Sperando che il mondo mi chiami – Mariafrancesca Venturo

SINTESI DEL LIBRO:
Il mio tempo è fatto di ore, giorni, settimane che ricominciano sempre
daccapo in una danza di passi studiati e consumati dagli anni.
La mia vita non prevede scadenze, non c'è posto per programmi,
appuntamenti, rate, agende; eùna commedia buffa dove tutto accade
all'improvviso.
Ogni giorno la porta di casa si apre, m'incammino incontro a una meta
appena intuibile: dal mio punto di avvistamento c'è solo un'idea, un autobus,
una mappa, il telefono sempre acceso in attesa di una rotta, un segnale,
un'indicazione.
Quando le coordinate arrivano spiego le vele e giro il timone, avanzo con
un guizzo impaziente percheárrivare in ritardo si può ma non si dovrebbe.
I bambini aspettano.
Approdo: mi fermo in un punto preciso per un numero calcolato di giorni,
settimane, mesi. Ho una missione da compiere, non necessariamente da
completare.
La giornata schizza via, una due tre, centottanta volte, e queste giornate
infilate e annodate, strette in una catena intermittente di eventi, mi servono
per concludere l'avventura di un anno e completare una tessera punti per
vincere un tesoro che si chiama lavoro.
Finchelevo l'ancora e salpo verso casa.
La mia ultima traversata con oggi finisce, è durata tre giorni da spuntare a
matita sul calendario delle presenze.
Vado a casa a dormire che il cielo è già scuro e pesante e la stanchezza si
accumula nelle gambe, le mani e la testa.
Sprofondo in un letto troppo stretto che mi ricorda con la grazia feroce e
asciutta dell'infanzia che il mio tempo di scuola è scaduto, adesso tocca a
me fare le domande.
Domani si ricomincia.
La coperta mi ripara col suo tepore indolente, mi avvolge nei sogni e
buonanotte al buio: vado a sognare un amore perfetto che ogni tanto appare
nel mio mare scuro e increspato dalle possibilità.
2.
Alle sei del mattino guardo la sveglia che canta; la vecchia sveglia
d'ottone di nonna che scaccia il sonno con una ninna nanna forse per l'errore
distratto di un antico orologiaio: dimmi, sveglia, dimmi se sono davvero le
sei o se invece sono ancora le cinque e posso dormire un'altra ora, una volta
è capitato, ricordi?
Vorrei lamentarmi che è troppo presto o rigirarmi nel letto e fare finta di
niente.
Ma vivere con i miei genitori lo pago col divieto di piangere, almeno ad
alta voce: hai origini nobili, tu, contegno, controllo, capelli e trucco sempre
a posto. Alza la testa, reagisci, tua madre e la madre di tua madre hanno
affrontato tempeste incredibili dignitosamente, senza lacrime, senza
rimpianti.
Svegliati.
A casa nostra non ci si guarda mai indietro e ci si rimbocca le maniche,
perche´ è cosi` che si fa dai tempi degli avi, delle origini, dell'inizio, da
quando nonna eàrrivata in Italia su una nave di migranti senza mai
distogliere lo sguardo dalla meta, dai tempi in cui la madre di tuo padre
percorreva a piedi chilometri di campi per studiare, lavorare e diventare
quello che anche tu stai cercando di essere.
Maestra di scuola.
Tutti in questa famiglia sono stati insegnanti percheéìl mestiere piuùtile
che c'è, perchela scuola eìl luogo più dignitoso che esista per combattere
battaglie silenziose ma efficaci e anche perchecosi`dev'essere nei secoli dei
secoli amen.
Accetto il mio destino sorridendo e tutto sommato il fatto di esserne parte
per genetica non mi dispiace.
A scuola non si vince, si combatte.
Il letto mi scuote, sbrigati, da qualche parte in un angolo di Roma il
cancello di una scuola sta cigolando.
Penso: c'è gente come me che si alza anche alle cinque del mattino o alle
quattro o alle tre e non si lamenta se c'è molta strada da calpestare, un treno
da prendere.
Ho i capelli attorcigliati sulla testa e sono intontita, per una questione di
serietà sarebbe meglio non mostrarsi di fronte a questa vita che non prevede
errori, sbavature, storture.
Socchiudo la finestra e sbircio fuori: alba, lucette accese dentro case
appannate che sembrano presepi, radioline a pile dentro cucine silenziose
dove suonano i rintocchi anonimi di un orologio elettronico che segna
momenti uguali in vite diverse.
Avviso ai naviganti: il cielo dorme, mare forza uno.
Il mondo delle sei del mattino si accende lentamente e poi, in uno slancio
disperato e cieco, riemerge nella luce, si tuffa nella vita fatta di lavoro, di
bambini da accompagnare, di spesa al mercato in cerca della frutta più bella
e della verdura più verde, si tuffa nelle strade fatte di automobili, di traffico,
di chiacchiere al bar davanti a un cappuccino scuro, legge il giornale, ma
solo certe pagine: hai visto la Roma? Era rigore, rigore sicuro. Piomba alle
fermate degli autobus, sui marciapiedi ricoperti dagli ombrelli spalancati, si
snoda in una strada di mani che rovistano nelle borse per cercare alla svelta
un fazzoletto percheìl naso cola.
Il mondo delle sei del mattino non ti restituisce quello che dai, ha una
traiettoria fatta di riti, di passi, di strade, di porte, di stanze e di bevande
calde.
Le sette.
I bambini nelle case degli altri si svegliano: sbrigati che è tardi, bevi il
tuo latte, mangia i biscotti, vuoi il succo? Hai lavato i denti? Pettinati! No,
anzi, ti pettino io, ti faccio la treccia. Poi dormi un altro po'. In macchina.
Il mio eùn mondo instabile, fatto di fatica. Zoppica, non ingrana la marcia
delle abitudini e non ha una direzione precisa, soprattutto percheá guidarmi
è la fortuna.
Nel mio mondo io viaggio in autobus insieme ai pendolari che vengono
da Fondi, da Cassino, da Caserta o da più lontano ancora per fare lo stesso
lavoro che faccio io.
Titti ogni mattina bacia suo marito nel buio di una stanza del Sud appena
sfiorata dall'alba, si infila le scarpe sul pianerottolo per non fare rumore e
corre alla stazione.
Federico sui treni ci vive: “Praticamente mangio, dormo, leggo, studio, il
treno è la mia casa. A trent'anni suonati ne ho già cento di anni ". Si pettina
i capelli con la riga precisa a destra, sorride, studia le regole del gioco: leggi
decreti ordinanze, e corre con la mappa in mano.
E mentre i treni galoppano in direzione Roma mia madre in cucina si
lamenta. Potrebbe alzarsi alle nove, alle dieci, alle undici e un quarto, visto
che eìn pensione, potrebbe passare la prima metà della mattinata dal
parrucchiere Walter a farsi la piega ai capelli che il cuscino anti-cervicale le
ha arruffato, e invece si alza coi capelli dritti, si annoda in vita il grembiule
a scacchi blu e prepara in anticipo il pesce per pranzo: tuffa il merluzzo
surgelato Findus in una padella piena di sugo, soffritto, olive e intona una
vecchia canzone che sua madre le cantava per dimostrarle il suo insolito
modo di amare e ricordarle che la vita non ti dà quello che vuoi, sei tu che
costruisci: Mamma, mormora la bambina, mentre pieni di pianto ha gli
occhi, per la tua piccolina, non compri mai balocchi...
Mamma cucina il pesce, spera che io presto scappi dentro la mia vita che
ancora non decolla, prega, canta e cucina perche´ forse immagina che prima
o poi me ne vada, magari anche solo per via di questo odore acre che di
mattina proprio non si regge.
I trent'anni di Federico non sono pochi, ma anche i miei ventotto sono
ormai troppi per un nido cosi` piccolo.
Sei tu che costruisci, le diceva sua madre, fatti una famiglia tua, va', ama,
spicca questo benedetto volo, pensa lei quando mi osserva, ma l'unico
amore che io conosca appare sempre all'improvviso e si chiama Erasmo, un
elogio della follia conosciuto ai tempi dell'università, catapultato da una
città lontana fino a me qualche fine settimana all'anno.
Posto per una famiglia mia ancora non ne ho, nemmeno nei pensieri,
nemmeno a immaginarlo.
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