Osservatore oscuro – Barbara Baraldi

SINTESI DEL LIBRO:
Non c’erano finestre in quella stanza, nessuna fuga per lo sguardo che potesse
distrarre Aurora Scalviati dai suoi due interlocutori.
Il più giovane, seduto all’altro lato del tavolo rispetto a lei, indossava un
completo nero che sembrava appena uscito dalla sartoria. Nel taschino aveva
agganciato il distintivo che lo qualificava come operativo della polizia
giudiziaria. Dalla sua posizione, Aurora riusciva perfettamente a leggere
nome e qualifica, Ettore De Robertis, ispettore capo. Di fronte a lui c’era un
fascicolo con la copertina gialla senza nessuna scritta sopra. Da come gli
faceva la guardia, sembrava che contenesse i documenti relativi a un segreto
di Stato.
L’altro uomo aveva un’ampia stempiatura che tentava di camuffare con un
riporto. Sedeva su una poltroncina a ridosso della parete di fondo, che doveva
essere piuttosto scomoda, da come continuava a cercare una posizione. Di
tanto in tanto, lanciava un’occhiata alla porta alle sue spalle con una certa
impazienza.
Forse temeva che le salme contenute nei cassetti refrigerati dell’obitorio
adiacente si rianimassero e invadessero la stanza.
Aurora bevve un sorso d’acqua dalla bottiglietta. «Si soffoca, qua dentro.»
La stanza era angusta e puzzava di chiuso. Le pareti erano spoglie,
intonacate di un colore che qualche decennio prima doveva essere stato
bianco. La luce proveniva da un neon montato sul soffitto che gettava ombre
nette sui volti.
«Ancora qualche minuto di pazienza, vice ispettore Scalviati» ribatté De
Robertis. «Il tempo che arrivi il tecnico con l’attrezzatura video.»
Aurora fece un ampio respiro. «È proprio necessaria la registrazione?
Avevate detto che si trattava di una formalità.»
«In linea di massima sì. Anche se, sostanzialmente, i termini della
chiacchierata dipendono da lei e dalla sua disponibilità a collaborare.» C’era
una vena di compiacimento nel modo in cui De Robertis scandiva le parole.
Era incredibile come riuscisse a parlare senza muovere nessun muscolo
facciale a parte le labbra. Era quasi come osservare il pupazzo di un
ventriloquo.
Aurora si chiese se quell’attesa fosse in realtà solo una tattica per
intimorirla. Conosceva abbastanza le tecniche di interrogatorio per sapere che
mettere a disagio il soggetto poteva essere un modo per indurlo alla
confessione, facendo intendere di sapere già tutto. Quell’approccio non le era
mai piaciuto, se l’era sempre cavata bene quando si trattava di capire se
qualcuno stava mentendo, senza dover ricorrere a strategie da manuale di
criminologia. Per non parlare del fatto che, in questo caso, c’era lei dall’altra
parte del tavolo.
«Sciocchezze. Non ho altro da aggiungere, se non quello che vi ho già
detto. Ne so quanto voi.»
Sul viso di De Robertis comparve l’ombra di un sorriso. «Avremo modo
di tornarci su.»
Lo stomaco di Aurora emise un borbottio. Estrasse dalla tasca dei
pantaloni il cellulare e controllò l’orario. Era quasi mezzanotte e non metteva
niente sotto i denti dalla mattina. Gli ultimi giorni erano stati piuttosto intensi,
principalmente a causa dell’imminente avvicendamento al vertice del
commissariato. Quasi non ci credeva che il commissario Piovani stesse
davvero per andare in pensione. Era convinta che da un momento all’altro
ammettesse che era stato solo uno scherzo di cattivo gusto e riprendesse a
dare ordini come se niente fosse.
«Mi scusi, devo chiederle di spegnerlo.»
Aurora roteò gli occhi verso l’alto. Fu sul punto di protestare quando la
porta si aprì di scatto e fece il suo ingresso nella stanza un ragazzo di
corporatura robusta, con una folta barba ben curata. Indossava una felpa nera
con scritto “Polizia” sulla schiena, e portava a tracolla una borsa che si
affrettò ad appoggiare sul tavolo. Salutò con un cenno del capo i due
poliziotti e si mise al lavoro per montare una stazione di registrazione video
improvvisata.
Posizionò un treppiede di fianco a De Robertis e ci avvitò sopra una
videocamera vecchia di almeno dieci anni. Inserì la cassetta, fece una prova
per controllare che tutto funzionasse a dovere e poi annunciò: «Fatto». Infine
si congedò dai presenti e se ne andò.
