Festa di piazza – Gian Mauro Costa

SINTESI DEL LIBRO:
Un regalo per la Madonnuzza Addolorata...».
Enzo Baiamonte aveva appena abbassato la saracinesca. E il suo
sospiro, di fatica e di rammarico, era stato troncato da una vocina
querula e nello stesso tempo perentoria. Sollevò schiena e occhi. La
vocina, per chissà quale bizzarria ormonale, proveniva da un omone
alla cui pancia un hula hop avrebbe fatto a stento da cintura. Portava
una camicia spiegazzata sotto una bardatura di raso viola e una
barba lunga che sembrava disegnata con la matita. Scuoteva tra le
mani una scatola di cartone e faceva tintinnare le monete e, nei suoi
auspici, frusciare le banconote. Accanto a lui, un ometto con la pelle
secca e rugosa, un paio di baffoni che avrebbero scatenato le
fantasie di un sadico munito di forbici, e uno sguardo totalmente
inespressivo.
La prima tentazione di Enzo fu quella di mandarli a fare in culo.
Lui di feste e festini, di madonnuzze addolorate o ridenti, non ne
aveva mai voluto sapere. Quando c’era la ricorrenza del suo
quartiere Zisa, se ne stava rintanato in casa. E si ritrovava, caso
unico in tutto l’anno, a solidarizzare con i gatti, un tempo con quello
di sua madre, poi con quello del vicino, che schizzavano da una
parete all’altra allo scoppio di mortaretti e fuochi d’artificio.
Ma quello era un giorno particolare. Anzi, un momento più che
particolare. Baiamonte, dopo un tentennamento durato mesi, aveva
deciso di chiudere bottega. Di appendere al chiodo valvole, fili
elettrici e fusibili. Sì, tenere ancora aperto il suo laboratorio di
«Elettrotecnico Riparazioni» sarebbe stato ormai solo uno sterile
omaggio alla memoria. E, a Enzo, la memoria risultava fastidiosa
come un fardello di cardi spinosi sulle spalle. D’altra parte, non è che
ci fosse da ricordare qualcosa di particolarmente esaltante. Di
esaltanti, nella sua infanzia, c’erano solo le imprese vissute
attraverso le pagine di Tex Willer, Billy Bis o Crystal. Personaggi,
soprattutto gli ultimi due, che gli avevano fatto venire la fissa di
diventare investigatore privato. Ma non che si rimediasse granché a
indagare in quel quartiere palermitano, campionario della sobrietà
edilizia e della modestia sociale degli anni Cinquanta. Per uno come
Enzo, che il mestiere di detective l’aveva esercitato come secondo
lavoro a tempo perso e senza la certificazione di un patentino, era
già molto essersi occupato, con poche eccezioni, di corna e
ammennicoli congiunti.
«Huuum». Con un grugnito, che nelle sue intenzioni era una
cortese sollecitazione, l’uomo hula hop aveva scosso nuovamente la
scatola. E anche le scatole di Baiamonte. Enzo studiò l’omone,
indeciso tra un pugno ben assestato sulla pancia e una
dimostrazione forbita di tutto il prezioso repertorio di insulti appreso a
scuola e per strada. Quindi estrasse dal taschino una banconota da
cinque euro e l’infilò nell’urna con la stessa faccia un po’ schifata e
non troppo convinta che aveva ormai da qualche tempo a questa
parte quando consegnava la scheda elettorale. L’ometto tirò di naso,
forse per commentare a modo suo l’offerta, storcendo i baffoni e
suscitando adesso la voglia di passare da una sforbiciata a un
drastico intervento con il bisturi.
Enzo squadrò i due manovali dell’Addolorata e gli sembrò che in
realtà si trattasse di due becchini venuti a intascare, per eccesso di
precauzione estorsiva, un anticipo delle spese del suo funerale. Li
congedò quindi con una certa impazienza: «Che la Madonnuzza
quest’anno sia magnanima anche con la gente perbene...».
L’omone batté due volte la mano sulla pancia, facendo intendere
che di «magnanimità» era un affidabile depositario, e con uno scatto
della testa intimò al suo compare la ritirata.
Eh sì, quei due emanavano una scia un po’ iettatoria, osservò
Enzo, come del resto tutte le cose che lui collegava a santi, reliquie,
processioni e aldilà. Neanche a farlo apposta, era da un po’ di tempo
che Baiamonte si imbatteva con un certo stupore nell’altro mondo.
No, niente baggianate tipo spettri, spiritelli birichini o fantasmi
ululanti. No, persone come le altre, vestite come si vestono i
cristiani, con la giacca o la gonna, gli occhiali, la borsa o il sacchetto
della spesa. Normali, insomma. Solo che, piccolo dettaglio, si
trattava di morti. Beh, quantomeno era così che Enzo si ricordava
che fossero. L’ultima volta era accaduto qualche giorno prima. Tra i
chioschi di frutta e verdura lungo via Imera, aveva intravisto il
ragionier Cardaci, che aveva uno studio di commercialista da quelle
parti e che gli risultava essere defunto anni addietro, per un infarto.
Sì, glielo aveva proprio raccontato il suo amico Lo Cascio, che con i
commercialisti combatteva quasi ogni giorno. Anzi, dato che tra poco
sarebbe andato a trovarlo, ne avrebbe avuto conferma. Avrebbe
buttato lì, tra una cosa e l’altra: «Sai, Massimo, chi ho visto l’altro
giorno? Non te lo puoi immaginare: il ragionier Cardaci, quello che è
morto...».
No, meglio di no, tagliò corto Baiamonte. Gli conveniva tenersele
per sé, certe cose. Che, se il ragioniere era morto davvero, chi ci
dormiva più la notte? E poi, pensò Enzo, come mi considererebbero
i miei amici? Una via di mezzo tra un pazzo e un padre Pio? E se
invece mi sbagliassi, e a essere morto era magari un altro, metti il
cugino o il vicino di casa, e mi fossi confuso, che figura ci faccio?
Quella di uno mezzo rincoglionito o, peggio, di uno che tira i piedi
alla gente? Lasciamo stare, sentenziò Baiamonte, anche se non del
tutto convinto. Il mese prima, infatti, era certo di avere incontrato alla
fermata dell’autobus di corso Olivuzza la signora Iolanda, l’erborista
di via Matteo Carnalivari. E quella, morta di sicuro doveva essere.
Infatti, una volta che era andato a farsi preparare una tisana per il
mal di stomaco, aveva trovato le imposte sbarrate, e il ragazzino del
panificio accanto aveva fatto roteare con efficacia comunicativa
indice e medio: «Morì. Se la portarono all’ospedale e non tornò più».
E infatti, da allora, le imposte erano rimaste sempre chiuse. Eppure,
quel giorno, Baiamonte l’aveva proprio vista mentre aspettava
l’autobus. Ora, vero che a Palermo per utilizzare il servizio di
trasporto pubblico occorre avere tanto di quel tempo a disposizione
che solo i morti, ma... E poi, la signora Iolanda gli aveva fatto pure
un mezzo sorriso. E che, sorridono i morti? Vuol dire che l’aveva
riconosciuto, che anche Baiamonte era muro muro con l’altro
mondo? «Lasciamo stare, lasciamo stare...», si disse Enzo. «Magari
la prossima volta glielo chiedo: “Scusi, signora, ma lei non era
morta?”. E che mi può rispondere: “Sì, ma mi sto facendo un giretto
e poi torno a casa”?».
Enzo troncò questi pensieri e si concentrò sull’oggi e, tutt’al più,
su una visione a medio raggio del suo futuro. Assilli immediati, per
fortuna, non ne aveva. Né di natura economica (poteva contare su
qualche risparmio e sul cespite di una piccola pensione), né tanto
meno di natura esistenziale: era sempre stato, appunto, nella sua
natura non indugiare in struggimenti, patemi o ipocondrie. Qualcosa,
però, se ne rendeva conto, andava fatta. Per pagare ad esempio alla
signora Margherita un giorno in più di pulizie e biancheria da stirare.
O magari, perché no, per invitare una sera Rosa a un ristorante di
Mondello a mangiare ricci e pasta con vongole veraci. E ricambiare
così tutte le cene che lei gli preparava nel proprio appartamento a
due passi dal suo. Che quella santa donna se lo meritava, eccome.
Con Rosa, la sarta, intratteneva da qualche mese una relazione,
quella che i suoi amici di scopone, con la loro squisita raffinatezza,
chiamavano: «Le ultime becchettate prima di ritirare definitivamente
l’uccello dentro il cucù.
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