolare. Restammo a
fissarci per un momento. Tre notti da soli. Avremmo di nuovo potuto
fare sesso in tutta la casa. Era qualcosa da aspettare con ansia. La
camera di Ferric vuota, un po' meno.
Squillò il telefono. “Scommetto che è tua madre,” disse Francois.
“Non starla a sentire. Nostro figlio starà benone.”
Si allontanò, e io risposi.
“Mingo,” esordì mamma. “Il Kilauea sta eruttando. Non puoi lasciar
andare il nostro bambino al campo. Potrebbe succedere di tutto!”
“Mamma, il Kilauea è sulla Grande Isola,” le ricordai.
“Sì, ma lui sarà all’aperto,” ribatté lei.
Ma porca vacca tostata. Perché le farneticazioni di quella pazza
cominciavano ad avere un senso per me?
“Uff...”
“Parla con Francois,” concluse. “A te darà retta.”
Mamma era venuta a cena da noi la sera prima. Si era opposta con
fermezza all’escursione scolastica di Ferric, che avrebbe compreso il
campeggio a Diamond Head, il punto di riferimento naturale più
famoso della nostra isola. È il lato anteriore di un cratere vulcanico
spento da lungo tempo, il Koko Head. E vi si trovavano forme di vita
meravigliose. Ferric avrebbe trascorso i prossimi giorni a esplorare
grotte e a raccogliere esemplari di piante e insetti in pericolo
d’estinzione. Lui era super eccitato; io, cautamente incoraggiante.
Francois continuava a dire che secondo lui sarebbe stata
un’esperienza fantastica.
Chiusi la telefonata e andai in camera di Ferric, dove trovai Francois
seduto sul suo letto mentre nostro figlio infilava un’ultima t-shirt
nell’enorme zaino. Avevamo preparato i bagagli la sera prima, ma
aveva dovuto aspettare che la sua maglietta blu preferita si
asciugasse.
“Papà, sono sicuro che non mi serviranno due cellulari,” stava
dicendo.
“Assecondami, per favore.”
Di rado vedevo Francois comportarsi così con Ferric e mi resi conto
che, malgrado tutto il suo machismo, anche lui avrebbe sentito la
mancanza di nostro figlio. Era la sua natura e, secondariamente, un
tratto del suo essere un esperto della sicurezza. Non avevo dubbi
che il secondo cellulare fosse equipaggiato con tutti gli ultimi ritrovati
in fatto di tracciamento. Adesso mi sentivo un po' più tranquillo e
rilassato sulla gita di Ferric.
Il telefono squillò di nuovo. Non mi ero accorto di tenerlo ancora in
mano. Era di nuovo mia madre. Avviai la comunicazione.
“Ci ho pensato. Potrebbe venire divorato dagli orsi.”
Non c’erano orsi alle Hawaii, ma la lasciai blaterare per un po' prima
di dirle che dovevo andare.
“Ok, ok.” Ferric mise il cellulare extra in una delle tasche posteriori
dello zaino. “Grazie per tutto questo amore, gente.”
“Forte.” Francois pareva sollevato. Abbracciò suo figlio, poi me, e si
ritirò in camera nostra. Sapevo che doveva prepararsi per un
appuntamento di lavoro. Io avrei accompagnato Ferric al suo punto
d’incontro sull’Aloha Tower a Waikiki, dall’altra parte dell’isola. Ci
sarebbero voluti quarantacinque minuti. Francois aveva un incontro
con un potenziale nuovo cliente per un hotel che stava per aprire sul
nostro lato dell’isola, a Turtle Bay.
Lo avevo incoraggiato ad andare a quell’incontro di mattina
insolitamente presto, dato che sarebbero intervenuti diversi
investitori provenienti da varie parti del mondo. Stavo anche
tentando di non farla troppo lunga per il fatto che Ferric avrebbe
trascorso qualche giorno fuori casa. Scorremmo insieme la lista delle
cose indispensabili, consegnatagli dai suoi insegnanti, un’ultima
volta. Era pronto a partire. Purtroppo.
Non è troppo tardi per cambiare idea. Non sei costretto ad andare.
Dio, quanto avrei voluto dire quelle parole. Mi spezzava il cuore non
farlo. Ferric percorse casa per salutare la nostra colonia di gatti.
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