Le radici della paura – Claudio Calabrese

SINTESI DEL LIBRO:

Il ritorno da Boston si rivelò lungo e sfibrante, assai più di quanto avessi
immaginato poco prima d’imbarcarmi sull’aereo che mi avrebbe ricondotto
con Lomonaco a casa. Neppure due ore dopo che il Boeing 767 dell’Alitalia
aveva iniziato a sorvolare l’oceano Atlantico, mi ero convinto che l’unica
maniera per ingannare efficacemente l’estenuante attesa del rientro sarebbe
stata quella di dormire. O quanto meno, di provarci.
Ben presto però, ogni mio tentativo di consegnarmi tra le braccia di Morfeo
era risultato inutile. In breve, avevo dovuto rassegnarmi all’idea di restare
sveglio per tutto il resto del viaggio.
Non appena provavo a chiudere gli occhi rivedevo, come in un film senza
fine, le agghiaccianti immagini dell’incubo a cui ero miracolosamente
scampato la notte di due settimane prima. Avvertivo ancora a pelle i brividi e
il terrore di quegli istanti, al punto che un senso di nausea mi era risalito dallo
stomaco, sino a ingolfarmi naso e bocca. Temevo di dover vomitare da un
momento all’altro. Più il Boeing si addentrava sulla piatta distesa oceanica,
immerso nel buio e nel silenzio del cielo stellato, più il tempo sembrava
rallentare. Lasciandomi l’amaro in bocca del non riuscire ad assaporare il
piacere del nostro arrivo in Italia.
Nonostante mi ripetessi che fosse ormai tutto finito, ero certo che il ricordo
di quella vicenda avrebbe perseguitato a lungo il mio inconscio. In più, mi
sentivo terribilmente in colpa per quello che Nicola aveva dovuto subire a
causa mia.
Ogni immagine dei momenti più difficili trascorsi a Boston sarebbe rimasta
impressa nella mia memoria come un marchio a fuoco fattomi dal diavolo in
persona. Nulla sarebbe mai stato dimenticato, ma anzi avrebbe rappresentato
un monito costante capace di avvertirmi per tempo sino a dove, da
quell’istante in avanti, avrei potuto e dovuto spingermi.
Il male non perdona. E quando non finisce il suo lavoro, ritorna sempre
per concludere l’opera, ispettore mi disse una volta un pluriomicida che
sbattei dietro le sbarre per aver ucciso prima la moglie, e poi, anni più tardi, i
suoi due figli, sterminati insieme a tutte le loro famiglie.
Sebbene la drammatica vicenda negli States fosse ormai alle spalle, mie e di
Lomonaco, avevo l’impressione che, in qualche modo, il peggio dovesse
ancora venire. Come se i momenti più difficili della mia esistenza restassero
nascosti tra le pieghe di un futuro oscuro. E buio. Assai più misterioso delle
notti insonni trascorse in terra statunitense. Nei giorni in cui ero rimasto a
casa di Henry, aspettando di poter partire per rientrare in Italia, avevo sentito
crescere dentro di me, prima lentamente, poi con un’insolita e inspiegabile
insistenza, l’irrequietezza nei confronti di una scelta definitiva, di cui forse
avevo iniziato a prendere coscienza ben prima di decollare alla volta di
Boston. Una scelta che avevo costantemente cercato di confondere in quel
senso d’incompiutezza e istintivo disagio che ho sempre provato nello
svegliarmi la mattina.
Si può dire, da che ho memoria.
Quando dopo quasi dieci ore di traversata l’aereo impostò finalmente la
manovra di atterraggio verso l’aeroporto di Fiumicino, mi sentii più leggero.
Come se il pesante macigno che mi aveva schiacciato l’animo nei giorni
precedenti la partenza, si fosse d’improvviso dissolto. Restituendomi la
lucidità necessaria ad affrontare il corso della nuova esistenza che, tra mille
dubbi e incertezze, mi apprestavo a scegliere. Una vita non più fatta di
omicidi, sangue, atrocità di ogni tipo e spietati serial killer con cui mi ero
dovuto scontrare, e confrontare, dal giorno in cui ero passato alla squadra
omicidi. Quello stesso stato d’animo di gradita leggerezza lo avvertii anche
ore dopo, atterrando finalmente all’aeroporto di Bari Palese. Non sapevo che
alcuni miei uomini della squadra mobile si erano dati appuntamento per
festeggiare il rientro mio e di Lomonaco. Il quale, da che aveva appreso che
fossi sul punto di cambiare le carte in tavola della mia vita, e quindi del mio
rapporto con lui e con la Polizia tutta, si era zittito come uno che fosse stato
appena operato alle corde vocali. Il massimo che era riuscito a chiedermi, nel
corso della lunga traversata intercontinentale, era stato il permesso di andare
in bagno perché gli scappava.
Capivo il suo stato d’animo, e mi rendevo conto di cosa significasse per lui
trovarsi nella situazione in cui mi accingevo a metterlo, con la mia scelta, ma
d’altra parte io ero il primo ad avvertire di non avere altra via d’uscita. Avevo
raggiunto quello che ognuno di noi possiede, cioè il punto di saturazione, e
ora non potevo più tornare indietro.
Quali che fossero state le conseguenze.
Quando uscendo dalle porte scorrevoli del Terminal mi ero accorto delle tre
volanti, non avevo potuto fare a meno di avvertire una profonda fitta al petto.
L’aria profumava di piante bagnate e la luce della luna si riverberava sui
cofani delle auto di pattuglia come polvere di stelle. Inspirai profondamente e
diedi un rapido sguardo intorno. L’aeroporto era quasi deserto, e i soli suoni
che si riuscivano a udire provenivano dal vociare dei nostri colleghi esultanti.
Il pezzo di mondo di cui facevo parte, e in cui ero cresciuto assai più che nel
resto della mia vita, mi sarebbe appartenuto per sempre. Non sarei riuscito a
metterlo da parte, da un giorno all’altro, né allora né mai.
Di fatto, ero di nuovo a casa. Sano e salvo.
E sì, non lo nascondo, anche non poco spaventato dalla fine che avevo
rischiato di fare. Credo per la prima volta, davvero.

SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :

Commento all'articolo

Potresti aver perso questo