La legione maledetta. La fortezza dei dannati – Roberto Genovesi

SINTESI DEL LIBRO:

Il diario dei Dannati
Il mio nome è Marco Cornelio Rubro e sono un tribuno laticlavio
dell'esercito romano. Per volere di Marco Ulpio Traiano sono in viaggio
verso la Dacia, alla testa di un manipolo di irregolari per trovare una città.
Da mesi non dà più segni di vita, non paga le tasse, non concede derrate.
Tutti coloro che sono stati inviati prima di me a risolvere il problema non
sono più tornati oppure, cosa ancora più incredibile, non l'hanno trovata.
Sembra scomparsa dalle mappe e dove esse dicono che dovrebbe essere, non
c'è. Non c'è più.
Io non sono il più bravo, non sono il più scaltro. Non sono un eroe. Non
sono stato scelto per i miei meriti ma piuttosto per i miei demeriti. Molti
af ermano che sono un tribuno che cavalca il destriero della malasorte.
Quella nella quale si sono imbattuti molti anni fa tutti i miei uomini
inghiottiti dal ghiaccio del Danubio durante una cruenta battaglia contro i
ribelli Semnoni. Per mia colpa, per mio errore. Tutti sembrano esserne
convinti. Ma io so che non fu così.
Almeno, non del tutto. Per questo, prima di raggiungere la città che non
esiste, sono tornato dove scorse copioso il sangue delle mie legioni. Per
riscatto? Per vendetta? No, solo per giustizia. Sono andato a cercare e a
riprendermi colei che causò davvero quella strage. Una sacerdotessa
guerriera che non parla la lingua degli uomini ma solo quella delle bestie.
Una donna pericolosa, sfuggente, enigmatica che riesce a entrare nei miei
incubi e a vedere le cose che io sogno.
è un mistero che mi af ascina e al contempo mi turba. Per questo me la
trascino dietro come un fardello umano incerto su cosa farne. La parte più
razionale di me mi spingerebbe a farla finita, a fare giustizia e a reclamare
la soddisfazione della mia vendetta. Potrei tornare a Roma brandendo la sua
testa sanguinante.
Mi vedo già deporre le sue spoglie sulla scalinata del Tempio di Giove
mentre il princeps scende i gradini circondato dai suoi più stretti
collaboratori.
Af inché tutti vedano che Marco Cornelio non è il figlio di un senatore
corrotto che si è dato la morte, non è un soldato incapace. Af inché tutti
vedano che Marco Cornelio dalla rossa capigliatura e dalla rossa barba è un
grande uf iciale e merita tutti gli onori. Eppure la parte meno razionale e più
istintiva di me mi dice invece di soprassedere. Non chiedermene il motivo. Il
fato non me lo ha ancora rivelato.
Avrei voluto guidare una spedizione di legionari incalliti, soldati esperti,
frumentari scaltri ma nessuno ha voluto seguirmi. Per via del mio passato
che ormai mi perseguita più della malattia nel sangue che presto mi porterà
alla morte. Mi sono dovuto accontentare di un gruppo di evasi, comprato al
mercato nero dell'Urbe grazie alle dubbie conoscenze del mio schiavo
Marcellus.
Adesso, pur sapendo che nessuno le leggerà mai, incido e getto alle mie
spalle tavolette di cera come quella che forse hai trovato e sulla quale solo
per placare il mio animo inquieto, annoto tutto quello che mi sta capitando.
Io e i miei uomini abbiamo lasciato nei giorni scorsi la Pannonia.
Abbiamo fatto tappa nelle ultime fortezze legionarie dove ci siamo riforniti di
viveri, armi e vestiti e abbiamo cambiato i cavalli. Io mi sono procurato un
nuovo signaculum perché nella concitazione degli ultimi giorni ho perduto
tutti i documenti con il sigillo di Traiano che attestino la mia identità ma,
soprattutto, che garantiscano la libertà promessa a coloro che mi seguono
solo per questo motivo.
Anche se loro questo non lo sanno. D'ora in poi non ci aspetteranno più
comodità.
Stiamo per entrare in Dacia, l'ultima provincia, quella ancora in parte
contesa.
E lo faremo attraverso l'unica strada costruita dai miei commilitoni nella
campagna militare condotta da Traiano non più di un paio di anni fa. Non è
una strada facile. è lunga, impervia, piena di insidie. Ma è l'unica in grado di
farci arrivare dall'altra parte. Dove, in qualche luogo, quella maledetta città
dovrà pur essere.

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