Paper Kingdom – Erin Watt

SINTESI DEL LIBRO:
URLANO tutti.
Se non fossi sotto choc, oltre che più ubriaco che mai, magari
sarei in grado di distinguere le singole grida, attribuirle a determinate
voci, dare un senso alle parole caustiche e alle accuse furiose
scagliate a destra e a manca.
Al momento, però, avverto solo un’onda sonora incessante. Una
sinfonia d’odio, preoccupazione e paura.
«…è colpa di tuo figlio!»
«No che non lo è!»
«…sporgo denuncia…»
«Easton.»
Mi tengo la testa tra le mani e mi sfrego gli occhi contro i palmi
ruvidi.
«…anche qui?… avrei dovuto farti arrestare, figlio di puttana…
molestie…»
«…avrei proprio voluto vederti provare… non ho paura di te,
Callum Royal. Sono il procuratore distrettuale…»
«L’assistente del procuratore distrettuale.»
«Easton.»
Mi bruciano gli occhi, sono secchi. Sono certo che siano anche
iniettati di sangue. Mi capita sempre quando mi sbronzo.
«Easton.»
Qualcosa mi colpisce la spalla e una voce sovrasta le altre.
Sollevo di scatto la testa e scopro che Ella, la mia sorella adottiva,
mi sta osservando, gli occhi blu tremendamente preoccupati.
«Sei immobile da tre ore. Parlami», mi implora dolcemente.
«Dimmi che stai bene.»
Bene? Come posso stare bene? Guarda in che situazione ci
troviamo! Siamo in una sala d’attesa privata al Bayview General: i
Royal non aspettano certo nella normale sala d’attesa del pronto
soccorso con il resto dei comuni mortali. Abbiamo un trattamento di
favore ovunque, anche negli ospedali. Quando l’anno scorso mio
fratello Reed è stato accoltellato, l’hanno portato di corsa in sala
operatoria manco fosse stato il presidente in persona, molto
probabilmente portando via il posto a qualcuno che ne aveva più
bisogno. Il nome di Callum Royal apre molte porte in questo Stato…
anzi, in tutti gli Stati Uniti. Tutti conoscono mio padre. E tutti lo
temono.
«… sporgo denuncia contro tuo figlio…»
«È colpa della tua dannata figlia se…»
«Easton», mi chiama di nuovo Ella.
La ignoro, al momento per me non esiste. Non esiste nessuno: né
lei, né papà, né John Wright, né tantomeno mio fratello Sawyer, a cui
è stato permesso di unirsi a noi dopo che ha ricevuto un paio di punti
di sutura alla tempia. Rimane coinvolto in un incidente d’auto
tremendo e se la cava soltanto con un graffio.
Il suo gemello invece…
Cosa?
Che cazzo ne so. Non abbiamo ancora avuto sue notizie. Il suo
corpo sanguinante, spezzato, è stato portato via su una barella, e
noi, la sua famiglia, siamo stati confinati in questa stanza in attesa di
sapere se è vivo o morto.
«Se mio figlio non sopravvive, tua figlia la pagherà cara.»
«Sicuro che sia davvero tuo figlio?»
«Brutto pezzo di merda!»
«Come? Lo sarò anche, ma a me sembra che tu debba sottoporre
tutti i tuoi ragazzi a un bel test del DNA. Anzi, perché non lo
facciamo ora? Siamo in un ospedale, dopotutto. Non sarà difficile
prelevare un campione di sangue e stabilire chi dei tuoi figli è un
Royal e chi un O’Halloran…»
«Papà! Stai zitto!»
La voce angosciata di Hartley mi trapassa come un coltello. Gli
altri per me possono non esistere in questo momento, ma lei sì. È da
tre ore che se ne sta seduta in un angolo della stanza. Come me,
non ha detto una parola. Finora. Adesso è in piedi, i suoi occhi grigi
lampeggiano di collera, la sua voce è acuta e accusatoria mentre
avanza verso suo padre.
Non so nemmeno perché John Wright sia qui. Neanche la
sopporta sua figlia. L’ha spedita in collegio e, quando è tornata a
Bayview, non le ha permesso di tornare a vivere a casa sua. Stasera
le ha urlato contro, le ha detto che non era parte della famiglia e ha
minacciato di allontanare da casa anche la sorellina.
Ma dopo che le ambulanze hanno portato via Hartley, i gemelli e
Lauren, la loro ragazza, il signor Wright è stato il primo a recarsi in
ospedale. Forse vuole accertarsi che lei non riveli a nessuno che
razza di stronzo sia in realtà suo padre.
«Non so proprio perché sei qui!» urla Hartley, dando voce ai miei
pensieri. «Non mi sono fatta niente! Sto benissimo! Non serve che tu
stia qui e soprattutto non ti voglio io!»
Wright grida qualcosa di rimando, ma non gli presto attenzione
perché sono troppo occupato a osservare Hartley. È da quando la
sua auto si è scontrata con la Range Rover dei gemelli fuori dalla
villa di suo padre che non fa che ripetere che sta bene. Non lo dice a
me, chiaramente… no, non sono stato degnato nemmeno di uno
sguardo. Ma non la biasimo.
È stata tutta colpa mia. Stasera le ho distrutto la vita. Sono state
le mie azioni a spingerla a salire su quell’auto, nel momento esatto in
cui i miei fratelli hanno imboccato la curva a tutta velocità. Se non
fosse stata sconvolta, forse li avrebbe visti prima. Forse Sebastian
non sarebbe… morto? O forse è vivo?
Dannazione, perché non ci dicono nulla?
Hartley insiste nell’affermare che non è ferita e i medici devono
aver convenuto con lei perché dopo averla visitata le hanno
permesso di raggiungerci in sala d’aspetto; a me, però, non sembra
stia così bene. Barcolla leggermente, ha il respiro affannoso ed è più
bianca del muro dietro di lei, il che crea un contrasto impressionante
tra la sua pelle e i capelli corvini. Perlomeno non è sporca di sangue.
Neanche un po’. Mi sento mancare dal sollievo, perché Sebastian
invece ne era completamente ricoperto.
Un reflusso acido mi sale in gola ogni volta che la scena
dell’incidente mi lampeggia in testa. Frammenti del parabrezza
infranto disseminati sul pavimento. Il corpo di Sebastian. La pozza
rossa. Le urla di Lauren… i Donovan sono già venuti a prenderla e
l’hanno riportata a casa, grazie al cielo. Non ha smesso di urlare
dall’istante in cui è arrivata in ospedale a quello in cui se n’è andata.
«Hartley», interviene Ella in tono pacato e so che si è accorta del
suo pallore cinereo. «Vieni a sederti. Non mi pare che tu stia molto
bene. Sawyer, vai a prendere un po’ d’acqua per Hartley.»
Mio fratello minore scompare senza fiatare. Si è trasformato in
uno zombie nel momento in cui il suo gemello è stato portato via.
«Sto bene!» ribatte Hartley, scrollandosi dal braccio la mano
minuscola di Ella. Si volta verso suo padre, ancora incerta sulle
gambe. «Se Sebastian Royal si è fatto male è tutta colpa tua!»
Wright rimane a bocca aperta. «Come osi insinuare…»
«Insinuare?» lo interrompe lei, furibonda. «Non sto insinuando
proprio nulla! È un dato di fatto! Easton non sarebbe venuto a casa
nostra stasera se tu non avessi minacciato di mandare in collegio
mia sorella! Non avrei dovuto inseguirlo se non fosse venuto da te!»
In sostanza è colpa mia, vorrei obiettare, ma sono troppo debole
e troppo codardo per farlo. Però è vero. Tutto questo è capitato a
causa mia. Ho provocato io l’incidente, non il padre di Hartley.
