Un milione di volte buonanotte – Kristina McBride

SINTESI DEL LIBRO:
«Credi che sia proprio il caso?», chiese Mia dal sedile posteriore
mentre uscivo da Main Street con la bmw del mio fidanzato,
proseguendo su Old Henderson Road verso la cima della collina. Un
intricato baldacchino di alberi si chiuse sulla nostre teste. Li sentivo,
udivo i rami ondeggiare e le lucide foglie primaverili frusciare come
se volessero sussurrarmi qualcosa.
«Ho un po’ paura, Hadley». Brooklyn mi fissava dal posto del
passeggero. «Siamo tutte già state qui, sul luogo dell’incidente, ma
dovevamo proprio tornarci di notte?»
«Non ci pensare», dissi. «Questa sera onoriamo la sua memoria.
Tutti ne ricordano solo la morte. Ma lei era molto di più».
«Se non dobbiamo pensare a com’è morta, perché stiamo
tornando nel posto in cui se n’è andata per sempre?», domandò
Brooklyn.
«Perché è l’anniversario». Strinsi forte le mani sul volante. «Non è
così che si fa?»
«È anche il primo sabato dello spring break», aggiunse Mia. «La
festa sta cominciando. Se volete la mia opinione, il modo migliore di
rendere omaggio a Penny è tornare indietro, bere un paio di drink,
ballare come matte e baciare qualche ragazzo a caso per
divertimento».
Iniziai a chiedermi se non fossi nel torto. Forse ero io quella che
aveva dimenticato come onorare la memoria di Penny Rawlins: la
ragazza che stava in mezzo a una folla danzante, con il volto
incollato a un cielo pieno di stelle, muovendosi frenetica al ritmo
della musica. Quella a cui si dipingeva un sorriso trionfante sulle
guance lentigginose quando vinceva i tornei di beer pong
sbaragliando persino i giocatori di football dell’ultimo anno; la stessa
persona che poteva facilmente perdersi in un momento di pace,
riversando la sua anima sulle pagine del blocco da disegno che
portava sempre con sé.
Ma questi pensieri non mi fermarono, non mi fecero cambiare idea.
Continuai invece a guidare sulla stradina alberata che, curva dopo
curva, si allontanava da tutto fino a raggiungere la Torre delle
Streghe, un edificio che assomigliava a un vecchio faro senza
lanterna. Era lo scenario del peggior incidente nella storia di Oak
Grove – quello che ci aveva portato via Penny.
«La festa può aspettare», dissi. «Voglio guidare tra gli alberi, con il
tettuccio abbassato e la musica a tutto volume, insieme alle mie due
migliori amiche. Avevamo detto che l’avremmo fatto. Insieme».
«Abbiamo accettato quando era ancora solo un’idea». Le parole di
Brooklyn cavalcarono l’aria fuori dalla decappottabile. «Sai, una
proposta fatta tanto per fare».
«BE’, È VENUTA IN MENTE A NE. E CI È PIACIUTA. PER QUESTO CE NE SIAMO
ANDATE, DIRETTE AL SUPERMERCATO CIRCLE K. ED È PER QUESTO CHE HO
PRESO LA…».
«Sì, lo so», mi interruppe Brooklyn. «Solo che ora non ne sono più
tanto sicura. Mi sembra sbagliato».
«Non lo è». Seguii la curva dell’asfalto, chiedendomi come sarebbe
stato uscire di strada e schiantarsi contro la spessa fila di alberi
ondeggianti. «È la cosa giusta da fare. Fidatevi».
«Va bene», convenne Mia con un brivido. «Facciamolo. Per lei.
Anche se è inquietante».
«Lo è solo se continui a ripeterlo». Guardai nello specchietto
retrovisore e incrociai lo sguardo di Mia, cercando di non pensare
alla curva in cui Penny aveva esalato l’ultimo respiro.
Brooklyn rise, appoggiando la testa all’indietro contro il sedile.
«Sembri proprio lei, sai».
«È per questo che siamo qui». Alcune ciocche di capelli mi
schiaffeggiarono il viso. «Per ricordarla com’era».
«Chiassosa. Selvaggia. E completamente libera». Brooklyn allungò
le gambe sul tappetino, con i capelli ricci sciolti che passavano dal
nero brillante al grigio argenteo, mentre i raggi della luna facevano
capolino tra gli alberi.
Schiacciai il piede sull’acceleratore, sentendo l’improvviso bisogno
di andare più veloce. Di arrivare alla torre. Di essere nell’ultimo posto
in cui era stata Penny. «Siamo tutte d’accordo? Per Penny?»
