Un cigno selvatico – Michael Cunningham

SINTESI DEL LIBRO:
La gran parte di noi non corre rischi. Se non siete un sogno delirante
nel sonno degli dei, se la vostra bellezza non turba le costellazioni,
nessuno vi lancerà un incantesimo. A nessuno verrà in mente di
trasformarvi in una bestia o di mettervi a dormire per cent’anni.
L’apparizione camuffata da spiritello non ci pensa nemmeno a offrirvi
tre desideri con la catastrofe nascosta dentro come una lametta in
una torta.
Le fanciulle così così – quelle che è meglio guardarle a lume di
candela, con trucco e corsetto – non hanno nulla da temere. I
legittimi eredi grassocci e brufolosi, quelli che danno il tormento ai
tirapiedi e devono vincere sempre e a tutti i costi, sono immuni da
maledizioni e malocchio. Le vergini di serie B non suscitano le forze
della distruzione; i corteggiatori imbranati non fanno infuriare demoni
e folletti.
La gran parte di noi può stare tranquilla: riusciremo a rovinarci
con le nostre stesse mani. Le entità vendicative ambiscono a
devastare soltanto i rari, coloro che chissà come hanno ricevuto in
dono non soltanto giardini segreti e fasti principeschi ma una
leggiadria che fa sussultare gli uccelli posati tra i rami, per giunta
completata da un’eleganza, una generosità e un fascino talmente
naturali da sembrare qualità umane banalissime.
A chi non piacerebbe fare lo sgambetto a questa gente? Chi di
noi non comprende, nelle sue profondità meno presentabili, la
smania di demoni e maghi di perseguitare mutazioni umane a cui
divinità interessate soltanto al proprio sollazzo hanno evidentemente
assegnato il compito di farci sentire più soli e più brutti, più
impacciati, più incerti e riprovevoli di quanto non siamo già?
Se certe manifestazioni di perfezione possono essere macchiate,
o sfigurate, o costrette a percorrere la terra con pantofole di ferro, il
resto di noi si ritroverà a vivere in un mondo meno arduo; un mondo
di aspettative più ragionevoli; un mondo in cui le parole “bellezza” e
“potenza” potranno essere associate a una più ampia schiera di
donne e di uomini. Un mondo in cui gli elogi, i complimenti non siano
accompagnati dalla sottintesa disponibilità a chiudere un occhio su
uno o due difettucci, su qualche piccola, insignificante deficienza.
Chiedetevelo, per favore. Se poteste lanciare un maleficio
sull’atleta spaventosamente affascinante e sulla modella di intimo
che lo ama, o sulla coppia del cinema il cui DNA sommato rischia di
generare bambini di un’altra specie addirittura... lo fareste? La loro
aura di felicità e prosperità, i loro orizzonti sconfinati, vi irritano,
almeno un po’? Ogni tanto vi mandano su tutte le furie?
Se la risposta è no, tanto di cappello.
Se sì, invece, ci sono incantesimi e antichi sortilegi, ci sono
formule da pronunciare a mezzanotte, durante certe fasi della luna,
presso laghi senza fondo nascosti nel folto dei boschi, o in segreti
antri sotterranei, o in qualsiasi crocicchio dove si incontrino tre
strade.
È sorprendente quanto sia facile impararle, queste maledizioni.
Un cigno selvatico
ui in città vive un principe che ha il braccio sinistro
come quello di chiunque altro e il destro che è un’ala di cigno.
Lui e i suoi undici fratelli erano stati trasformati in cigni dalla
linguacciuta matrigna, la quale non aveva la benché minima
intenzione di allevare i dodici figli della ex moglie di suo marito (ex
moglie la cui faccia esangue e costernata la fissava con sguardo
vitreo da decine e decine di ritratti incorniciati; ex moglie che le
ripetute gravidanze avevano portato alla tomba prima ancora dei
quarant’anni). Dodici maschietti tronfi e litigiosi; dodici fragili, voraci
personalità; dodici adolescenze: il tutto presentato alla nuova regina
come uno dei suoi vari compiti quotidiani. Possiamo darle torto?
Davvero?
Così trasformò i ragazzi in cigni e ordinò loro di volarsene via.
Problema risolto.
Volle risparmiare la tredicesima, la più piccola, poiché era una
femmina, anche se le fantasie di condividere con lei chiacchiere e
confidenze, di trascorrere intere giornate a fare acquisti insieme
sfumarono abbastanza presto. Del resto, come avrebbe potuto
essere, una bambina, se non scontrosa e irascibile nei confronti
della donna che aveva trasformato in pennuti i suoi fratelli? Alla fine
– dopo aver esaurito la riserva di paziente indulgenza verso i suoi
bronci silenziosi, dopo aver raggiunto un certo numero di abiti da
sera acquistati e mai indossati – la regina si arrese, e la principessa
si ridusse a vivere nel castello come un parente povero cui eran
giusto garantiti vitto e alloggio, tollerata ma non amata.
I dodici principi-cigni vivevano su uno scoglio in alto mare ed era
concesso loro di tornare nel proprio regno una sola volta l’anno, per
un giorno, una visita attesa con impazienza e al tempo stesso
imbarazzante per il re e la consorte. Non era certo facile gioire, in
quelle giornate trascorse in mezzo a dodici figli un tempo coraggiosi
e forti e che adesso, in quell’unico, annuale interludio, sapevano
soltanto starnazzare, pavoneggiarsi e spulciarsi mentre si
aggiravano per il giardino del castello sbattendo le ali. Il re si
sforzava di apparire felice di rivederli. Alla regina veniva
puntualmente uno dei suoi mal di testa.
Passarono gli anni. Finché... Finalmente...
Durante una delle annuali licenze dei principi-cigni la sorella
minore spezzò l’incantesimo, avendo saputo da una mendicante
incontrata mentre raccoglieva more nel bosco che l’unico rimedio
noto contro il sortilegio della trasformazione in cigno era una tunica
fatta di ortica.
Comunque. La fanciulla era costretta a cucire in gran segreto,
poiché le tuniche dovevano (perlomeno così le aveva detto la
mendicante) non solo essere fatte di ortica ma di ortica raccolta nei
cimiteri, dopo il calar della sera: se fosse stata sorpresa a
raccogliere ortica fra le tombe a mezzanotte passata, la matrigna
l’avrebbe senz’altro accusata di stregoneria, l’avrebbe fatta bruciare
insieme al resto dell’immondizia. Tutt’altro che sprovveduta, la
giovane principessa sapeva anche di non poter contare sul padre, il
quale ormai nutriva il desiderio recondito (che non confessava
nemmeno a se stesso) di liberarsi di tutti e tredici i figli.
La fanciulla dunque si procurava l’ortica intrufolandosi di notte nei
cimiteri dei dintorni e dedicava poi le giornate a tessere la stoffa per
le tuniche. Si rivelò una vera fortuna che nel castello lei passasse
praticamente inosservata.
Aveva quasi finito le dodici tuniche quando l’arcivescovo (al quale
nessuno chiese come mai si trovasse anche lui in un cimitero a
quell’ora tarda) la vide raccogliere ortica e la denunciò. La regina
sentì confermati i propri sospetti (quella era una ragazzina che non
le aveva confidato nemmeno un segreto verginale, che mostrava
indifferenza assoluta nei riguardi di scarpe talmente splendide da
essere esposte nei musei). Il re – non c’è da stupirsene –
accondiscese, nella speranza di apparire forte e pragmatico, un vero
re, un re al quale proteggere il popolo dalle forze oscure stava
talmente a cuore da autorizzare persino l’esecuzione capitale della
figlia, se serviva a tenere i suoi sudditi al sicuro, liberi dai sortilegi e
dal timore di demoniache trasformazioni.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo