Tempesta di neve e profumo di mandorle – Camilla Läckberg

SINTESI DEL LIBRO:
Lo sciabordare delle onde contro la barca conciliava il sonno. Il
leggero dondolio, il parlottare sommesso dalle barche vicine, il caldo
che le imperlava la schiena di sudore. Tutto contribuiva a sospingerla
nella terra di confine tra la veglia e il sonno, un luogo che aveva
cominciato a temere. Ma era tanto stanca e accaldata che le mancava
la forza per sottrarsi a quel viaggio nell’inconscio, nella memoria. E
così arrivarono le immagini. Il rosso del sangue sul bianco delle
piastrelle. Quei ricordi le davano una fitta al cuore. Il cervello gridava
ai muscoli di muoversi, di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per svegliarla
dalla spirale in cui stava precipitando.
«Malin, è pronto.»
Riconoscente, Malin si riscosse dal torpore e si tirò su a sedere.
Proprio allora la barca sbandò e lei afferrò d’istinto la cima che correva
tutto intorno alla coperta.
«È pronto!»
Lars salì in coperta. Per un breve istante fu tentata di parlargli delle
immagini, dirgli che era per colpa loro se dormiva sempre così poco.
Ma respinse l’impulso. Non ne valeva la pena. C’era stato un tempo in
cui aveva creduto che loro due potessero comunicare. Ma simili
illusioni non se le faceva più.
«Chi era prima, al telefono?» chiese prendendo una forchettata
della Caesar salad preparata da Lars, mentre lo osservava con
attenzione.
«Nessuno» rispose lui senza guardarla negli occhi.
«Qualcuno dev’essere pur stato.»
Ci fu un momento di silenzio.
«Era per lavoro» disse Lars alla fine.
«Non lo sanno che sei in ferie?»
Sapeva che non sarebbe servito a niente. Che lo avrebbe solo fatto
arrabbiare. Ma non riuscì a trattenersi.
«Dicevi che saresti stato completamente libero. Niente lavoro,
queste vacanze.»
Malin si maledisse per quel tono lamentoso, ma la rabbia e la
frustrazione cancellavano ogni razionalità, lasciando posto soltanto a
una bambina delusa.
«Dovevano consultarmi per un paziente. Ci sono voluti solo cinque
minuti. Tanto tu dormivi!»
Posò di scatto la forchetta e si mise a fissare il mare. Dopo un po’ la
riprese in mano e il pranzo continuò in un silenzio talmente colmo di
cose non dette che avrebbero anche potuto strillarsele in faccia.
«Vado a fare un giro» disse Lars, finito di mangiare.
«Okay, lavo io i piatti.»
Malin osservò le sue spalle ampie che si allontanavano sul molo.
Tre giorni dopo fecero rotta a nord, verso un nuovo porto. Erano in
mare da quasi una settimana e mezza e la barca era ormai sovraccarica
di aspettative deluse. Forse era stato sciocco da parte sua credere che
per sistemare tutto sarebbe bastato comprare una barca a vela e
starsene via per un mese. Che avrebbero potuto buttarsi alle spalle
tutto ciò che era successo a casa e lasciare che il vento spazzasse via i
brutti ricordi.
La barca era stata un’idea sua. Si può dire che fosse cresciuta in
barca a vela, e anche Lars ne aveva avuta una per tanti anni, prima che
si conoscessero. Ma considerato cos’era successo alla sua prima
moglie, c’era voluto del tempo prima che Malin trovasse il coraggio di
fargli quella proposta. Lui però l’aveva sorpresa: si era mostrato subito
entusiasta, dicendo che era un’idea meravigliosa. E così si erano presi
la barca. Un gioiellino da cinque milioni di corone, con tutte le
comodità possibili e immaginabili. Malin si sarebbe anche
accontentata di qualcosa di meno pretenzioso, ma aveva lasciato fare a
lui. I soldi ereditati dal nonno non servivano a granché, finché
rimanevano in banca. Se potevano significare un nuovo inizio per loro
due, sarebbero stati soldi ben spesi.
«Ecco qua! Ho preparato il caffè.» Lars la raggiunse a prua. Erano
in mare aperto e non c’erano altre imbarcazioni in vista. Solo qualche
isoletta. Il vento aveva rinfrescato e la barca rimbalzava sulle onde.
«Grazie.» Malin prese la tazza senza distogliere lo sguardo dal
mare. Avevano inserito il pilota automatico e Lars rimase accanto a lei.
«Malin...» disse in tono esitante.
Lei non si voltò a guardarlo, ma rimase all’erta aspettando il
seguito.
«Malin...» ripeté Lars di nuovo, senza sapere bene come
continuare. Lei lo aspettava al varco.
«Io...»
All’improvviso furono sorpresi da un’onda più alta delle altre e la
barca si inclinò di colpo. Malin perse l’equilibrio e venne scagliata
contro la battagliola. In quel momento sentì la mano di Lars contro la
schiena e per un attimo pensò che l’avrebbe spinta, facendola cadere
fuori bordo, nell’acqua spumeggiante. Ma poi si sentì afferrare per il
giubbotto e tirare indietro.
«Ci è mancato poco» disse Lars con uno strano guizzo negli occhi.
Poi si voltò e tornò in pozzetto.
Non c’era niente che non andava in lei. L’avevano dichiarato i
medici, uno dopo l’altro. Semplicemente non avevano trovato nessun
problema. Niente che potesse spiegare perché i bambini non volessero
restarle dentro. Niente che spiegasse il sangue che arrivava con
inesorabile certezza. Tre mesi. Più di così non era mai riuscita a
trattenere un feto. Poi arrivava il sangue a colorare di rosso le
piastrelle del bagno, e lei piangeva. Un pianto sconsolato e
irrefrenabile.
All’inizio Lars le era stato vicino. L’aveva consolata, incoraggiata, si
era preoccupato che si riposasse, che prendesse le sue vitamine.
L’aveva protetta. Ma ogni volta che perdeva un bambino, il suo
bambino, lui diventava sempre più sfuggente. Alla fine quella vacanza
le era parsa la loro unica via di uscita. Che illusa. Niente era stato come
se lo era immaginato.
Malin fece un cenno di saluto alla coppia sulla barca accanto.
Avevano attraccato al porticciolo di Grebbestad, stretti tra mille altre
barche, cosa che lei detestava. Provava un senso di claustrofobia. Ma
Lars voleva fermarsi lì per un paio di giorni. Aveva delle faccende da
sbrigare, così le aveva detto. Malin non ebbe la forza di chiedergli cosa
dovesse fare. Di sicuro era per lavoro. Come tante altre volte. Faceva il
medico, una magnifica professione in cui immergersi quando a casa
l’atmosfera diventava troppo pesante, troppo cupa. Ormai erano
passate tre ore e ancora non era tornato.
Quando alla fine lo vide venire verso la barca aveva l’aria tesa.
Malin osservò la sua figura slanciata e la caratteristica andatura un po’
da perditempo. Non aveva mai smesso di trovarlo attraente. Cinque
anni prima, quando si erano incontrati per la prima volta a casa di
conoscenti comuni, le erano bastati pochi minuti per innamorarsi di
lui. I capelli gli si erano un po’ ingrigiti sulle tempie, ma era l’unico
dettaglio che tradiva i suoi quarantacinque anni appena compiuti. Lei
stava per farne quaranta. Quarant’anni e zero figli. Si morse le nocche
per impedire alle lacrime di ricominciare a scendere.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo