Qualcosa di grande – R.L. Mathewson

SINTESI DEL LIBRO:
Amo mia moglie».
«Sì, ma…», Jodi iniziò a parlare solo per essere di nuovo interrotta,
ancor prima di poter spiegare perché aveva un disperato bisogno di
rescindere il proprio contratto di affitto.
«Amo mia moglie», ribadì Trevor Bradford, suo padrone di casa,
nonché uomo che lei sospettava fosse a un passo dal commettere
un omicidio, tanto quanto lei: era infatti la centesima volta, da
quando era entrato nel suo appartamento cinque minuti prima, che
ripeteva la stessa identica frase.
Jodi emise un sospiro esasperato e, mentre si muoveva inquieta
sulla sedia, cercò di pensare a un altro modo per spiegare a
quell’omone, in fondo una brava persona, che, se non l’avesse
liberata dal contratto con dieci mesi di anticipo, temeva che avrebbe
finito per uccidergli il cugino con le proprie mani. Poiché era alquanto
sicura che con una piena confessione non avrebbe fatto altro che
darsi la zappa sui piedi, decise di percorrere una strada più scaltra
per sbarazzarsi del contratto.
«Ho bisogno di rescindere il contratto, perché tuo cugino è uno
stronzo e mi sta rendendo la vita un inferno», chiarì lei in maniera
pacata ed esaustiva, evitando di menzionare che aveva già pensato
a ventinove modi diversi per ammazzare quel grande e rognoso
bastardo.
Per un momento, studiandola dall’altro capo del piccolo tavolo da
pranzo rustico del diciottesimo secolo ereditato dalla sua bisnonna
Rose, Trevor non disse nulla. I suoi occhi si strinsero su di lei
valutandola, e anche lei fece altrettanto, rifiutando di lasciarsi
intimorire. Quando fu palese che l’intimidazione non avrebbe
funzionato, lui tentò un’altra tattica.
«Quale cugino?», chiese lui, facendo finta di non capire, mentre si
poggiava all’indietro sulla sedia. Jodi trattenne a stento un sussulto
quando la sedia scricchiolò in segno di protesta, sotto il peso di
quell’omone. Se avesse dovuto tirare a indovinare, avrebbe detto
che l’uomo pesava più di novanta chili e che era tutto muscoli dal
primo all’ultimo grammo. Si chiese quanti altri abusi avrebbe potuto
sopportare quella povera sedia prima di cedere sotto quella
pressione.
Perdere un oggetto a lei così caro probabilmente l’avrebbe
depressa per un giorno o due, soprattutto perché, con il suo nuovo
stipendio, non si sarebbe potuta permettere di rimpiazzarla
nemmeno con una imitazione a basso costo del discount. D’altra
parte decise che, se questo significava sbarazzarsi del proprio
contratto di affitto in quell’inferno e allontanarsi dall’uomo più
fastidioso sulla faccia della terra, non avrebbe avuto altra scelta che
ingoiare il rospo ed elaborare il lutto.
«Lo sai quale», disse lei tra i denti, certa che lui sapesse fin troppo
bene quale dei suoi cugini la stesse conducendo al punto di non
ritorno.
«Ne ho ben cinque che affittano appartamenti qui», precisò lui, non
sembrando molto felice a riguardo, ma intenzionato a non facilitarle
le cose. «Temo che dovrai essere un po’ più precisa».
D’accordo, tutti i suoi cugini affittuari sembravano dei bastardi
arroganti, ma solo uno di loro era un stronzo fatto e finito. Gli altri la
divertivano e, certo, potevano irritarla da morire, ma non al punto da
spingerla a contemplare l’opzione dell’omicidio. Quella reazione era
riservata esclusivamente a un uomo e a un uomo solo.
Danny Bradford.
In realtà la cosa era piuttosto strana perché, prima di traslocare lì,
aveva sempre pensato a se stessa come a una pacifista. La sola
idea di un cucciolo che guaiva, o di ferire involontariamente i
sentimenti di qualcuno l’avrebbero spinta a trangugiare mezzo chilo
di gelato e a piangere come una fontana davanti a un film
drammatico. Prima di Danny Bradford non era mai andata
veramente su tutte le furie. Prima di incontrare lui, non aveva mai
provato rancore. Di solito si lasciava scivolare le cose di dosso
abbastanza velocemente senza perdere tempo con le stupidaggini,
ma tutto questo era cambiato il giorno in cui si era trasferita e aveva
conosciuto il bastardo che viveva dall’altra parte del pianerottolo.
D’altronde molte cose erano cambiate nella sua vita negli ultimi
mesi, e alcune potevano aver influenzato la sua reazione nei
confronti di Danny Bradford. Tuttavia, anche se non fosse stata
scaricata la sera prima delle nozze, se non avesse perso il suo
lavoro al museo, se non fosse stata costretta ad accettare un lavoro
come bibliotecaria comunale, e non fosse stata umiliata in tutti i modi
possibili e immaginabili dal suo ex, era abbastanza sicura che
avrebbe comunque maturato un odio divorante per il suo
dirimpettaio.
Era un tipo arrogante, un presuntuoso, uno stronzo, uno bravo a
curare i propri interessi, uno stronzo, un cazzone, uno veramente
fastidioso, e aveva già detto che era uno stronzo? Sembrava quasi
che vivesse per romperle le palle. Come se avere a che fare con tutti
i casini in cui la cacciava non fosse già abbastanza, a farla incazzare
ancora di più e in innumerevoli modi c’era quel maledetto sorriso da
sbruffone che gli si dipingeva sulla faccia mentre gliene faceva di
cotte e di crude. Come odiava quel sorriso, magari non quanto
odiava quell’uomo, anche se era un bel testa a testa.
«Danny», sputò fuori il nome, fissando l’uomo, mentre
silenziosamente lo sfidava a restare seduto lì, fingendo di non
sapere che suo cugino se la stava spassando alla grande a renderle
la vita un inferno. Lui lo sapeva, oh, eccome se lo sapeva. Non
passava settimana in cui lei non fosse costretta a chiamarlo e a
spiegargli, con quanta calma le era possibile, che se suo cugino
continuava con le sue cazzate, sarebbe stata obbligata a prenderlo a
calci nelle palle per cancellargli quel sorriso presuntuoso dalla
faccia.
Di solito quando era costretta a fare quelle telefonate, che la
facevano sentire come una bambina spiona, Trevor la ascoltava per
ben dieci secondi, sospirando pesantemente, e quindi passava il
telefono a Zoe, sua moglie e amministratrice non ufficiale di tutti gli
immobili in affitto di loro proprietà. Trevor solitamente veniva
interpellato come ultima spiaggia o se sua moglie era troppo esaurita
dai loro due bambini per raccogliere l’energia sufficiente ad
affrontare gli inquilini. In effetti, lei preferiva avere a che fare con
Zoe, perché lei la ascoltava, la capiva, e una volta che Jodi si era
sfogata, questa donna bassa e paffutella la abbracciava, dicendole
di tenere duro, per poi attraversare il corridoio e dare a Danny uno
scappellotto sulla testa.
Poi con un sospiro di soddisfazione, Zoe se ne andava sorridendo,
lasciandola a fare i conti con Danny e quel suo cazzo di sorrisetto
impertinente, e con la consapevolezza che in qualche modo lei gli
aveva lanciato una sfida. Ogni volta che Zoe lo andava a trovare, lui
alzava sempre la posta in gioco per farla impazzire.
Come la settimana precedente quando era stata costretta a
lamentarsi del fatto che Danny era riuscito a farla inserire nella lista
nera dei clienti indesiderati per le consegne a domicilio di un altro
ristorante. Zoe era arrivata subito, quella volta senza prendersi la
briga di andare a trovarla prima di bussare alla porta di Danny.
Quando Danny aprì la porta, mentre stava mangiando le alette di
pollo piccanti di Jodi, Zoe sospirò, allungò la mano e gli diede uno
scappellotto in testa.
Invece di incazzarsi come magari avrebbe fatto lei se qualcuno
l’avesse presa a schiaffi, Danny se n’era semplicemente fregato e
aveva preso un’altra aletta. Quando stava per addentarla, Zoe gli
aveva strappato di mano sia l’aletta che la scatola da asporto, lo
aveva fulminato con lo sguardo per dieci lunghi secondi, e se n’era
andata infuriata.
Fu allora che Danny finalmente reagì.
Fu anche il momento più sbagliato per uscire dall’appartamento e
controllare la posta. Prima che potesse organizzarsi per la fuga,
Danny la fissò in modo accusatorio come se le alette di pollo gliele
avesse rubate lei, anche se, tecnicamente, erano le sue visto che le
aveva ordinate.
Non aveva detto una parola mentre chiudeva la porta. Non aveva
bisogno di dire nulla, perché quello sguardo era del tutto eloquente.
Aveva trascorso la notte rigirandosi nel letto, combattuta tra porgergli
le proprie scuse per risparmiarsi le sue stronzate, infischiarsene
mentre si raccontava che non c’era nulla di cui preoccuparsi, e
incazzarsi a dovere con se stessa per essersi ossessionata per una
cosa così stupida. Quando il mattino dopo la sveglia la costrinse a
trascinare le chiappe fuori dal letto, avrebbe voluto prenderlo e
prendersi a calci nel culo per aver passato tutta la notte in bianco a
rimuginare, anziché essersi fatta una bella dormita.
Trenta minuti, una doccia tiepida e tre tazze di caffè bruciato dopo,
stava ancora mangiandosi le mani per la propria stupidità, poi uscì
dall’appartamento preparandosi mentalmente ad affrontare le dieci
ore successive alle prese con riunioni, commissioni, ora di lettura a
voce alta per i bambini, attività extrascolastiche e l’evento di un
fornitore di libri. Tutti i pensieri della giornata frenetica che
l’aspettava sfumarono lentamente dalla sua mente quando intravide
un muro di mattoni alto un metro e mezzo che circondava il posto
auto dove aveva parcheggiato la sua macchina la sera prima.
Fu a quel punto che capì che doveva trasferirsi o trovare un buon
avvocato difensore. Purtroppo, allo stato attuale delle sue finanze,
un buon avvocato difensore era fuori discussione, perciò era giunta
alla conclusione che avrebbe dovuto traslocare. Non poteva
permettersi di rescindere il contratto in anticipo e non aveva
abbastanza soldi per coprire il primo e l’ultimo mese d’affitto per un
nuovo appartamento.
Poiché al momento non aveva molte opzioni a sua disposizione,
decise di ricorrere alla sua eloquenza per tentare di disfarsi del
contratto. In realtà aveva sperato di parlarne con Zoe, perché era
una donna tranquilla e alla mano e probabilmente le avrebbe
permesso di liberarsi del contratto senza troppe storie. Se Trevor
non avesse origliato la loro telefonata un’ora prima, era quasi sicura
che adesso sarebbe già stata alla ricerca di un altro appartamento.
Sfortunatamente per lei, l’aveva sentita.
Si passò le mani sulla faccia e mormorò: «Ucciderò quel fottuto
bastardo».
«Se lo fai, sono disposta a restare», precisò lei in modo conciliante.
Lui ridacchiò appoggiandosi allo schienale e lei fece del suo meglio
per trattenere una smorfia quando la sedia tornò a scricchiolare per
protesta. «Mi piaci, Jodi. Non sei mai in ritardo con l’affitto. Tieni
l’appartamento pulito e non crei guai, ma non posso lasciarti
rescindere il contratto».
«Perché?», chiese lei, abbassando le spalle sconfitta.
«Semplicemente perché se te ne vai, mia moglie farà venire qui un
altro di quegli stronzi dei miei cugini», disse lui con un profondo
sospiro.
«Be’, non saranno certo peggiori di Danny. Quindi…».
«Credimi, lo sono», disse lui, interrompendola mentre si alzava, e
facendo scricchiolare la sedia in modo sinistro per il movimento.
«Che ne dici se ti abbasso l’affitto di un centone al mese?»
«Per restare?», chiese lei, tentata a dire di sì e ad arrendersi.
Non aveva molti soldi in banca e anche se in realtà percepiva un
buono stipendio, una volta pagate le bollette, a fine mese non le
restava granché. Il suo ex promesso sposo le aveva lasciato un
debito di quindicimila dollari come regalo di addio, un simpatico dono
che avrebbe voluto restituire con tutta se stessa, ma che non
sembrava poter rispedire al mittente. Era stata stupida quando
aveva acconsentito ad aprire un conto a nome proprio per la carta di
credito di lui, e ancora più pazza a dargli accesso al proprio conto
bancario, che, a detta del dipartimento di polizia, lui aveva
legalmente prosciugato, qualche ora prima di divulgare
pubblicamente la notizia che non poteva costringersi a sposarla.
«Duecento?», offrì lui, sembrando un pochino disperato.
«Non sarebbe più economico semplicemente sciogliermi dal
contratto?», chiese lei, tenendo a freno l’impulso di accettare e di
semplificarsi la vita regalandosi una boccata d’aria finanziaria per un
po’ di tempo, anche se ciò significava sopportare Danny Bradford
per altri dieci mesi.
«Trecento bigliettoni», disse lui di sua spontanea volontà, notò lei.
«Trecento dollari?», ripeté lei, sicura di aver capito male.
«Affare fatto», disse Trevor, assentendo deciso, mentre si alzava e
raggiungeva la porta, lasciandola seduta lì ad arrovellarsi su cosa
fosse appena successo.
«Aspetta, quale affare?», chiese lei, affannandosi per scendere
dalla sedia e precipitarsi verso la porta in modo da bloccarla prima
che lui potesse darsi alla fuga, ma, purtroppo, le sue gambe corte
non ce la fecero.
Trevor aveva aperto la porta ed era già arrivato a metà corridoio
prima che lei riuscisse a raggiungerlo, be’, più che altro ad
avvicinarsi a una distanza di tre metri da lui. «Aspetta!», disse lei,
sperando che si fermasse abbastanza a lungo da permetterle di
capire che cosa era accaduto.
Con un sorriso remissivo, si fermò, ma il sollievo di Jodi ebbe breve
durata, perché lui passandole accanto proseguì oltre. Prima che
potesse chiedergli cosa stesse facendo, lui stava già martellando
con i pugni sulla porta di Danny. Qualche secondo più tardi, e
sfortunatamente prima che lei riuscisse a tornare al suo
appartamento, Danny aprì la porta con indosso solo un paio di jeans,
fresco di doccia e con ancora i capelli bagnati, un asciugamano sulle
spalle e grandi muscoli luccicanti per effetto della luce del corridoio.
Avendo un pessimo sentore riguardo a quello che sarebbe presto
successo, Jodi fece un passo indietro, sperando di raggiungere
l’appartamento prima che…
«Ahia!», disse Danny, sfregandosi la testa. «Ma si può sapere cosa
ho fatto?», domandò. Il suo sguardo scivolò via dal cugino per
posarsi su di lei, proprio nel momento in cui aveva raggiunto la porta
e stava per sgattaiolare nell’appartamento, dove aveva programmato
di restare sino a che non fosse stata ora di andare a lavoro, sedici
ore dopo.
«Smettila di fare lo stronzo», disse Trevor con un grugnito
soddisfatto prima di girarsi e avviarsi verso l’uscita, facendo solo una
piccola pausa per chiedergli senza quasi voltarsi: «Vieni comunque
a cena?».
Gli occhi di Danny erano fissi su di lei mentre rispondeva: «Certo, a
che ora?»
«Alle sei», disse Trevor, continuando verso la porta e lasciandola
alle prese con quel cazzone di suo cugino. «Porta il dolce!».
Danny non reagì, come era da aspettarsi, così Trevor aprì la porta e
sparì, mettendo Jodi in una situazione imbarazzante.
«Hai fatto di nuovo la spia su di me?», chiese Danny con quella
voce profonda che le faceva formicolare le dita dei piedi.
E che le ricordava quanto lo odiasse.
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