«Per Penny!», urlarono entrambe, proprio mentre i rami si
diradavano e il cielo stellato sembrò spalancarsi sopra le nostre
teste.
Allungai la mano verso la manopola del volume e lo alzai al
massimo prima che Brooklyn o Mia potessero dire qualcosa. Un
remix di una qualche canzone pop riecheggiò nella notte, investendo
con un’esplosione di vita tutto ciò che era rimasto nell’ombra dalla
morte di Penny.
Mi sembrò bello – incredibilmente bello – essere viva, essere alla
guida di quell’auto con le mie migliori amiche. Avvolte dalla musica,
dall’aria fresca e dalla luce della luna. Era uno di quei momenti che
non avrei mai dimenticato.
Immaginai ci fosse anche Penny in macchina, con il vento a
scompigliarle i capelli color caramello, gli occhi chiusi, le braccia
alzate fuori dal tettuccio e le mani che si muovevano al ritmo del
basso. La sentii con noi, la sua leggerezza e meraviglia, il modo in
cui avrebbe riso della paura di Mia e di quella di Brooklyn, che ne
aveva ma cercava di nasconderla; tutto questo mentre si
congratulava con me per aver lasciato la festa.
Dopo qualche altra curva, raggiungemmo l’edificio a sei piani e
accostammo. I miei occhi viaggiarono sul prato che si stendeva dalla
strada fino alla base del fabbricato. La torre attirò la mia attenzione,
mi paralizzò per un momento. Le pietre scintillavano nella luce dei
fari, mentre spostavo lo sguardo lungo i muri, partendo dalla porta,
che era sempre stata aperta per tre quarti da quando ne avessi
memoria, fino al parapetto che incoronava la cima del faro. Sospirai
sollevata. Quello che stavamo facendo mi sembrava giusto. Più che
giusto. Era necessario.
«Pronte?», chiesi, abbassando il volume della radio.
«Non lo so», rispose Brooklyn con una smorfia. «Non mi piace
dirlo, ma questo posto emana influssi negativi, Hadley».
«È solo il tuo legame affettivo con la torre a essere negativo».
Cercai di togliermi dalla testa i brutti ricordi, ma non era facile.
«Un “legame affettivo negativo”? Dici?», chiese Mia.
«Siamo qui per un motivo». Parcheggiai la macchina e mi voltai
verso la mia amica. Il suo volto era così pallido che sembrava quasi
brillare nel buio. «Un anno fa non ci siamo state nel momento del
bisogno. Non dovremmo esserci almeno adesso?».
Mia sospirò. «Ti odio perché hai ragione».
Brooklyn aprì la portiera del passeggero, ne uscì e tirò in avanti il
sedile per permettere a Mia di saltare giù dall’auto.
Mi vibrò il telefono nella tasca per la quinta o sesta volta da quando
avevo svoltato in Old Henderson Road. Anche i miei nervi fremettero
con il cellulare. Ma era il momento di pensare unicamente a Penny.
Scesi e camminai fino a portarmi davanti alla macchina, dove mi
aspettavano Brooklyn e Mia, investite dalla luce dei fari. Li avevo
lasciati accesi. Non potevamo affrontare quel posto e la sua storia
nell’oscurità totale.
«Non riesco ancora a credere che sia venuta quassù quella notte».
Mia fissava l’ombra che si allungava dietro la torre e spariva in
mezzo agli alberi retrostanti. Era incredibilmente buio lì, come le
tenebre di un buco nero, che inghiottivano ogni traccia di luce e si
infiltravano nel labirinto di sentieri che si ramificavano, come fratture,
da quel punto in poi.
«Lo so», disse Brooklyn. «Sto male immaginandola per quelle
stradine da sola. Pensando che non c’era nessuno quando…».
«Non era spaventata», la interruppi. Penny non aveva paura di
nulla. «Adorava i boschi di notte».
«Sì», commentò Mia, «ma…».
«Niente ma». Indicai con un cenno del capo il monumento a forma
di macigno che era stato sistemato fra la torre e la strada. Era
ruvido, cesellato ai bordi e con quell’aria ornamentale che Penny,
grazie alla sua sensibilità artistica, avrebbe apprezzato. «Siamo qui
per lei».
Camminammo insieme, con il sacchetto di plastica del discount
che pendeva dal braccio di Mia e a ogni passo mi colpiva la coscia.
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