Teach me – Margherita Fray

SINTESI DEL LIBRO:
Sono sempre stata una ragazza brava a scuola.
Non secchiona, ma brava.
Una di quelle alle quali basta il minimo studio indispensabile per arrivare a un
buon voto e appena un piccolo sforzo in più per arrivare all’eccellenza.
I miei voti non hanno mai riservato sorprese, né a me, né tanto meno ai miei
genitori. Di solito A, a volte B poi, be’, tutti scivoliamo in una C prima o poi.
Mi sono sempre accontentata. In tutte le materie tranne che in Letteratura
Inglese. Lì pretendo il massimo, lì voglio il massimo e la ragione è semplice:
amo da morire la letteratura inglese. Adoro le lezioni della professoressa
Tutcher. Quando la guardo spiegarci, è talmente evidente che le piaccia quello
che insegna da riuscire a trasmettere la propria passione ai suoi studenti. O
almeno a me.
Di solito non ho nemmeno bisogno di prendere appunti durante le sue
spiegazioni: mi limito ad appoggiarmi al banco con i gomiti, a sostenermi il viso
con le mani e assorbo come una spugna tutto quello che ci racconta, come un
bambino con le favole.
Quelle che ci racconta lei, sono favole bellissime.
Ci sono principesse appassionate e determinate, ci sono principi coraggiosi e
indomiti, storie d’amore travolgenti, orrori inimmaginabili, mondi inesplorati…
Mrs. Tutcher mi ha spinta tra le braccia della lettura con delicatezza: terminato
lo studio di ogni autore, recuperava la bibliografia e ci raccontava quali erano i
suoi libri preferiti. La mia immaginazione è piuttosto fervida, quindi le bastava
davvero poco: una frase, un accenno, per stuzzicare la mia curiosità.
Con il tempo ho capito che la mia vita non sarebbe mai stata eccitante quanto
quelle delle mie eroine letterarie: le mie migliori amiche, Seline e Carole, non mi
avrebbero mai trascinata in nessuna avventura; non ci sarebbe mai stato nessun
ragazzo all’altezza dei personaggi romantici di cui leggevo con tanto
entusiasmo.
Piuttosto triste.
Ci sono mattine come questa nelle quali l’unico motivo per cui mi sono
svegliata, vestita e tutto il resto; la sola ragione per la quale ho accettato di
prendere un autobus puzzolente, stipata come un filetto di tonno in una lattina, è
poterla vedere entrare e sorriderci nel suo modo fiero, ma rassicurante: una
leonessa mamma che sfida i suoi cuccioli a starle dietro.
Quindi, nel vedere che al posto della mia cara, motivante professoressa Tutcher
sta entrando un ragazzo – nemmeno un uomo, proprio un ragazzo – davanti ai
miei occhi assottigliati per il disappunto, si presentano soltanto tre alternative
possibili: urlare, piangere, scrivere una lettera di lamentele al direttore
dell’istituto perché, cielo, quello Shakespeare non lo saprebbe nemmeno
sillabare.
Lo squadro con aria critica. Sono sicura che non arrivi ai trent’anni, neanche
per sogno. Ha una borsa della Converse. Quale professore che voglia risultare
credibile si presenta a lezione con una tracolla della Converse bianca appesa alla
spalla? Ma per favore!
Indossa una camicia bianca, una giacca scura e una cravatta annodata male, ma
che comunque nell’insieme lo avrebbero potuto far apparire professionale, se
non avesse deciso di impiccare tutta la sua improbabile credibilità con un paio di
jeans. Sembra… bah… mi appoggio sul banco sostenendomi la testa con la
mano, persa nel match rabbioso che si sta svolgendo nella mia testa: sì, è bello
da guardare e sì, se pubblicizzasse qualcosa, qualsiasi cosa probabilmente la
comprerei, ma, Dio, deve insegnarmi Letteratura Inglese!
Deve istruirmi in modo che quando l’anno prossimo sarò ammessa alla
Columbia University, perché io sarò ammessa alla Columbia University,
sprizzerò sicurezza, padronanza della materia e conoscenza a ogni mio
intervento!
Sempre che io riesca a smuovere i miei genitori.
Perché mi hanno messo nelle mani di questo incompetente?
Che ne è stato della mia adorata Mrs. Tutcher?
«Buongiorno.»
Automaticamente, da bravi studenti rispettosi dell’autorità vigente – il
professore –, ci alziamo tutti insieme in un fracasso di sedie che strusciano sul
pavimento.
Nel trovarsi davanti venti ragazzi in piedi come un esercito in attesa di ordini, il
tizio aggrotta le sopracciglia e ci fa cenno con le mani di sederci.
«Okay, per prima cosa non alzatevi tutte le volte che entro ed esco, fatelo con
gli altri insegnanti.»
Si gratta la testa, ricoperta di capelli neri con un taglio talmente da “giovane”,
che niente, proprio niente gli impedirebbe di sedersi accanto a noi e iniziare a
prendere appunti.
Ci risediamo mentre lui appoggia la borsa sulla sedia e fa forza sulle braccia
per accomodarsi sulla cattedra con i piedi penzoloni. «Mi chiamo Cameron
Wilde e sono qui per sostituire Mrs. Tutcher.»
Ora sì che posso scoppiare a piangere. Ma alzo la mano, invece, speranzosa che
il destino non mi stia riservando un tale colpo basso.
Cameron Wilde mi guarda, probabilmente stupito che qualcuno abbia già una
domanda. «Prego, parli pure, signorina.»
Cioè, ma ha intenzione di essere così formale con un’alunna?
Fingo di aver capito male e lascio correre. «Sa quando rientra la
professoressa?»
Perché sì, già mi manca, da morire.
Scuote la testa stringendosi nelle spalle, mentre io mi lascio andare a un lungo
sospiro sconsolato. Non va bene. Non va affatto bene.
Io avevo delle domande per Mrs. Tutcher, volevo parlarle di come stava
procedendo il mio libero approfondimento su Dickens.
«Lei è?»
Non lo voglio questo Cameron Wilde.
«Morgan Williams» mormoro senza guardarlo, troppo concentrata sulla mia
piccola tragedia personale per pensare ad altro.
«Quanti siete in questa classe?» continua lui.
Qualcuno dal fondo gli risponde ventitré e lui fa una smorfia.
«Questo è un bel problema… Come faccio a ricordare i vostri nomi?»
Nessuno parla e lui ci fissa spazientito. «Non era una domanda retorica, ogni
consiglio è ben accetto.»
Dio, ma chi ci hanno mandato?
Si allunga sulla scrivania, praticamente ci si sdraia sopra, e scopro che non ha
nemmeno la camicia nei pantaloni, visto che gli sto guardando l’orlo dei boxer…
Dio, gli sto guardando l’orlo dei boxer!
La lettera di ammissione alla Columbia mi svolazza davanti per poi uscire dalla
finestra sulle ali del vento.
Estrae un pennarello nero e un blocco di post-it dalla borsa porgendoli alla
ragazza con il banco appiccicato alla scrivania: Tanya, secchiona di turno nonché
capoclasse.
«Fateli girare e scriveteci sopra il vostro nome e cognome, poi appiccicatelo sul
banco verso di me. Scrivete in stampatello grande.» Ci osserva alcuni secondi,
mentre i foglietti iniziano a girare, poi riprende: «Il direttore pretende che voi
usiate un’infinità di forme esageratamente cortesi nei miei confronti, ma non
chiamatemi Signor Wilde, mi fareste sentire tristemente vecchio. “Professor
Wilde” è già meglio.»
Strappo rabbiosamente il blocco di post-it dalle mani di Seline che mi guarda
sorpresa. Io voglio un professore vecchio che mi faccia sentire il peso della sua
maturità e competenza, non un ragazzino che cerca di fare il simpatico. In un
moto di stizza scrivo fieramente sul mio foglietto giallo: “Miss Williams”,
giacché siamo in vena di idiozie.
«Che stavate facendo con m…» si interrompe e io alzo gli occhi verso il
soffitto. Ho il cuore spezzato all’idea che quel… quel… mpf… “professore” non
sappia nemmeno come si chiama la meravigliosa insegnante che si appresta a
sostituire. «Mrs. Tutcher?» conclude.
«Chieda a Williams.»
Mi sento scomodamente tirata in ballo, così sollevo lo sguardo per fulminare
Alex Turner che sta abbassando la mano dopo avermi indicata. Quando mi volto
di nuovo Cameron Wilde mi sta fissando divertito. «Era la leccapiedi della
prof?» chiede ridendo.
Ma come si permette?!
Incrocio le braccia sul petto e tiro indietro i capelli con uno scatto oltraggiato
della testa. «No, ma mi piacevano le sue lezioni.» Con questo spero di aver
concluso il discorso.
E invece no.
«Bene, quindi saprà dirmi quale argomento stavate affrontando…»
«Dovevamo leggere un’opera a scelta di Shakespeare e farne una relazione»
rispondo acidamente, controvoglia. Non potrebbe aggiornarsi da solo sul
programma svolto? Ci sono tantissimi modi per farlo e tutti alla portata di un
insegnante serio. Già… serio.
Annuisce, poi si morde le labbra. Belle labbra, di un rosa acceso, lisce… Cosa
ca… Colpevole.
«Lei era… Mar…»
«Morgan» lo interrompo, indispettita che abbia già dimenticato il mio nome:
cos’ha al posto del cervello, un colabrodo? Se iniziamo così….
«Grazie, Morgan» dice con più enfasi del necessario tornando alla classe. «Per
me possiamo anche discuterne durante l’ora di lezione, che ne dite?»
Alzo gli occhi al cielo sconsolata. Ovviamente tutta la classe esplode in un
sonoro “sì”. Ci ha appena giustificati a non fare niente!
«Se non li leggete me ne accorgo, quindi niente Wikipedia.» Ci lancia
un’occhiata in tralice. «Se cercate di fregarmi, mi commentate tutto Shakespeare.
Un bel quaderno di riflessioni sui suoi scritti e credetemi…» si interrompe e
annuisce. «Shakespeare ha scritto davvero tanto.»
Una folla di studenti obbedienti come soldatini prende appunti in proposito. Io
non ne ho bisogno, ho già letto e commentato l’Otello, così mi metto a sfogliare
il libro di testo, tanto per rimpiangere quale argomento non sentirò spiegare dalla
professoressa Tutcher, ma delle dita che tamburellano sul mio banco deviano la
mia attenzione. Cameron Wilde è davanti a me, in attesa.
«Giacché è stata indicata come “la più brava”, mi fa un elenco di tutti gli alunni
con accanto l’opera che hanno scelto?»
Forse è perché ha gli occhi più incredibilmente azzurri che io abbia mai visto,
sembrano geneticamente modificati, o più probabilmente mi arrendo all’idea che
volente o nolente quello è il mio professore per adesso, ma annuisco.
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