Paper Princess – Erin Watt

SINTESI DEL LIBRO:
«ELLA, il preside ti aspetta nel suo ufficio», mi informa la signorina
Weir, prima che io possa mettere piede nell’aula per la sua lezione di
matematica.
Controllo l’ora. «Ma non sono in ritardo.»
Manca un minuto alle nove e questo orologio non sbaglia mai.
Probabilmente è l’oggetto più costoso che possiedo. Mamma mi ha
detto che era di mio padre. Oltre al suo seme, è l’unica traccia che
ha lasciato di sé.
«No, non si tratta di un ritardo… Questa volta.» Nel suo sguardo
solitamente granitico si intravede una certa dolcezza e il mio istinto
manda un segnale d’allarme al mio cervello, ancora addormentato a
quest’ora del mattino. La signorina Weir è una tipa tosta ed è questo
che mi piace di lei. Tratta noi studenti come se fossimo qui a
imparare davvero la matematica e non una qualche lezione di vita
sull’amore verso il prossimo e stronzate del genere. Perciò, se lei mi
sta guardando in modo compassionevole, significa che nell’ufficio
del preside mi aspetta qualcosa di veramente brutto.
«Va bene.» Non è che io possa replicare in maniera diversa. Le
faccio un cenno con il capo e mi dirigo verso la segreteria.
«Ti manderò i compiti via email», mi grida la signorina Weir.
Suppongo pensi che non rientrerò in classe, ma niente di quel che il
preside Thompson ha in serbo per me può essere peggio di ciò che
ho affrontato in passato.
Ho già perso tutto quello che avevo di importante prima di
iscrivermi alla George Washington High School per il mio penultimo
anno. Anche se avessero scoperto in qualche modo che
tecnicamente non sono residente nel distretto di questa scuola,
posso sempre mentire per guadagnare tempo. E, se dovessi
trasferirmi, che in effetti è la cosa peggiore che mi possa capitare
oggi, pazienza: lo farò.
«Come va, Darlene?»
La segretaria dall’aspetto materno solleva a stento gli occhi da
People. «Siediti, Ella. Il signor Thompson sarà da te fra un attimo.»
Ebbene sì, ci diamo del tu, Darlene e io. Un solo mese alla
George Washington e ho già passato fin troppo tempo in questo
ufficio, grazie ai miei continui ritardi. Ma questo è ciò che succede
quando lavori di notte e non vedi il letto fino alle tre del mattino ogni
giorno.
Tento di sbirciare attraverso le tendine aperte dell’ufficio del
preside. C’è qualcuno seduto sulla sedia dell’ospite, ma tutto quel
che riesco a vedere sono una mascella squadrata e dei capelli
castano scuro. Il mio esatto contrario. Sono biondissima e ho gli
occhi più azzurri che mai. Gentile concessione del donatore di seme,
secondo mamma.
L’ospite del signor Thompson mi ricorda gli uomini d’affari che
venivano da fuori città e pagavano mamma un sacco di soldi per
fingere di essere la loro fidanzata per la serata. A certi tizi quello
piaceva persino più del sesso vero e proprio. Secondo mamma,
almeno. Non ho sperimentato di persona… per ora. E spero di non
doverlo fare mai, motivo per cui mi serve il diploma, così potrò
andare al college, laurearmi ed essere normale.
Alcuni ragazzi sognano di viaggiare per il mondo, possedere
macchine sportive, ville enormi. Io? Voglio un appartamento tutto
mio, un frigorifero bello pieno e un lavoro sicuro, che preferibilmente
sia tutto tranne che eccitante.
I due uomini parlano, parlano e parlano. Passa un quarto d’ora e
ancora stanno sparando cazzate tra loro.
«Ehi, Darlene. Sto perdendo l’ora di matematica. Va bene se
torno quando il signor Thompson non è occupato?»
Mi sforzo di dirlo nel modo più gentile possibile, ma dopo anni
passati senza la presenza di un adulto nella mia vita – la mia
adorabile, volubile mamma non conta – mi riesce difficile adottare
l’atteggiamento sottomesso che i grandi prediligono in chi non ha
l’età legale per bere.
«No, Ella. Il signor Thompson sarà subito da te.»
Questa volta ha ragione, perché la porta si apre e il preside esce.
Il signor Thompson è alto circa un metro e ottanta e sembra uno che
si è diplomato l’anno scorso. Eppure emana una certa aria di
competente responsabilità.
Mi fa segno di avvicinarmi. «Signorina Harper, per favore venga
dentro.»
Dentro? Mentre c’è Don Giovanni?
«C’è già qualcuno nel suo ufficio», dico, sottolineando l’ovvio. La
situazione mi sembra sospetta e l’istinto mi sta dicendo di
andarmene. Ma se scappo mi tocca rinunciare a questa vita che ho
passato mesi a pianificare attentamente.
Il preside si volta e guarda Don Giovanni, che si alza dalla sedia e
mi fa un cenno di saluto con la sua mano enorme. «Sì, be’, lui è il
motivo per cui lei è qui. Entri, per favore.»
Contro ogni buon senso, supero il signor Thompson e mi fermo
appena oltre la soglia.
Thompson chiude la porta e fa lo stesso con le tendine dell’ufficio,
e questo mi rende davvero nervosa.
«Signorina Harper, si accomodi», aggiunge indicandomi la sedia
che Don Giovanni ha appena liberato.
A braccia conserte, guardo i due uomini con aria di sfida. I mari
sommergeranno la terra prima che io mi sieda.
