L’università del crimine – Petros Markaris

SINTESI DEL LIBRO:
Mia cara Tasia, ti trovi davanti a una lunga strada.”
“È una salita?”
Calliope studia con puntiglio la tazza. “No, non vedo una salita. Solo una
strada lunga, con qualche difficoltà, ma alla fine vedo la luce... C’è qualcosa
come un sole che sorge.”
“Questo si addice meglio a tuo figlio che a te,” dice Arghirò a Tasia con
un sorriso.
E, infatti Tasia spiega ad Adriana: “Mio figlio ha fatto domanda a tre
università, per insegnare alla facoltà di Biologia,” e si fa il segno della croce.
“Ah, fammi la grazia, Madonna mia, che vengo a Tinos ad accenderti un
cero.”
La conversazione sul futuro di Tasia e del figlio si svolge in una
foresteria di Pàpingo.
All’improvviso, una mattina, Adriana si è svegliata con la nostalgia delle
sue radici epirote. Dato che veniamo entrambi dall’Epiro, mi ha subito
contagiato. E così ci è venuto il desiderio di andare a visitare il patrio suolo.
Da quando siamo andati via dall’Epiro ci siamo tornati solo due volte, per
due funerali. Il primo è stato quello della madre di Adriana, e il secondo
quello di mio padre. Entrambe le volte insieme a Caterina: la prima da
neonata, la seconda da bambina già cresciutella.
Questo, il pretesto del nostro viaggio a Pàpingo. Ora sono seduto nella
sala da pranzo della foresteria “To Rodi” con quattro signore, una delle quali
è mia moglie. La colazione è terminata, ma le signore hanno ordinato un
altro caffè greco perché la signora Calliope legge i fondi. Dalla finestra si
ammira la vista sublime della vetta dell’Astraka, dove, quando eravamo
piccoli, tendevamo gli archetti per acchiappare merli ma anche quaglie:
insomma, quel che capitava.
Io, però osservo, stupito, Adriana che partecipa alla rivelazione delle cose
a venire. Probabilmente ha scoperto che le tre signore hanno doti
divinatorie, dato che lei non ha fatto in tempo a ereditarle dalla madre,
all’epoca in cui le donne si lasciavano affascinare dai fondi del caffè, nel
tentativo di vedere, nel fondo della tazza, una luce di speranza. Eppure, ma
non ci giurerei perché sto tutto il giorno fuori in servizio, potrebbe anche
darsi che, in mia assenza, corra dalle cartomanti a farsi leggere i tarocchi e
da lì dalle sensitive che leggono i fondi del caffè, senza che io mi sia mai
accorto di nulla.
“Vedi per caso qualche grande edificio?” chiede Tasia a Calliope.
“Che genere di edificio?”
“L’università di mio figlio,” spiega Tasia, ma era già evidente.
Calliope studia con grande attenzione la tazza. “Edifici non ne vedo, però
vedo molta gente radunata,” conclude.
“Sarà il Consiglio di facoltà che si riunisce per decidere se accettarlo,”
deduce Tasia, tornando a farsi il segno della croce. “Ah, Madonna mia!”
“Ora è il suo turno, signora Adriana,” dice Calliope e prende la tazzina
rovesciata di mia moglie.
Preferisco ritirarmi in buon ordine, perché non ho alcuna voglia di
ascoltare che cosa si prevede per Adriana, dato che, probabilmente, la
faccenda coinvolgerà anche me.
“Lei non crede ai fondi del caffè, signor Charitos?” mi chiede Arghirò che
mi ha osservato mentre mi alzavo.
“Potrebbero influenzarmi, per questo preferisco non ascoltare,” le
rispondo mentre lo sguardo di Adriana si volta, indeciso, verso di me. Non
sa se deve farmi una lavata di capo per le scemenze che dico oppure se
davvero penso che i fondi di caffè mi influenzeranno.
Esco dalla sala da pranzo prima che Adriana prenda una decisione e mi
piazzo sulla veranda, davanti alla foresteria in pietra. Tiro un gran respiro,
mentre con lo sguardo accarezzo gli alberi per terminare sulla vetta
dell’Astraka.
Siamo a metà settembre, ma la temperatura è ancora gradevole, almeno
finché non tramonta il sole. Col crepuscolo arriva anche il freddo, e la sera
devi cercare rifugio in qualche caffè o ristorante. Non mi lamento, perché in
vacanza andiamo sempre in settembre. Ci torna più facile passare l’estate ad
Atene, evitando di partecipare all’annuale esodo degli ateniesi che comincia
alla metà di luglio. Anche se optassimo per qualche isola remota, o per la
montagna, vivremmo comunque lo strazio dell’esodo e del controesodo
verso Atene, con la rete stradale nazionale trasformata in un ingorgo
nazionale, e Adriana che grida “Sta’ attento!” ogni volta che metto in moto
la Seat.
Con il terzetto Arghirò, Calliope e Tasia, ci siamo conosciuti nella
foresteria. Le prime due sono pensionate e zitelle, la terza, Tasia, è
pensionata e vedova. Vanno sempre in vacanza insieme. Hanno subito
legato con Adriana: sin dal primo giorno, a colazione, hanno fatto le
presentazioni e da quel momento sono diventate inseparabili. Ora siamo
diventati un quintetto e usciamo a fare le nostre escursioni insieme.
Non ho voglia di andare a passeggiare. Del resto, non è escluso che
Adriana abbia già organizzato qualche gita insieme alle sue amiche e che mi
sgridi per la mia assenza ingiustificata. Mi siedo in una delle poltrone in
tela, guardo l’Astraka e ricordo mio padre che quando era in vena mi
raccontava le battaglie intorno all’Astraka e la Gamila durante la guerra
civile.
Il suono del cellulare interrompe i miei pensieri. “Che novità ci sono,
papà? Come ve la passate?” È la voce di Caterina.
“Molto bene, Caterina. Il tempo è bello, mite, e tua mamma si è fatta una
piacevole compagnia.”
“Che compagnia?”
“Tre signore molto simpatiche, che mi hanno nominato chauffeur per
scarrozzarle in giro per le bellezze del luogo.”
“Stai fresco,” commenta Caterina mettendosi a ridere.
“E Atene, com’è?” le chiedo.
“Com’è sempre, in settembre, quando ogni forzato torna al suo remo,” mi
risponde e chiudiamo la conversazione tra i reciproci saluti.
Comincio a chiedermi quanto tempo richiede la puntigliosa analisi di una
tazzina, quando Adriana fa la sua comparsa.
“Che cosa ti ha detto la tazzina?” le chiedo.
Mi guarda con un sorriso furbetto. “Non te lo dico.”
“Perché? Hai paura che ti porti iella?”
“È una cosa per quelli che ci credono. Tu non ci credi.”
Dal tono deduco che ha avuto fauste previsioni, e non insisto perché
capisco che ha tirato giù la saracinesca e non riuscirò a ottenere nulla di più.
“Oh, ma che cos’è?” sentiamo una voce alle nostre spalle.
Ci giriamo e vediamo il terzetto. Gli sguardi delle tre donne sono fissi su
un enorme volatile sospeso sulle pendici dell’Astraka. Mentre si inclina
mostra la groppa e la pancia, che sono bianche, mentre le ali e le zampe
sono rosse. Le ali sono immobili e tese e il volatile scende lentamente verso
il canalone. Se è un uccello, sicuramente deve provenire da un altro
continente.
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