Paper Heir – Erin Watt

SINTESI DEL LIBRO:
RICORDATE che, a prescindere da quale funzione scegliete, la
somma delle differenze è data dalla prima e dall’ultima», conclude la
signorina Mann, proprio nell’istante in cui la campanella segna la fine
della giornata scolastica.
Tutti i miei compagni iniziano a mettere via i libri. Tutti tranne me.
Mi sistemo comodo sulla sedia e picchietto la matita contro il
margine del libro di testo, nascondendo un sorriso mentre osservo la
nuova professoressa cercare disperatamente di trattenere
l’attenzione in caduta libera dei suoi studenti. È carina quando si
agita.
«Fate la parte 1-A e 1-B per domani!» grida, ma ormai nessuno la
ascolta più; tutti si stanno precipitando fuori dalla porta.
«Vieni, Easton?» Ella Harper si ferma al mio banco e mi scruta
dall’alto verso il basso con i suoi occhi blu. Negli ultimi tempi è
davvero dimagrita, e credo che l’appetito l’abbia abbandonata più o
meno nel momento stesso in cui mio fratello se n’è andato di casa.
Non che Reed l’abbia lasciata, anzi, il mio fratellone è ancora
presissimo da Ella, la nostra specie di sorella adottiva. Se così non
fosse, avrebbe scelto di frequentare un costoso college molto, molto
lontano da Bayview e non la State, che è abbastanza vicino perché
possano vedersi durante il fine settimana.
«Naa», le rispondo. «Devo chiedere una cosa alla prof.»
Le spalle esili della signorina Mann sussultano nell’udire le mie
parole.
Persino Ella se ne accorge.
«East…» Si interrompe, storcendo le belle labbra.
Mi rendo conto che sta per farmi una ramanzina sul fatto che
devo mettermi in riga, ma a una sola settimana dall’inizio della
scuola mi sto già annoiando a morte. Che altro ho da fare se non
combinare guai? Non ho bisogno di studiare, e del football mi
importa poco o niente. Tra l’altro, papà mi ha messo in punizione e
mi ha proibito di volare; di questo passo, non prenderò mai il
brevetto da pilota. Se Ella non mi lascia in pace, finirò per
dimenticare che è la ragazza di mio fratello e la sedurrò per il gusto
di farlo, che cavolo.
«Ci vediamo a casa», la saluto, con voce ferma. È dal primo
giorno di scuola che la signorina Mann flirta con me senza sosta e,
dopo una settimana di sguardi roventi, ho deciso di cogliere la palla
al balzo. È sbagliato, certo, ma è questo che rende la cosa eccitante.
Per entrambi.
Non capita spesso che la Astor Park Prep assuma professoresse
giovani e sexy; l’amministrazione sa che a scuola ci sono troppo
ragazzini ricchi e annoiati in cerca di una sfida. Il preside Beringer ha
dovuto coprire parecchie relazioni tra studenti e insegnanti, e non lo
dico per sentito dire, visto che una di quelle relazioni «sconvenienti»
era la mia. Certo, se si considera una relazione limonare con la
professoressa di scienze dietro la palestra, cosa che, secondo me,
non è.
«Non mi dispiace se rimani», scandisco piano a Ella, che,
testarda, è ancora radicata al pavimento, «ma magari ti senti più a
tuo agio se aspetti in corridoio.»
Mi fulmina con lo sguardo. Ha capito subito: è cresciuta nei
bassifondi e sa il fatto suo, o forse semplicemente sa quanto sono
perverso.
«Non so cosa tu stia cercando, ma dubito che lo troverai sotto la
gonna della signorina Mann», borbotta.
«Se non do un’occhiata, non lo saprò mai», replico scherzando.
Ella si arrende con un sospiro. «Sta’ attento», mi ammonisce, a
voce abbastanza alta da farsi sentire dalla signorina Mann, che
arrossisce guardandola uscire dall’aula.
Soffoco un’ondata di irritazione. Perché mi giudica? Sto solo
provando a vivere al massimo la mia vita, perciò, finché non faccio
del male a nessuno, che problema c’è? Ho diciotto anni e la
signorina Mann è un’adulta. Pazienza se al momento di lavoro fa la
professoressa.
Quando la porta si chiude alle spalle di Ella, cala il silenzio; la
signorina Mann gioca con la sua gonna azzurra. Sta avendo dei
ripensamenti.
Sono un po’ deluso, ma non fa niente; non sono uno che deve per
forza andare con ogni singola ragazza che incontra, anche perché
ce ne sono davvero tante in giro. Se una tipa non è interessata, si
passa alla successiva.
Quando mi chino per prendere lo zaino, un paio di scarpe eleganti
con il tacco entra nel mio campo visivo.
«Doveva chiedermi qualcosa, signor Royal?» mi dice a bassa
voce la signorina Mann. Sollevo piano la testa e squadro le sue
gambe lunghe, la curva del suo fianco e il punto in cui la camicetta,
bianca e compita, si tuffa nella gonna, altrettanto pudica. Sotto il mio
attento esame, le si gonfia il petto, dalla vena sul collo si capisce che
il battito le sta andando fuori controllo.
«Sì. Sto avendo delle difficoltà in classe, magari lei può aiutarmi.»
Le metto una mano sul fianco; lei sussulta e io le faccio scorrere un
dito lungo l’elastico della gonna. «Faccio fatica a concentrarmi».
