L’uomo che amava troppo – Charlotte Link

SINTESI DEL LIBRO:
Al suo risveglio fuori era ancora buio. Nella camera spirava un
tiepido vento notturno che non riusciva però ad alleviare la pesante
umidità che era rimasta dalla giornata passata. Francoforte pareva
oppressa dall'ondata di caldo. Più di trenta gradi all'ombra, ogni
giorno, da quasi tre settimane. Le strade asfaltate e le case
assorbivano il calore e lo restituivano senza pietà. La gente si era
molto lamentata per l'inverno freddo e la primavera piovosa. Adesso
si lagnava dell'estate torrida. Che non fosse mai contenta?
Oppure era proprio vera che il clima aveva perso ogni equilibrio e
si manifestava solo con fenomeni estremi?
Leona non si era mai voluta unire al coro delle lamentele ma
adesso pensava che faceva veramente troppo caldo per dormire. Era
tuttavia consapevole del fatto che non era stata certo la temperatura
elevata a svegliarla.
Invano cercò di decifrare l'ora sul suo orologio che non si toglieva
nemmeno di notte. Alla fine accese la lampada del comodino. Le tre.
Benché avesse spento immediatamente, quel bagliore di pochi
secondi era stato sufficiente a risvegliare Wolfgang.
"Di nuovo non dormi?" chiese in un tono vagamente irritato che
era una novità degli ultimi tempi e che era sempre riservato a lei,
Leona.
"Fa così caldo."
"Ma non te ne è mai importato niente", disse lui stancamente.
Anche lui si rendeva conto che il motivo non era la temperatura.
"Credo di aver sognato di nuovo", ammise Leona. Già da un po’
aveva capito che gli dava sui nervi.
Sembrava combattuto fra il desiderio di andare avanti a dormire
ignorando le psicosi di Leona - come era solito definire qualunque
suo problema - e la sensazione che il suo dovere fosse quello di
ascoltarla e consolarla. Il suo senso di responsabilità ebbe il
sopravvento, anche se dentro di sé si maledisse per quella scelta.
Aveva alle spalle una giornata impegnativa, e anche il giorno dopo
non sarebbe stato da meno. L'umidità opprimente lo spossava e
inoltre aveva una serie di preoccupazioni che gli altri ignoravano del
tutto. Un buon sonno gli avrebbe fatto solo bene.
Sospirò. "Leona, non ti sembra di crearti un sacco di paturnie?
Ho l'impressione che continui a tornare a quel pensiero. Ragioni
troppo, e naturalmente tutto questo ragionare si trasforma in incubi
notturni. Devi fare qualcosa per contrastarlo."
"Pensi che non ci provi? Mi sforzo continuamente per distrarmi.
Con il lavoro, con lo sport, le chiacchierate su qualunque argomento.
Stai certo che non mi lascio sicuramente sopraffare da queste
riflessioni cupe."
"Allora non dovresti fare questi sogni."
Già sentiva le avvisaglie di quell'ira che le montava dentro ogni
volta che Wolfgang si presentava con i suoi criteri standardizzati per
il superamento dei problemi. Wolfgang aveva convinzioni incrollabili
per quanto riguardava preoccupazioni, paure e stati di confusione
psicologica. "Se fai questo o quello, non può succedere questo o
quello!" "Se non fai questo o quello, dovrebbe succedere questo o
quello."
Wolfgang non avrebbe mai accettato l'idea che la vita potesse
svilupparsi indipendentemente dalle regole da lui elaborate. Se le
cose non si svolgevano come da lui postulato allora la colpa andava
ricercata nel singolo che evidentemente agiva in modo sbagliato.
"Maledizione, Wolfgang, non puoi sempre semplificare tutto! Io
mi sforzo di combattere le cose, ma non ci riesco. Forse ho bisogno di
tempo."
"È solo una questione di volontà", disse Wolfgang soffocando uno
sbadiglio. Per lui qualunque cosa era sempre una questione di
volontà.
Non avrebbe mai potuto accettare che alcuni ambiti esistenziali
potessero sfuggire a un puro esercizio di forza di volontà. Per
Wolfgang il concetto di destino o accettazione non esisteva, tanto
meno quello di caso o di provvidenza. Magari aveva ragione. Leona
era lungi dal volersi invischiare in percorsi di pensiero esoterici; era
una razionalista, anche se al fianco di Wolfgang le sembrava spesso
di essere una sognatrice con la testa tra le nuvole. Ma nella sua
concezione di vita era sicuramente presente l'idea di una forza
collocata al di là di ciò che gli uomini possono comprendere e
dominare. Altrimenti lei non ce l'avrebbe fatta a tirare avanti.
Wolfgang le rinfacciava di continuo che questo aveva a che fare con
una mancanza di • senso di responsabilità.
"Il destino lo tirano in ballo solo quelli che vogliono attribuire
una parte della responsabilità delle loro azioni a una istanza che va
oltre le concezioni terrene. Si tratta del tentativo di distribuire in
modo semplicistico i carichi, ma alla fine conduce semplicemente a
mentire a se stessi."
Leona faceva fatica a controbattere a queste argomentazioni,
anche perché tendeva a dargli ragione circa il credo diffuso nel
destino. A suo modo di vedere tuttavia questo non escludeva
l'effettiva presenza di un potere che governasse a distanza.
Fissò l'oscurità domandandosi se poteva avere un significato che
proprio lei si fosse trovata a passare nel momento in cui quella
giovane donna aveva deciso di porre fine alla sua vita gettandosi
dalla finestra. Normalmente non poteva certo permettersi di essere
per strada a quell'ora: alle undici e mezzo di mattina, lei era già
seduta da un pezzo alla sua scrivania alla casa editrice. Ma quella
mattina aveva un appuntamento dal dentista che fra l'altro era stato
ritardato a causa di un'emergenza. E questo aveva fatto sì che lei
stesse percorrendo quella strada proprio nel momento della
disgrazia, affannata, innervosita dalla lunga attesa, con la parte
sinistra del viso ancora insensibile per l'anestesia che aveva richiesto
per prudenza.
Faceva molto caldo, e si era sentita sudata e appiccicosa e con un
unico desiderio, quello di tornarsene a casa a farsi una doccia, per
poi mettersi in giardino con un libro e un succo d'arancia gelato.
Abbastanza depressa e con una gran voglia di piangere.
All'inizio non riuscì a capire cosa stava succedendo. Più tardi la
polizia cercò invano di ottenere da lei una descrizione di come si
fossero effettivamente svolti i fatti. Non aveva per caso riconosciuto
una seconda persona dietro la vittima, o magari l'ombra di una
persona? Aveva avuto la sensazione che si fosse buttata di sua
volontà o che invece qualcuno l'avesse spinta? Ma Leona non era in
grado di dare risposte perché non aveva visto niente. Aveva
camminato immersa nei suoi pensieri, presa dal suo dente, dalla
sgradevole e ovattata sensazione di mancanza di sensibilità. E da
alcune preoccupazioni che da un certo tempo la tormentavano e delle
quali non aveva voglia di parlare con nessuno.
Si era resa conto di qualcosa quando la donna stava ormai già
cadendo.
A dire il vero, in un primo momento non aveva nemmeno capito
che si trattava di un essere umano. Un oggetto voluminoso era
letteralmente precipitato a ciel sereno - infatti il cielo estivo era senza
una nuvola, inondato di sole - schiantandosi con un fragore terribile
sul marciapiede, a pochi metri di distanza da Leona.
Era rimasta lì, scioccata, incredula, perché dopo un attimo si era
resa conto che si trattava di una persona. Una donna. Indossava un
abito estivo di cotone, a fiori verdi, e calzava dei sandali bianchi.
Aveva i capelli biondo scuro, lunghi fino alle spalle. Giaceva sotto il
sole, sull'asfalto bollente come un oggetto gettato via senza cura,
come un informe sacco della spazzatura, che qualcuno ha gettato dal
finestrino dell'auto in corsa. Braccia e gambe formavano un angolo
innaturale con il tronco del corpo.