«Ottimo» annunciò De Robertis. «Possiamo cominciare.»
«Alla buon’ora» mormorò Aurora.
«Per prima cosa, vice ispettore Scalviati, mi conferma che è d’accordo a
partecipare a questo colloquio volontariamente, senza che nessuno l’abbia
obbligata a farlo?»
«Non mi sembra che mi abbiate lasciato molta scelta.»
«La prego, si limiti a rispondere alla domanda.»
«Sì» sospirò Aurora.
«Molto bene.» De Robertis guardò in direzione della camera per
assicurarsi che la registrazione stesse procedendo. «Ora, le sembrerà banale,
ma vorrei sapere dove si trovava tra la mezzanotte di ieri e le cinque del
mattino.»
«Ero a casa mia, a Sparvara.» Le fece una strana impressione parlare in
questi termini della città in cui era stata trasferita da appena quattro mesi, e
che non l’aveva di certo accolta a braccia aperte. La diffidenza iniziale dei
colleghi era diventata quasi ostilità per via dei metodi con cui aveva
affrontato il caso del serial killer noto come il Lupo Cattivo. La diplomazia
non era mai stata il suo forte, e questo non le aveva spianato la strada per
ambientarsi nella nuova città.
A peggiorare le cose, proprio ora che i dissapori con il commissario
Piovani si erano appianati, era arrivato l’annuncio del suo ritiro.
«C’è qualcuno che può confermarlo?»
«No. Vivo sola.» Da un paio di settimane, Aurora si era trovata una casa
in affitto nella prima periferia della città, un bel progresso rispetto alla stanza
del bed & breakfast in cui aveva passato il primo periodo. La casa avrebbe
avuto bisogno di qualche lavoro di ristrutturazione, l’arredamento era
spartano e aveva un piano solo, a parte un seminterrato in cui non entrava
mai, ma c’erano tutte le comodità di cui aveva bisogno. Poteva raggiungere il
centro in pochi minuti, ed era abbastanza vicina al parco pubblico in cui
amava trascorrere le poche ore libere a leggere, protetta dagli alberi e
circondata dal cinguettio degli uccelli. Aveva preferito quella casa a un
appartamento per via degli orari del suo lavoro. C’era già passata, e quando si
trattava di fare turni in quinta, che almeno una volta alla settimana
prevedevano di passare la notte in servizio, non c’era niente di peggio del
cane del dirimpettaio che abbaiava all’improvviso o della vicina del piano di
sopra con l’abitudine di camminare sui tacchi a tutte le ore.
De Robertis aprì il fascicolo e iniziò a sfogliarlo. Dopo una breve
riflessione, disse: «Vedo che lei è stata recentemente oggetto di trasferimento
dalla sua città natale, Torino, a Sparvara.»
Avrebbe dovuto immaginarlo, Aurora, che quello che De Robertis trattava
con gli stessi riguardi di un prezioso manoscritto altro non era che il fascicolo
su di lei. Il resoconto dei suoi errori, tutto quello che l’aveva portata a essere
lì, in quel momento.
Scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, scoprendo per un istante la
lunga cicatrice sulla tempia. «Credevo che l’argomento sarebbe stato ciò che
abbiamo visto questa notte.»
«Ci arriveremo» fece De Robertis, apparentemente accomodante. «Ora
vorrei concentrarmi sull’indagine disciplinare che l’ha coinvolta
personalmente dopo il conflitto a fuoco del cosiddetto “Blitz di capodanno
all’ex mattatoio”, e della successiva valutazione psichiatrica a cui è stata
sottoposta. Non c’è dubbio, credo, che questo abbia a che fare con il suo
trasferimento.»
Aurora dovette lottare per non perdere il controllo. «Se intende
formalizzare un’accusa, tanto vale che chiami un avvocato.»
«Non credo sia necessario, in questa fase.»
«Non sono più quella persona» disse Aurora, sforzandosi di mantenere la
calma. «Ho imparato dai miei errori, perché rivangare quella vecchia storia?»
«Nelle sue cartelle cliniche è indicato chiaramente che da quel momento
ha cominciato ad accusare dei disturbi mentali. I medici che l’hanno avuta in
cura, pur avendola dichiarata guarita dallo stress post traumatico, sostengono
che il frammento di proiettile che le è rimasto nella testa potrebbe manifestare
effetti imprevedibili sulla sua psiche. È vero, è stata reintegrata in servizio…
Tuttavia, crede che questi disturbi possano in qualche modo interferire con la
sua capacità di giudizio?
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