Le mura di Adrianopoli – Guido Cervo

SINTESI DEL LIBRO:
Mancavano soltanto tre giorni alle Idi di settembre, ma la lunga, sfibrante
estate siriaca era ancora in pieno rigoglio. Quella notte, in particolare, non
una nuvola oscurava il cielo di Antiochia, rischiarato quasi a giorno dalla
luna piena, che amorevolmente vegliava sulla città e sembrava incoraggiare i
suoi abitanti alla vita notturna. Gli antioceni, che già amavano tirar tardi in
ogni stagione, nelle serate estive vivevano il meglio della vita, affollando le
strade diligentemente lastricate, contrattando nelle botteghe illuminate quasi a
giorno dalle lucerne, bevendo e vociando nei termopoli e nelle taverne. La
seconda vigilia era già cominciata da un pezzo, ma sotto i portici della grande
via principale, che attraversava la città da levante a Occidente, quasi tutte le
botteghe erano ancora aperte, e in alcuni punti la ressa era tale che si poteva
procedere solo lentamente, a mezzi passi. Mentre compagnie di studenti
senza denaro si affollavano all’ingresso dei postriboli e, ridendo e
supplicando, altercavano con i truci guardiani, famiglie intere passeggiavano
nei vasti giardini orientali o tra i monumentali santuari del sobborgo di
Dafne, godendo della tenue brezza che, satura di profumi, scendeva puntuale
dal monte Silpio ad accarezzare la città. Sull’isola formata dall’Oronte
palpitavano le luci del palazzo imperiale, svelando nel buio le merlature delle
torri di guardia e le terrazze che guardavano verso i vasti giardini
probabilmente l’Augusto banchettava all’aperto, oppure, con la sua consorte
e i suoi cortigiani, assisteva a qualche esibizione di musici o danzatori.
Pulsava anche la vita religiosa: nei templi pagani, da tempo disadorni e
desolati, vecchi sacerdoti con poco seguito si ostinavano a rinnovare gli
antichi riti che anni prima il defunto imperatore Flavio Giuliano aveva voluto
richiamare in vita, mentre nella frescura delle chiese cristiane folle di adepti
della religione ormai dominante si radunavano alla luce dei candelieri per
ascoltare la parola dei loro seriosi diaconi.
Nell’ Epifanio, il quartiere signorile sulle pendici del Silpio, un gruppo di
donatisti si era radunato in uno spiazzo al centro di un boschetto di cipressi.
Quella sera ascoltavano un nuovo predicatore venuto da Cesarea, e l’eco dei
loro cori ispirati si propagava nei giardini delle villae, suscitando qualche
fuggevole senso di colpa, ma soprattutto esclamazioni di insofferenza tra gli
aristocratici riuniti per la cena sulle logge dei loro peristili. Il giardino della
domus di Aristea Sollicina, tuttavia, era quella sera immerso nel silenzio, o
quasi... In effetti, nulla si muoveva tra le grandi palme, le cui fronde
stormivano pigramente sotto il soffio delicato della brezza notturna, sicché il
canto incessante dei grilli e il chioccolio della piccola fontana di porfido
erano gli unici suoni che si potessero udire in tutto il vasto perimetro
dell’edificio, totalmente immerso nell’ombra; questo, almeno, si sarebbe
potuto affermare se non fosse stato per i tonfi, i gemiti e i gridolini di donna
che, a brevi intervalli, venivano dal pianterreno. Invano il robusto Bindra
supplicava a filo dei denti la giovane schiava di tacere, giacché erano proprio
le sue spinte possenti, che 23
ritmicamente portavano il divano a sbattere contro la parete, a produrre
quell’effetto sulla prosperosa Sacilla. Constatata l’inadeguatezza allo scopo
dei suoi baci appassionati, aveva anche provato a chiuderle con una mano la
bocca voluttuosa, ma aveva dovuto ritirarla subito, nel timore di soffocare
quella sua occasionale amante.
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