Più tardi Leona non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse
rimasta lì come pietrificata a osservare la scena. Le sembrava che
fosse trascorsa un'eternità, durante la quale tutto intorno a lei - le
foglie agitate dal vento leggero, un gatto che attraversava la strada,
un uccello che saltellava da un paletto all'altro di una cancellata - si
era mosso al rallentatore, mentre i rumori delle strade trafficate al di
là del quartiere residenziale erano stati come inghiottiti dietro a una
parete di vetro che isolasse dai suoni.
Solo nel momento in cui udì un flebile lamento provenire dalla
donna, si risvegliò dal suo intontimento, corse verso di lei e si
inginocchiò al suo fianco.
"Mio Dio, ma cosa è successo?" sentì se stessa gridare. "Posso
aiutarla?" Che domanda idiota, pensò immediatamente.
La donna aveva aperto gli occhi. Aveva un bel viso; lo si notava
persino in quella situazione. Non si vedeva sangue, ma a giudicare
dalla posizione dei suoi arti doveva essersi rotta praticamente tutte le
ossa del corpo. Era di un pallore che Leona non aveva mai visto in
nessuno.
"Alla fine ce l'ha fatta", disse con una voce sottile ma chiara e
intelligibile. Ripeté: "Alla fine ce l'ha fatta" Fissò Leona.
"Chi ce l'ha fatta? Di chi sta parlando?"
La donna non rispose più. All'improvviso stralunò gli occhi. Un
attimo dopo aveva già perso conoscenza.
Solo in quel momento a Leona venne in mente di guardare verso
l'alto, per scoprire da dove fosse precipitata la sconosciuta. Si
trovavano davanti a un condominio di recente costruzione, uno
stabile di sei piani, edificato in un vecchio giardino ombroso; lì prima
c'era una villa in pietra arenaria che era stata abbattuta per stipare
una gran quantità di persone in uno spazio il più possibile ridotto, e
con quell'operazione guadagnare molto denaro. Lo si faceva ormai in
ogni angolo del quartiere che veniva in questo modo sempre più
deprivato dell'antico charme.
Il palazzo sorgeva vicino alla strada. All'ultimo piano una finestra
era spalancata. Leona intuì che la donna doveva essersi gettata da lì.
"Non si muova", disse rendendosi conto dell'inutilità delle sue
parole, poiché la donna era ancora priva di sensi. "Vado a cercare
aiuto."
Vide poco lontano un pensionato che portava a passeggio il suo
cocker.
Si era fermato e stava osservando la scena, ma il suo sguardo
rivelava che evidentemente non ci vedeva bene oppure non capiva
quello che era successo. Leona gli fece segno di avvicinarsi, ma
l'uomo rimase fermo a fissarla.
Lei si alzò e gli corse incontro.
"Quella donna si è buttata dalla finestra!" urlò. "Lei abita qui?
Potrebbe chiamare un'ambulanza?"
Lui continuò a fissarla. "Buttata dalla finestra?"
"Sì. Ci vuole un medico, subito."
"Può venire da me, a chiamarlo", propose lui, "abito proprio lì."
Indicò una villotta a pochi metri di distanza, ma a Leona sembrò che
ci mettesse un'eternità anche solo per girarsi, e i suoi passi lenti e
pesanti le fecero quasi perdere la pazienza. Ma, per quanto rivolgesse
attorno il suo sguardo terrorizzato, non riusciva a vedere neanche
una cabina telefonica.
Continuava a guardare la donna. Non si muoveva più.
Il vecchio rovistò nelle tasche dei pantaloni alla ricerca delle
chiavi di casa senza trovarle, mentre il cane guaiva. Leona tremava
per l'impazienza. Adocchiò una signora anziana in tuta da ginnastica
che correva lungo la strada e che le disse: "Ho visto tutto! Ho già
chiamato io l'ambulanza!
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