Ti odio con tutto l’amore che ho – Kat Sherman

SINTESI DEL LIBRO:
Se non fosse per Rachel Fitzgibbon che, sotto l’effetto di un potente
allucinogeno, ha ingoiato il suo pesce rosso a una festa fuori controllo,
probabilmente, io sarei la strana del campus: la ragazza che vive in una
palude, in mezzo agli orsi, o qualunque cosa immaginino questi figli di papà
con le chiappe su una Rolls-Royce e le mani sulle chiappe di qualcun altro.
Ma non me la sento proprio di ringraziare il pusher senza coscienza che
ha trasformato la povera Rachel in una leggenda priva di gloria: per me
“strano” non è affatto una brutta parola.
I fiocchi di neve sono strani. Albert Einstein era strano. Il bruco che esce
dal bozzolo, sfoggiando un bel vestito volante, è decisamente strano.
«Ehi, hai intenzione di parcheggiare quel trabiccolo prima della fine dei
tempi?»
La voce irritata che ha appena tentato di perforarmi un timpano proviene
da una bambola gonfiabile alla guida di una Porsche.
Sfodero il dito medio nello specchietto retrovisore e impiego di proposito
il doppio del tempo per posteggiare il mio Range Rover anni Novanta.
La bambola è così scioccata da non riuscire a richiudere le mascelle,
figurarsi a ricambiare degnamente il mio gesto. Ma tempo dieci secondi ed
esplode in una sequela di insulti che nemmeno uno scaricatore di porto che
ha appena perso le mutande a poker.
Ecco un’altra cosa strana: non mi porto mai dietro il fucile a
tranquillanti. E dire che ne possiedo tre.
Scendo dalla macchina e salgo i gradini che mi separano dalla sede di
una delle ventisei confraternite del MIT.
Lo scenario che mi si apre davanti è quanto di più classico possa offrire
la situazione: birra scadente che scorre a fiumi, musica priva di inflessioni
armoniche, gente che si bacia negli angoli ˗ e mentalmente compila una
classifica settimanale ˗ e gli immancabili cori d’adulazione per gli sportivi,
le star, le divinità, quelli che tutti guardano come se fosse il 1986 e
avessimo davanti agli occhi Tom Cruise in persona, appena sceso da un
caccia F-14, con una stellina di luce che brilla sul canino bianchissimo.
Attraverso la ressa di corpi che salta all’unisono su un pezzo di Pitbull
mixato con un aborto tecno. Nessuno bada alla birra che scavalca i
bicchieroni rossi a ogni salto, e, a fine serata, su questo pavimento si
potranno organizzare i campionati mondiali di pattinaggio.
Sguscio fuori in giardino. Le luci colorate circolano sul prato ormai
ridotto a uno schifo.
Ronnie è seduta su un divanetto bianco che campeggia sullo sfondo.
Sollevo il braccio perché mi veda.
E mi vede eccome. Diciamo che strabuzza gli occhioni scuri, apre la
bocca e si alza in piedi quasi di scatto, su quei tacchi da acrobata che mi
fanno venire le vertigini solo a guardarli.
Vorrebbe ammazzarmi per il mio ritardo, glielo leggo in faccia.
Fortuna che mi adora incondizionatamente. Almeno quanto io adoro lei.
Ho gli stessi pochissimi amici da quando andavo alle elementari, e
Ronnie, alias Veronica Blevins, è fra quelli.
Riuscire a entrare nello stesso college ci sembrava plausibile quanto un
miracolo. Eppure, eccoci qui, a smentire il calcolo delle probabilità, io con
una borsa di studio parziale e lei... be’, perché è Ronnie: dietro le ciglia
finte e le minigonne rigorosamente firmate, è una delle persone più
intelligenti che conosca. La cosa curiosa è che passa la metà del tempo a
fingere di non aver letto almeno due volte ogni singolo libro che la migliore
letteratura abbia prodotto dal 1700 a stamattina.
«Felpa e Dr. Martens? Sul serio?» sbotta quando la raggiungo. «E sei
pure in clamoroso ritardo. È quasi un’ora che ti aspetto!» Solleva la manica
della mia felpa e la sua aria contrariata si accentua. «Dov’è finito l’orologio
che ti ho regalato?»