Lei vacilla di nuovo e stavolta Ella non esita: le afferra
l’avambraccio e la accompagna verso una sedia.
«Siediti», ordina.
Nel frattempo, mio padre e John Wright hanno ripreso a guardarsi
in cagnesco. Non ho mai visto papà tanto arrabbiato.
«Stavolta i tuoi soldi non ti tireranno fuori dai guai, Royal.»
«C’era tua figlia al volante, Wright. Dovrà ritenersi fortunata se
non festeggia il suo prossimo compleanno in riformatorio.»
«Se c’è qualcuno che andrà in prigione, quello è tuo figlio. Cazzo,
tutti i tuoi figli meriterebbero di essere rinchiusi in cella.»
«Non azzardarti a minacciarmi, Wright. Posso far venire qui il
sindaco in cinque minuti.»
«Il sindaco? Credi che quella femminuccia piagnucolona abbia le
palle di licenziarmi? Nella storia di Bayview, ho vinto più casi io di
qualunque altro procuratore distrettuale di questa stramaledetta
contea. I cittadini metteranno in croce lui e te…»
Dopo tre ore, recupero l’uso della parola.
«Hartley», dico con voce roca.
Il signor Wright si interrompe a metà della frase. Si volta di scatto
verso di me, ha uno sguardo assassino. «Non parlare con mia figlia!
Mi hai capito, piccolo bastardo? Non osare rivolgerti a lei!»
Lo ignoro. Ho gli occhi incollati al viso pallido di Hartley.
«Mi dispiace», le sussurro. «È stata tutta colpa mia. L’ho
provocato io l’incidente.»
Lei spalanca gli occhi.
«Non parlarle!» Inaspettatamente, l’ordine proviene da mio padre,
non dal suo.
«Callum», lo chiama Ella, tanto sconvolta quanto me.
«No», tuona lui, gli occhi blu dei Royal puntati su di me. «Non dire
neanche una parola, Easton. Si rischia un’accusa penale qui. E lui»,
papà guarda John Wright come se fosse l’incarnazione vivente del
virus Ebola, «è l’assistente del procuratore distrettuale. Non parlare
dell’incidente a meno che non siano presenti i nostri avvocati.»
«Tipico dei Royal», sogghigna Wright. «Si coprono sempre a
vicenda.»
«Tua figlia ha colpito la macchina dei miei figli», sibila Callum. «È
lei l’unica responsabile.»
Hartley emette un gemito. Ella sospira e le accarezza una spalla.
«Non sei tu la responsabile», le dico, ignorando tutti gli altri. È
come se fossimo le uniche due persone nella stanza. Io e questa
ragazza. La prima con la quale mi è venuta voglia di passare del
tempo pur tenendomi i vestiti addosso. Una ragazza che considero
un’amica. Una ragazza che volevo fosse più di un’amica.
Hartley sta subendo l’ira di mio padre per causa mia, è devastata
dal senso di colpa per una cosa che non sarebbe successa se non
fosse stato per me. Mio fratello Reed un tempo si autodefiniva «il
Distruttore» perché credeva di rovinare la vita a tutti coloro che
amava.
Reed si sbagliava. Sono io quello che distrugge sempre tutto.
«Non preoccuparti, ce ne andiamo», ringhia Wright.
Mi irrigidisco quando si avvicina a grandi passi alla sedia di
Hartley.
Ella le circonda le spalle con un braccio in un gesto protettivo, ma
mio padre scuote la testa, brusco.
«Che se ne vadano», abbaia. «Il bastardo ha ragione: non è
giusto che stiano qui con noi.»
Mi sento soffocare dal panico. Non voglio che Hartley vada via. E
soprattutto non voglio che vada via con suo padre. Chissà che cosa
potrebbe farle.
Hartley ovviamente la pensa come me perché si ritrae all’istante
quando Wright cerca di afferrarla. Si scrolla di dosso il braccio di
Ella. «Con te non ci vengo!»
«Non hai altra scelta», sbotta lui. «Ho ancora la patria podestà su
di te, che ti piaccia o meno.»
«No!» La voce di Hartley risuona come un rombo di tuono. «Non
me ne vado!» Si volta di scatto verso Callum. «Senta, mio padre è
un…»
Ma non riesce a finire la frase perché un attimo dopo cade in
avanti, sbattendo forte sul pavimento. Finché avrò vita non
dimenticherò più il rumore sinistro della sua testa che entra in
collisione con le piastrelle.
Sembra che un centinaio di mani si allunghino per scuoterla, ma
sono io il primo ad arrivare al suo fianco. «Hartley!» grido, tirandola
per la spalla. «Hartley!»
«Non spostarla», mi ordina papà e cerca di spingermi via.
Mi libero dalla sua stretta ma lascio comunque andare Hartley. Mi
sdraio sul pavimento, in modo che il mio viso sia all’altezza del suo.
«Hartley. Hart. Sono io. Apri gli occhi. Sono io.»
Le sue palpebre rimangono immobili.
«Allontanati da lei, brutto teppista!» urla suo padre.
«Easton.» È Ella a chiamarmi, la sua voce è piena d’orrore
mentre indica il lato della testa di Hartley, dove scende un rivolo di
sangue. Mi viene da vomitare, e non solo perché ho ancora
un’eccessiva quantità di alcol in corpo.
«Oddio», sussurra la mia sorella adottiva. «La sua testa. L’ha
battuta fortissimo.»
Tengo a bada il terrore. «È tutto a posto. Andrà tutto bene». Mi
volto verso papà. «Chiama un dottore! È ferita!»
Qualcuno mi afferra la spalla. «Ti ho detto di allontanarti da mia
figlia!»
«È lei che deve starle alla larga!» intimo al padre di Hartley.
All’improvviso alle mie spalle si sente un certo trambusto. Passi.
Altre grida. Stavolta lascio che mi spostino di peso. Si ripete quanto
avvenuto poco prima con Sebastian: Hartley viene caricata su una
barella, i dottori e le infermiere si urlano ordini a vicenda mentre la
portano via.
Fisso la soglia rimasta deserta, confuso. Stordito.
Che cosa è appena accaduto?
«Oddio», ripete Ella.
Le mie gambe non sostengono più il peso del mio corpo. Mi lascio
cadere sulla sedia più vicina e respiro a fatica. Che cosa. È appena.
Accaduto?
Hartley era ferita sin dall’inizio e non ha detto nulla? O forse non
se n’è resa conto? I paramedici ci avevano assicurato che stava
bene, maledizione.
«Hanno detto che non si era fatta niente», gracchio. «Non l’hanno
neanche ricoverata…»
«Vedrai che se la caverà», mi rassicura Ella, ma il suo tono non è
granché convinto. Abbiamo visto entrambi il sangue, il livido violaceo
che le si stava formando all’altezza della tempia e la sua bocca
semiaperta.
Oh cazzo. Sto per vomitare.
Bisogna renderle merito, Ella non si sposta con un balzo quando
mi piego in due e le rimetto sulle scarpe. Si limita ad accarezzarmi i
capelli e a togliermeli dalla fronte. «Va tutto bene, East», mormora.
«Callum, vai a prendergli dell’acqua. Ho spedito Sawyer prima ma
chissà dove si è cacciato. E lei…» Suppongo si sia rivolta al signor
Wright. «È ora che se ne vada. Aspetti da qualche altra parte di
ricevere notizie di sua figlia.»
«Volentieri», replica il padre di Hartley, disgustato.
Saprei indicare il momento esatto in cui se ne va, perché
l’atmosfera nella stanza di fa un po’ meno tesa.
«Se la caverà», ripete Ella. «E anche Sebastian si riprenderà.
Tutti torneranno a stare bene, East.»
Anziché sentirmi confortato, vomito di nuovo.
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