Cartaneve – Ferdinando Albertazzi

SINTESI DEL LIBRO:
«I nomi, tira fuori i nomi!» ringhia il primo picchiatore.
E giù un cazzotto con il pugno di ferro, che il torturato incassa
con un gemito flebile. Benché saldamente legato a una sedia, la
forza d’urto lo inclina come la torre di Pisa e a raddrizzarlo pensa
l’altro picchiatore, con un gancio al mento devastante.
«Io non c’entro, non so niente! Sbagliate persona, brutti
bastardi!!!». L’uomo si ostina a ripeterlo, con un rantolo penoso.
I due picchiatori si scambiano un’occhiata d’intesa. Stanno per
riprendere a pestarlo di brutto, ma li ferma il cigolìo di una porta,
laggiù in fondo. Istintivamente si girano e anche il torturato si sforza
di farlo.
Con la coda dell’occhio coglie un’Ombra che avanza adagio,
facendo risuonare i tacchi. Gira intorno alla sedia e, a gambe larghe,
si ferma davanti al torturato che non riesce a decifrarne i lineamenti,
sotto un cappello a tesa larga calato sugli occhi.
«Chi sei?» chiede il torturato, in un rantolo.
«Lo sai, lo sai… A meno che le premure di questi due…
persuasori, diciamo così, non ti abbiano mandato in tilt la memoria»
sogghigna, acida, l’Ombra.
Stringe i pugni nei guanti di pelle nera, poi: «Forse non ci sono
andati leggeri ma, vedi, anche a loro come a me la feccia dà il
voltastomaco. Per senso del dovere, per generosità, accettano di
sporcarsi le mani con uno come te: fai ribrezzo, sei tu a puzzare di
bastardo lontano un miglio perciò bisogna capirli, se si sono fatti
prendere la mano».
L’Ombra stringe nuovamente i pugni e aggiunge, sarcastica:
«Eppure non sono arrivati al bandolo della matassa, sono incappati
in uno tostissimo!… Perché tu sei tostissimo, vero? Se non fossi
capitato qui io, loro due avrebbero continuato e dai e dai… Io sono
venuto per sbrigare alcune faccende, non certo per te, ma dato che
ci sono facciamo così: siccome ti incaponisci a piagnucolare che non
c’entri, voglio darti credito e ti concedo due minuti per convincermi».
L’Ombra fa scorrere la manica della giacca e il polsino della
camicia per scoprire il cronometro, lo mostra al torturato e aziona il
pulsante dei secondi: «Quando la lancetta passerà per la seconda
volta sul dodici, ti consiglio di farmi quei nomi» sibila.
«Non potete mettermi in bocca quello che non so». Il torturato
resiste, la voce impastata.
Allo scadere del secondo minuto, sulla bocca del torturato frana
una manata micidiale. In un mugolìo incomprensibile, con movimenti
goffi e sofferti il torturato cerca penosamente di asciugare il sangue
che cola.
L’Ombra si china su di lui: «Se parli, fatti capire!» sbraita a muso
duro, assestandogli un ceffone violentissimo. Poi abbassa lo
sguardo sui guanti e sgrana gli occhi, nel vederli impiastricciati di un
liquame vischioso e fetido.
«Guarda che cos’hai fatto, imbecille! Sono nuovi di zecca, mi
sono costati una fortuna e una carogna come te li ha sporcati di…
di…».
CAPITOLO 2
I numeri uno
«Di succo di pomodoro!!!» rimbombò nella palestra, trasformata
in teatro.
Un rettangolo di pochi centimetri quadrati, ritagliato a un palmo
dal soffitto, era l’unica via d’accesso al grigio del cielo, in quel primo
pomeriggio di prove e si dovevano stringere gli occhi, per arrivare a
intravedere sagome e suppellettili.
Mentre le tapparelle, sollevate elettricamente, lasciavano filtrare
fiotti di luce dalle ampie vetrate che davano sul cortile interno della
scuola, Nicola riprese, furioso: «Il succo di pomodoro mi fa schifo, il
suo odore mi fa vomitare! Questa non è la mia parte, perciò basta.
Vedetevela voi, io me ne vado».
«E poi Mauro mi fa ridere: dovrebbe avere gli occhi pesti, con il
sacco di botte che si prende, invece gli brillano come davanti ai
regali sotto l’albero di Natale. Questa è una pagliacciata, non una
commedia drammatica e io non ci sto» sbuffò, scaraventando
lontano guanti e cappello.
«Io non ho riso per niente», disse Mauro, massaggiandosi la
mascella. «Mi hai rifilato una manata pazzesca, che cosa ti ha
preso? Va bene immedesimarsi nel personaggio, ma tu nell’animo
sei peggio di lui, sei marcio dentro!
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