Probabilmente c’è anche uno strato di fango incrostato sotto le mie suole,
ma è meglio se la cosa passi inosservata.
«L’orologio è rimasto sul comodino. Ma guarda qua: ho messo i
leggings! L’ho fatto solo per te, dato che tu odi a morte i miei jeans.»
«Sì, ma avresti dovuto mollare a casa anche quei vecchi anfibi. Il giorno
del mio compleanno dovrai per forza acchitarti o giuro che mi offenderò per
l’eternità. A proposito della mia festa, sto valutando l’idea di una caccia al
tesoro a squadre, alla quale seguiranno tuffi in piscina e balli scatenati.»
Mi siedo sul divanetto davanti a lei e un tizio che non conosco mi piazza
un bicchiere in mano. La regola generale è sempre quella di non bere niente
che sia di dubbia provenienza, così ringrazio il tipo e svuoto la sedicente
birra sul prato.
«Vedo che vuoi fare le cose in grande» commento.
Ronnie annuisce, facendo ballonzolare i maxi-orecchini. «Inviterò anche
Anthony, giusto per sbattergli in faccia che non porto rancore. E fingerò di
non ricordare che mi abbia mollata all’improvviso senza l’ombra di uno
scrupolo.» E l’insulto arriverà tra tre, due, uno... «Quel lurido
immondezzaio, schifoso, insensibile, patetico, stronzo, raccatta
sgualdrine!»
Beve un sorsetto di birra e assottiglia le palpebre, nell’atto di esaminare
la mia espressione che probabilmente dice tutto, impegnata com’è a stanare,
in mezzo a questo carnevale di gente, il tipo che rovinerà i prossimi tre mesi
della mia vita.
«Tutto bene? Hai una faccia... E non scrollare le spalle, rispondendo
“niente”, come fai di solito, perché ti conosco come il palmo della mia
mano e si vede che c’è qualcosa che ti tormenta.»
«È per mia madre» sputo fuori insieme al fiato. «Butta una mega bomba
e non mi dà neanche modo di difendermi, dato che è fuori città e lo sarà per
tutta la prossima settimana.»
Ronnie poggia i gomiti sulle ginocchia nude e si sporge verso di me. I
capelli neri, dritti come minuscole spade, le oscillano sopra le spalle.
«Quale bomba?»
«Come sai, mia madre supervisiona un programma di reinserimento per
ragazzi: pesca nel mucchio degli scarti gente disadattata e la porta alla
riserva a lavorare per noi. Non è venuto più nessuno, da quando papà non
c’è più, ma a quanto pare mamma vuole ricominciare. Il tizio in questione
doveva arrivare proprio oggi. L’ho aspettato per tutto il maledetto giorno
ma non si è degnato di presentarsi.» Scruto gli occhi attentissimi di Ronnie.
«La cosa più assurda è che il messaggio di mia madre diceva che il nuovo
ragazzo frequenta il nostro college. Guardati intorno: credi che qui in mezzo
ci sia davvero qualcuno che possa aver bisogno di una cosa del genere?»
Ronnie lo fa davvero, sonda la marmaglia con lo sguardo, poi torna a me.
«Secondo me, un po’ di duro lavoro farebbe bene a tutti qui dentro. Sono
tutte menti brillanti, eppure tragicamente prive di qualunque forma di
disciplina.»
«Tutto è possibile, però mi sembra strano. L’ultimo che è venuto a fare
reinserimento da noi era un piromane seriale. Ed è stato un agente di
sorveglianza a spedircelo.»
Poggio la schiena al divanetto ma non riesco a rilassarmi.
Il coro che si leva all’improvviso, sovrastando la musica, mi distrae dai
pensieri. Ovazioni e piedi che battono al suolo sono sempre per gli atleti.
“MIT Football Engineers”, ripetuto all’infinito, mi entra in testa senza
alcuna gentilezza.
Ed eccoli che fanno il loro ingresso in giardino, scortati da dame
intercambiabili che li sponsorizzano, senza alcuna dignità, con shorts
striminziti e una maglietta della squadra tanto corta da mostrare molto più
di un piercing all’ombelico.
No, non sarà mai un atleta a percorrere le quindici miglia che separano
questo posto dalla riserva.
Gli atleti vivono al top h24, schiavi del personaggio. Non hanno alcun
tempo per la vita reale. L’unico animale con cui hanno a che fare
quotidianamente è il castoro che gli fa da mascotte.
Quando vivi un’esistenza costellata dai trionfi, il contorno è sempre una
macchia sfocata. E le stelle vere non precipitano mai. Quelle che vediamo
nel cielo sono soltanto asteroidi incendiati.
Smetto di guardarli e sposto gli occhi altrove, in cerca di un outsider: chi
avrò tra i piedi per i prossimi tre o quattro mesi?
Immancabilmente, avverto un irrazionale moto di fastidio.
Non voglio nessuno con me alla riserva.
È l’unico posto al mondo dove posso essere me stessa, dove i miei vestiti
calzano a pennello, dove i miei capelli possono arruffarsi quanto vogliono,
dove sporcarsi è divertente come quando si è bambini. È il posto di papà. E
anche se è fatto di casa mia, strutture per gli animali, un lago e un mucchio
di alberi, io lo vedo come se fosse una specie di regno di cristallo. E un
estraneo non potrà mai essere delicato abbastanza da non spezzarne gli
equilibri. Anche se si tratta solo di pochi mesi, anche se è soltanto un tizio
di passaggio.
Ogni volta che qualcuno che non fosse della mia famiglia ha messo piede
alla riserva, sono successe cose inenarrabili. Oppure sì, si possono anche
raccontare, se siete fan del tragicomico che lascia dietro di sé una scia di
danni che non fa più ridere nessuno.
«Come va con la riserva, a proposito?» mi chiede Ronnie.
«Alla grande» la rassicuro. «Non preoccuparti.»
Va una merda. La barca è in affondamento.
Però io non sono disposta a mollare né tantomeno a compiangermi.
Neanche per tutto l’oro del pianeta. Anzi, se fosse necessario, svuoterei con
le mie stesse mani il mare che ci sta inghiottendo e ricostruirei sul fondale
asciutto un altro recinto per gli animali e pianterei altri alberi. Renderei le
cose persino migliori di prima.
«Ore dieci. C’è Anthony.»
Mi volto nella direzione che Ronnie sta fissando, mentre lei tormenta
rabbiosamente il girocollo di perle e corallo.
Scuoto la testa fra rabbia e incredulità. «Quanto è passato? Dieci giorni
al massimo?»
Lo stronzo ha il braccio sulle spalle di una stangona con i ricci scuri. Non
conosco lei, ma conosco Ronnie da un secolo, e forse sarà fottutamente
banale dirlo, ma l’unica cosa che mi viene in mente a proposito della sua
rottura con Anthony è che quell’idiota abbia perso un’occasione d’oro senza
neanche rendersene conto. Magari Ronnie potrà anche perdonarlo un
giorno. Ma a me è concesso odiarlo fino alla morte. Non voglio vedere le
lacrime sulle guance della mia migliore amica. Non voglio che il suo cuore
si incrini mai più. Né per Anthony Ramos né per nessun altro.
«Dài, andiamo via» le dico, alzandomi e offrendole la mano.
«E dove?»
«Non lo so, lontano da quello.»
La cosa migliore sarebbe restare piantate qui e mostrarsi indifferenti, ma
il labbro inferiore di Ronnie sta già tremando incontrollato. Lo addenta con
decisione e si alza.
«Prendiamo un po’ d’aria nel parcheggio, poi ti metti una bella maschera
di menefreghismo e torniamo qui.»
«No, voglio andare via e basta. Quello stronzo mi ha tolto la voglia di
fare festa.»
«I cuori spezzati guariscono. Solo che per chi ce li ha grandi è più
complicato. Quel coglione era incapace di dimostrarti i suoi sentimenti ed è
meglio che sia finita. Guardalo: probabilmente nemmeno ce li ha, i
sentimenti! Sembra un manichino di H&M. Tempo dieci anni, e si starà già
riempiendo di botulino per il terrore di invecchiare. La teoria, tradotta in
pratica, di un bel guscio con dentro l’uovo marcio.»
«Sono uno schifo di amica. Tu sei di cattivo umore e io attiro
l’attenzione su di me.
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