La Mann fa un respiro profondo. «Ah sì?»
«Mmm-mmm. E ho la sensazione che anche lei faccia fatica a
concentrarsi, ogni volta che la guardo.» Le sorrido con leggerezza.
«Forse perché sta immaginando di farlo qui con me sulla cattedra
mentre tutti i suoi studenti la osservano.»
La signorina Mann deglutisce a fatica. «Signor Royal. Non ho la
minima idea di cosa stia parlando. Per favore, mi tolga la mano dal
fianco.»
«Certo.» Faccio scivolare la mano più in basso, le mie dita le
accarezzano l’orlo della gonna. «Se la sposto qui le va bene?
Altrimenti posso toglierla del tutto.»
I nostri sguardi si incatenano.
Ultima occasione, signorina Mann. Siamo entrambi
assolutamente consapevoli del fatto che le sto sgualcendo la gonna
e che le sto probabilmente rovinando la reputazione, ma i suoi piedi
rimangono incollati al pavimento.
Ha la voce roca quando finalmente apre bocca. «Qui va bene,
signor Royal. Scoprirà che la soluzione al problema risiede nelle sue
mani.»
Le infilo le dita sotto la gonna e le faccio un sorriso arrogante.
«Sto cercando di eliminare le funzioni problematiche.»
Chiude gli occhi e si arrende.
«Non dovremmo farlo», dice con voce strozzata.
«Lo so. Per questo è tanto bello.»
Il mio tocco le fa stringere le cosce. La trasgressività della scena,
unita alla consapevolezza che potremmo essere scoperti da un
momento all’altro, e che la mia professoressa è davvero l’ultima
persona che dovrei toccare, rende la cosa un milione di volte più
eccitante.
Mi posa una mano sulle spalle e, nel tentativo di rimanere in
equilibrio, mi conficca le unghie nella giacca dell’uniforme da
duemila dollari, disegnata da Tom Ford; le mie dita, invece, fanno la
loro magia. L’aula si riempie di gemiti bassi, attutiti, finché non si
sente nient’altro che il suo respiro affannato.
Con un sospiro soddisfatto, la signorina Mann arretra, lisciandosi
la gonna stropicciata prima di mettersi in ginocchio.
«È il tuo turno», sussurra.
Allungo le gambe e mi appoggio allo schienale della sedia. Il
corso di matematica avanzata è davvero il migliore che io abbia mai
seguito alla Astor Park.
Quando ha finito di darmi dei crediti extra, sul viso della
professoressa appare un sorriso esitante; mi sfiora le cosce con i
capelli mentre mi si avvicina per sussurrarmi: «Puoi passare da me
stasera. Per le dieci metto a letto mia figlia».
Mi congelo. Speravo davvero che la faccenda non avrebbe preso
questa piega. In testa mi frulla una dozzina di scuse, ma prima che
possa sfoderarne una, la porta dell’aula si apre.
«Oddio!»
Io e la signorina Mann ci voltiamo di scatto verso la porta, scorgo
una chioma nera come l’inchiostro e un lembo di uniforme dell’Astor
Park.
La Mann balza in piedi e inciampa, quindi mi lancio in avanti per
afferrarla; ha le gambe molli, perciò la aiuto ad appoggiarsi a un
banco.
«Santo cielo», esclama, sconvolta. «E quella chi era? Pensi che
abbia visto…?»
Che l’abbia vista in ginocchio con i vestiti stropicciati, davanti ai
miei pantaloni slacciati? Ehm, sì. Ha visto tutto quanto. «Sì»,
rispondo.
La conferma non fa altro che turbarla di più. Con un verso
angosciato, si prende il viso tra le mani. «Oddio, verrò licenziata.»
Finisco di darmi una sistemata, afferro lo zaino e inizio a buttarci
dentro in fretta la mia roba. «Naa. Andrà tutto bene.»
Ma non lo dico con molta convinzione, e lei se ne rende conto.
«No, invece!»
Lancio un’occhiata preoccupata alla porta. «Shhh. Qualcuno la
sentirà.»
«Qualcuno ci ha visto», mi sibila di rimando; ha il panico negli
occhi e le trema la voce. «Devi andare a cercare quella ragazza.
Trovala, fai la tua magia in stile Easton Royal e accertati che non
dica nulla.»
La mia magia in stile Easton Royal?
Prima che io possa chiederle che cavolo si aspetta che faccia, la
signorina Mann prosegue in fretta: «Non posso farmi licenziare. Nel
modo più assoluto. Ho una figlia da mantenere!» Inizia a tremarle di
nuovo la voce. «Sistema la situazione. Ti prego, sistemala e basta.»
«Okay», le assicuro. «Lo farò.» Il modo mi è oscuro, ma la
professoressa sembra sul punto di avere una crisi di nervi.
Si lascia scappare un altro gemito soffocato. «Questa cosa non
può ripetersi, capito? Mai più.»
Mi sta benissimo. Il suo attacco di panico ha rovinato l’atmosfera
e mi ha fatto passare del tutto la voglia di fare il bis. Mi piace che le
mie tresche finiscano piacevolmente come sono iniziate: non c’è
niente di sexy in una ragazza che ha dei rimpianti, perciò mi accerto
fin dal principio che la tipa in questione ci stia senza riserve. Se ho
anche un solo dubbio a riguardo, lascio perdere.
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