Il signor Thompson sospira e torna al suo posto, riconoscendo
una causa persa quando ne vede una. Ciò, se possibile, mi rende
ancora più nervosa, perché se mi sta lasciando vincere questa
battaglia, vuol dire che mi devo preparare alla guerra.
Il preside raccoglie un plico di fogli dalla scrivania. «Ella Harper, ti
presento Callum Royal.» Fa una pausa come se la cosa dovesse
avere per me un qualche significato.
Intanto, Royal mi sta fissando come se non avesse mai visto una
ragazza prima. Mi accorgo che le braccia conserte mi sottolineano il
seno, perciò le lascio penzolare goffamente lungo i fianchi.
«Piacere di conoscerla, signor Royal.» È chiaro a chiunque in
questa stanza che sto pensando l’esatto opposto.
Il suono della mia voce lo fa uscire dallo stato di ipnosi in cui si
trova. Si avvicina a me e, prima che io possa anche solo muovermi,
avvolge la mia mano destra tra le sue due.
«Mio Dio, sei identica a lui.» Le sue parole sono un sussurro che
solo lui e io possiamo udire. Poi, come ricordandosi all’improvviso
dove si trova, mi stringe la mano. «Chiamami pure Callum.»
Pronuncia le parole in modo strano, come se gli uscissero a
fatica. Tento di liberare la mano, ma la cosa mi richiede un certo
sforzo, perché il viscido non vuole mollare la presa. Solo quando il
signor Thompson si schiarisce rumorosamente la voce, Royal mi
lascia andare.
«Cosa significa tutto questo?» pretendo di sapere. Sono una
diciassettenne in una stanza piena di adulti, e il mio tono è del tutto
fuori luogo, ma nessuno batte ciglio.
Il signor Thompson, agitato, si passa una mano tra i capelli. «Non
so davvero come dirlo, perciò andrò dritto al punto. Il signor Royal mi
ha informato che i suoi genitori sono morti e sarà lui ora il suo
tutore.»
Vacillo. Per una frazione di secondo. Giusto il tempo necessario a
tramutare lo choc in indignazione.
«Cazzate!» La parolaccia mi scappa prima che possa impedirlo.
«Mia madre mi ha iscritto a scuola. C’è la sua firma sui moduli di
iscrizione.»
Il cuore mi batte a mille all’ora, perché quella firma in realtà l’ho
fatta io. L’ho falsificata per mantenere il controllo sulla mia vita.
Anche se sono minorenne, l’adulta in famiglia sono io da quando
avevo quindici anni.
Il signor Thompson non mi rimprovera per il linguaggio scurrile,
bisogna dargliene atto. «La documentazione indica che la
rivendicazione del signor Royal è legittima.» Scuote i fogli che ha tra
le mani.
«Sì? Be’, sta mentendo. Non ho mai visto questo tizio prima d’ora,
e se permette che io vada via con lui, la prossima cosa che sentirà
sarà che una studentessa della George Washington è scomparsa ed
è finita nel giro della prostituzione.»
«Ha ragione, non ci siamo mai incontrati», si intromette Royal.
«Ma ciò non cambia la realtà dei fatti.»
«Vediamo un po’.» Mi fiondo alla scrivania di Thompson e gli
strappo i documenti dalle mani. Il mio sguardo scorre sulle pagine,
senza leggere davvero quanto vi è scritto. Alcune parole mi balzano
all’occhio – «tutore» e «deceduto» ed «eredità» – ma non significano
nulla. Callum Royal rimane uno sconosciuto. Punto.
«Forse sua madre potrebbe venire qui, così potremmo chiarire la
situazione», suggerisce il signor Thompson.
«Sì, Ella, fai venire qui tua madre e farò un passo indietro.» Il tono
del signor Royal è gentile, ma fortemente risoluto.
Sa qualcosa.
Mi rivolgo di nuovo al preside. È lui l’anello debole, qui. «Potrei
falsificare questi documenti nel laboratorio di informatica della
scuola. Non mi servirebbe nemmeno Photoshop.» Getto il plico di
fogli di fronte a lui. Gli leggo il dubbio negli occhi, perciò sfrutto il
vantaggio. «Devo tornare in classe. Il semestre è appena iniziato e
non voglio rimanere indietro.»
Thompson si inumidisce le labbra, incerto, e lo fisso con tutta la
convinzione di cui sono capace. Non ho un padre. E di certo non ho
un tutore. Anche se fosse, dov’era quello stronzo per tutta la mia vita
mentre mamma faticava ad arrivare a fine mese, quando soffriva le
pene dell’inferno per il cancro, quando si disperava sul letto della
casa di cura perché mi stava lasciando sola? Dov’era allora?
Thompson sospira. «Va bene, Ella, perché non torna in classe? È
chiaro che il signor Royal e io abbiamo ancora di che discutere.»
Royal protesta. «Questi documenti sono tutti in regola. Lei mi
conosce e conosce la mia famiglia. Non sarei qui a presentarglieli se
non dicessero il vero. Che motivo avrei per farlo?»
«Ci sono un sacco di pervertiti a questo mondo», dico, maliziosa.
«Hanno sempre parecchi motivi per inventarsi delle storie.»
Thompson agita la mano. «Basta così», dice rivolto a me. Poi
continua: «Signor Royal, questa è una sorpresa per tutti noi. Una
volta contattata la madre della signorina, chiariremo la vicenda.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo