Alla mia sinistra – Lettera aperta a tutti quelli che vogliono sognare insieme a me – Federico Rampini

SINTESI DEL LIBRO:
Lettera aperta a tutti quelliche vogliono sognare con meAlla mia SinistraIn memoria di Bruno Trentin– Che nome ha, il giorno che nasce, come oggi, quando tutto èrovinato, tutto è distrutto, eppure l’aria si respira, ma tutto è perduto,la città brucia, gli innocenti si uccidono tra loro, mentre i colpevoliagonizzano, in un angolo del giorno che nasce? – Chiedilo almendicante, lui lo sa.– Ha un bellissimo nome, donna Narses. Si chiama l’aurora.JEAN GIRAUDOUX, Elettra IDove abbiamo sbagliato Dove abbiamo sbagliato? Questa domandami insegue da anni ed è diventata più incalzante nell’estate del 2011.Mi viene imposta con forza dall’attualità in America, dove seguoquotidianamente le difficoltà di Barack Obama. Più lo osservo, più miconvinco di questo: l’affanno del presidente che ha fatto sognare ilmondo intero ha un significato generale. Mi costringe a fare i conticon la storia della mia generazione, con trent’anni di errori e disconfitte della sinistra di cui sono partecipe, e con la fine di unmodello economico e sociale. Dall’America all’Europa, all’Italia,l’impatto con la più grave crisi economica degli ultimi ottant’anniimpone con urgenza questo bilancio. Non vedo emergere conchiarezza una via d’uscita progressista, equa, rassicurante, al nostrodeclino. Da nessuna parte al mondo .Stiamo attraversando qualcosa di più serio di un semplice «ciclonegativo» dell’economia. Èla Grande Contrazione: questo termine dà l’idea di un disastro cherimpicciolisce tutto il mondo a cui eravamo abituati. L’unico eventostorico con cui valgono i paragoni è la Grande Depressioneavvenuta negli anni Trenta del secolo scorso. A quella furono datedelle risposte di destra – Mussolini e Hitler – e delle risposte disinistra: il New Deal di Franklin Delano Roosevelt negli Stati Uniti, ilFronte Popolare in Francia. Oggi esiste una risposta di sinistra aquesta crisi? C’è davvero una differenza sostanziale tra l’austerità diObama e quella di David Cameron (conservatore) in Inghilterra o diAngela Merkel (democristiana) in Germania? E che cosarappresenta il «modello cinese» inventato da un partito che continuaa definirsi comunista?La questione dell’identità della sinistra va al cuoredell’interpretazione della crisi: quali ne sono state le causeprofonde? Riguarda quindi la ricetta per uscirne: se stiamo morendodi debiti, ha ragione chi impugna la scure per fare a pezzi il WelfareState? Se invece stiamo naufragando per troppa disoccupazione,l’unica salvezza è la vecchia politica keynesiana di aumento dellaspesa pubblica? La sinistra ha qualcosa di nuovo da dire, in mezzo aquesto dramma? Il«qualcosa di nuovo» che dovrebbe distinguere i progressisti èanzitutto la «narrazione» della crisi: le sue cause, i colpevoli. Quindi,l’agenda delle cose da fare per uscirne. Dalla sinistra ti aspetti cheindichi un percorso, al termine del quale non solo sarà finita questalunga depressione economica, ma ne usciremo costruendo unasocietà più giusta e più serena di quella in cui viviamo. Eppure,ascoltando il linguaggio dei governanti nei grandi vertici che seguo, ilG8 o il G20, l’assemblea dell’Onu e il Forum di Davos, hol’impressione di un chiacchiericcio indistinto, di una grande melassache cosparge questa crisi di luoghi comuni. Roosevelt e Mussoliniformularono due analisi molto diverse tra loro, sulla crisi del 1929,ma ebbero una cosa in comune: la capacità di mobilitare i loropopoli, almeno inizialmente, al servizio di un grande progettonazionale. Oggi nessun leader ha questa capacità. E dietro i leadermancano i pensatori, le idee nuove .Vivendo in America è inevitabile per me partire da Obama.D’altronde, mi guardo attorno e non vedo un altro leader al governodi una grande nazione occidentale che possa dirsi di sinistra. Partoda lui, e sono costretto a paragonare il clima in cui si apre questacampagna presidenziale del 2012 con le immense speranzesuscitate da quella del 2008. Io non dispero che Obama vengarieletto per un secondo mandato, ma mentre scrivo queste pagine lesue chance sembrano appese agli errori tattici della destra, allapochezza degli avversari. Non è più l’ora dei sogni, delle visioni, deigrandi movimenti. Altro che «audacia della speranza». L’Obama chevincerà nel 2012 – se vincerà come spero – si sarà trasformato in unpolitico moderato, pragmatico, scelto dai suoi elettori come il menopeggio rispetto a una destra radicale, cattiva, esagerata nel suoprogetto di «guerra totale» al Welfare State. Cosa è accadutoall’Obama del 2008? Era un inganno allora? Abbiamo frainteso quelche rappresentava? Oppure la trasformazione della sua immagine èconseguenza di una sconfitta? Che cosa ci deve insegnare, da dovepossiamo ripartire con un progetto che non si esaurisca nellafiammata di una bella campagna elettorale? Di una cosa sono certo:la disillusione rispetto al 2008 non si può addebitare solo a Obama.Questo presidente, che ha compiuto 50 anni il 4 agosto 2011,incarna la storia di una generazione, la mia. Non posso scindere laparabola di Obama da un bilancio severo su di noi, la nostra storia, inostri ideali, e soprattutto i nostri errori. L’Europa e l’Italia hannoavuto delle sinistre diverse da quella americana, ma certi sbagli liabbiamo fatti tutti insieme .Ho cinque anni in più rispetto al presidente americano, eppure unacosa mi fa sentire «della stessa generazione». È un dato anagraficoche ha una conseguenza politica, e perdonatemi accostamentiimmodesti. Come capirete, mi servono a tracciare i confini di unastoria, di una fascia di persone più o meno della mia età che hacondiviso sogni, utopie, battaglie, qualche conversione, abbagli,sbandate e illusioni. Dunque, l’età di Obama mi ricorda che anch’ioappartengo alla fascia dei postsessantottini: nel Maggio 1968 ero unbambino. Lui iniziò come attivista politico di quartiere nella Chicagoviolenta e irrequieta degli anni Ottanta; io mi sono affacciato all’etàadulta in un’Europa ancora traversata da grandi battaglie sociali, conmovimenti operai e studenteschi forti, a metà degli anni Settanta.Cresciuto a Bruxelles,«scoprii» la mia Italia facendo l’università a Milano, mi iscrissi alPartito comunista nel 1974 e feci in tempo a militare e lavorare per ilpartito quando ne era segretario Enrico Berlinguer, condividendonela sfida: come definire un’idea di sinistra che ripudiasse il disastrodel«socialismo reale» nell’Unione Sovietica? La sinistra italiana avevaun problema in più rispetto a quella francese, che frequentavo neglistessi anni. Quel problema era lo Stato. Quello che avrebbe dovutoessere uno strumento per difendere i deboli, attenuare lediseguaglianze sociali o territoriali, raddrizzare i torti, applicare ildiritto. E che nell’Italia di quegli anni voleva dire la Democraziacristiana più i partiti-satelliti che ne condividevano il potere, cioèclientelismo, boiardi nelle aziende pubbliche, lottizzazione degliincarichi, spesa assistenziale, inefficienze e sprechi, corruzione. Conquesti due modelli negativi di fronte – l’Urss e il capitalismo di Statodemocristiano – ci sembrò di rinascere quando, dopo la caduta delMuro di Berlino, spuntarono all’orizzonte due leader come BillClinton e Tony Blair. L’idea forte che li univa, e che ha affascinatomolti progressisti della mia generazione, era quella di «usare» ilmercato per «fare cose di sinistra». Liberalizzare, diffondere laconcorrenza, doveva servire a rendere le nostre società menoingessate, meno oligarchiche, con più opportunità alla portata di tutti.Il liberismo di sinistra, clintoniano e blairiano, era la terza via tantoaspettata. Sarebbe stata quella sinistra occidentale e moderna acreare l’eden del cittadino-consumatore, reso finalmente sovrano .La Grande Contrazione che attraversiamo, la crisi deflagrata nel2008 e che si prolunga dolorosamente senza che se ne veda unosbocco, ci costringe a leggere in una chiave ben diversa la storia diquesti ultimi trent’anni. Le sinistre al potere hanno spessocontinuato, a modo loro e magari con toni più «gentili», il grandecantiere di smantellamento del sindacato e delle regole. In America,ancora più che altrove, ogni movimento dei lavoratori è statocontrastato fino quasi a cancellarlo. In tutto l’Occidente si è assistitoa un gigantesco spostamento della ricchezza (tra l’8 e il 10 percento) da chi lavora a chi percepisce profitti e rendite finanziarie. Equesto avveniva mentre in tanti paesi, Italia compresa, erano algoverno, anche per lunghi periodi, le sinistre. La deregulation hapartorito nuovi monopoli privati al posto dei monopoli di Stato; leregole sui mercati sono state indebolite, travolte, aggirate; icontrollori sono stati manipolati dalle lobby della finanza e dellagrande industria. L’eden del cittadino-consumatore non si è visto,quello dei chief executive si.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo