Un perfetto sconosciuto – R.L. Mathewson

SINTESI DEL LIBRO:
Giorno del Ringraziamento
«Io ti amavo, cazzo, maledetta puttana!», strillò l’uomo che brandiva il
coltello trinciante peggiorando decisamente il mal di testa di Duncan e
facendogli desiderare di non essersi offerto come volontario per lavorare
proprio quel giorno, anche se aveva avuto bisogno di una pausa dalla famiglia
e dal disastro ambulante che viveva nella casa a fianco.
«Signore», disse con tono fermo, spostandosi di lato per mettersi tra
quell’uomo incredibilmente incazzato e la coppia nuda che si faceva piccola
piccola nel letto dietro di lui.
Non che potesse biasimarlo, pensò Duncan distrattamente mentre si spostava
di lato chiedendosi quando la polizia si sarebbe decisa a presentarsi, in modo
da subentrare e permettergli di mettere fine a quell’infernale giornata di
merda.
«Come hai potuto farmi questo?», urlò l’uomo brandendo il grosso coltello,
diventando più isterico ogni secondo che passava, cosa niente affatto buona,
come Duncan sapeva per esperienza.
«Figliolo, calmati adesso», disse il vecchio uomo che tremava sul letto dietro
di lui, distraendo temporaneamente Duncan mentre registrava quelle parole.
Non era assolutamente possibile che…
«Non dirmi di calmarmi, papà! Ti sei scopato la mia fidanzata!».
Okay, forse le cose potevano complicarsi ancora di più, realizzò mentre
l’uomo comprensibilmente incazzato balzava a sinistra, disperato di mettere
le mani sul padre o sulla stronza che lo aveva tradito. Duncan non era sicuro
di quale dei due fosse la persona con cui quel tipo era più incazzato, ma non
importava. Il compito di Duncan era quello di fermarlo prima che facesse
qualcosa di stupido di cui poi si sarebbe pentito.
Pregando che quella notte la cosa non finisse con lui al pronto soccorso che
si faceva mettere dei punti o peggio, Duncan afferrò l’uomo per il braccio,
glielo ruotò e lo costrinse a mettersi in ginocchio, mentre faceva quel tanto di
pressione necessaria a fargli cadere il coltello.
«Ahia! Toglimi le mani di dosso».
«Che diamine ha che non va? Tolga subito le mani da mio figlio!», sbraitò il
vecchio ricordandogli quanto possono essere stupide le persone.
«Stia indietro, signore», disse in tono calmo mentre calciava il coltello
dall’altro lato della stanza e costringeva l’uomo che singhiozzava in maniera
isterica a mettersi a terra.
«Tolga quelle dannate mani da mio figlio!», continuò il vecchio
avvicinandosi per scansarlo dal figlio; quella sera, però, Duncan aveva sentito
abbastanza stronzate da bastargli per una vita intera.
«Cazzo, stia indietro, signore!», urlò lui a quel coglione, infischiandosene
del fatto che potesse avere una nota di biasimo o una cavolo di sospensione,
perché si rifiutava di aggiungere alla giornata una messa al tappeto di un
vecchio nudo.
Quel giorno aveva visto abbastanza stronzate da bastargli per varie vite.
«Non può parlarmi in questo modo!», replicò oltraggiato il vecchio mentre
l’altro imbecille cercava di sfuggire alla sua presa, molto probabilmente per
strozzare il padre, cosa per cui, di nuovo, Duncan non poteva proprio
biasimarlo.
«L’ho appena fatto, signore. Ora faccia un passo indietro e si metta addosso
dei vestiti», disse spostando l’attenzione sulla donna imbronciata sul letto. «E
anche lei».
«Non può…».
«Adesso!», urlò quando il coglione aprì la bocca per discutere con lui,
spaventando abbastanza il vecchio da farlo stare finalmente zitto e fargli fare
quello che gli aveva detto.
Duncan doveva solo mantenere calma la situazione e poi avrebbe potuto…
«Che succede qui?», chiese un’anziana signora sull’entrata.
Aprì la bocca per urlare e chiamare il collega quando tutto andò a rotoli.
«Jane, posso spiegarti», disse il vecchio imbecille strattonandosi verso l’alto
le mutande, proprio mentre la donna sul letto dichiarava: «Avremo un
bambino!».
E in men che non si dica, la nottata diventò cento volte peggio.
«C’è una ragione per cui te ne stai lì a fissare fuori dalla finestra e a guardare
i vicini? Ci stiamo preparando a ucciderli e a trascinarli giù nel seminterrato
per seppellirli vivi?», chiese il nonno facendola sorridere malgrado le farfalle
che le svolazzavano all’impazzata nello stomaco mentre cercava il suo pickup.
«No», rispose alzando gli occhi al cielo mentre si voltava e scopriva che il
nonno stava esaminando accuratamente i dolci a cui aveva lavorato tutta la
giornata. «Lo sai che non puoi mangiare niente di dolce».
«È il Ringraziamento», mormorò lui con un sospiro sognante mentre fissava
i cupcake arancioni e gialli che aveva appena finito di glassare.
«E quindi?», replicò lei, decidendo che probabilmente era un buon momento
per mettere le coperture sui dolci e per riporli con attenzione nel carrello.
«E quindi significa che posso concedermi qualcosina», affermò lui con un
lieve broncio che le fece alzare gli occhi al cielo, perché non avrebbe dovuto
essere così ingenuo da propinarle stronzate a quel punto.
«No», disse lei alzandosi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia
barbuta, «per niente».
«Beh, dovrebbe», rispose lui gravemente, mentre lanciava un’altra occhiata
colma di desiderio ai vassoi di cupcake, brownie e cookie e allungava un
braccio verso la ciotola di frutta che lei teneva ben rifornita per lui.
«Dillo al dottore», replicò lei facendo l’occhiolino mentre afferrava un
vassoio di cookie extra large con pezzi di doppio cioccolato e li posizionava
sulla mensola inferiore del carrello.
Gli occhi del nonno si strinsero pericolosamente. «Pensavo che fossimo
d’accordo sul fatto che non avresti più chiamato il mio dottore».
«Ho incrociato le dita», ammise lei con una scrollata di spalle mentre
afferrava il vassoio dei brownie al doppio cioccolato con una glassatura di
crema ganache e li metteva sul ripiano successivo.
In qualche modo lui riuscì a stringere ancora di più gli occhi. «Sei
licenziata», disse con tono fermo facendole alzare gli occhi al cielo, dato che
la cosa non sarebbe veramente mai successa.
«Sì, sì», mormorò lei con aria distratta mentre spostava lo sguardo nella
cucina chiedendosi dove fosse finito l’ultimo vassoio di cupcake, finché non
realizzò che il nonno si stava appoggiando all’indietro contro la porta della
dispensa e cercava di non incrociare il suo sguardo.
«Ma dài!», disse lei scuotendo tristemente la testa.
«Non so di cosa tu stia parlando», rispose lui cercando di mantenere
un’espressione normale.
«Non ho il tempo per queste cose», disse lei scuotendo la testa infastidita
mentre si avvicinava al nonno, afferrava il suo braccio e lo spingeva via in
maniera gentile, cosa che non servì assolutamente a niente dato che lui era
più pesante di lei di almeno una ventina di chili.
Chiudendo gli occhi con aria sconfitta proruppe: «Spostati o chiamo il
dottore adesso e gli dico che stai cercando di nuovo di mangiare delle
porcherie».
«Stai bluffando».
Lei sollevò le palpebre e fissò direttamente il nonno negli occhi duri e grigi,
degli occhi grigi che, si sapeva, avevano fatto piangere degli uomini adulti, e
rispose allo sguardo con uno tutto suo. Lei era l’unica, a parte la nonna, che
lui non riuscisse a intimidire.
Ci aveva provato.
Gesù, e come se ci aveva provato, ma fin da quando era piccola era sempre
riuscita a sostenerlo senza esitazione, cosa che probabilmente spiegava il
perché lei avesse un posto speciale nel suo cuore. Beh, normalmente ce lo
aveva, ma in quel momento no, dato che si stava mettendo tra lui e i dolci.
«Tu dici?», chiese lei sollevando un sopracciglio con aria di sfida, sapevano
entrambi che non avrebbe esitato a chiamare il medico e a fare la spia se lui
continuava a insistere.
Un muscoletto della sua mascella cominciò a tremare, il che non era affatto
un buon segno. D’altronde, lei non aveva paura di lui come succedeva a
chiunque altro. Certo, gran parte delle persone avevano una buona ragione
per temere il nonno. Anche se era sulla sessantina, nessuno lo avrebbe capito
guardandolo. Era ancora in forma: un metro e novanta, novanta chili di
muscoli e un sergente istruttore della Marina in pensione. Aveva poca
pazienza per le stupidaggini e non dava mai a nessuno una seconda
possibilità. Se ti mettevi contro di lui o qualcuno che amava, che il cielo ti
aiutasse, perché nessun altro lo avrebbe fatto.
Gli mancavano anche una trentina di cookie e sarebbe diventato diabetico o
gli sarebbe venuto un altro infarto.
Quel muscolo della mascella si contrasse sempre più velocemente mentre la
gelava con lo sguardo. «Sto bene», ringhiò alla fine.
Beh, diciamo che sbraitò, ovviamente tentando per l’ultima volta di farla
andar via in modo tale che lo lasciasse in pace e gli permettesse di
accontentare la sua golosità.
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