LOGAN – Veronica Scalmazzi

SINTESI DEL LIBRO:
Sposto in un angolo le vecchie attrezzature ormai obsolete e tiro
verso di me il bancale appena scaricato, quando sento in lontananza
la voce di Alan chiamare il mio nome.
«Sono in magazzino» urlo a mia volta per avvisarlo.
Avverto i suoi passi avvicinarsi, mentre continuo a controllare
l'elenco dei codici indicati sulla bolla di consegna. Questa è la parte
più pallosa di questo lavoro. Da quando Scott mi ha lasciato in
gestione la palestra, dopo il mio infortunio, le mie giornate sono
interamente dedicate a chi ama il mio stesso sport: la boxe.
Purtroppo, però, gestire questa attività non comporta solo allenare i
ragazzi, ma anche occuparsi della burocrazia infinita che richiedono
le iscrizioni, gli ordini delle attrezzature, i conti di fine mese e un
sacco di altre stronzate che preferirei poter affibbiare ad altri.
«Capo, qualcuno ti cerca» mi informa Alan, sporgendosi oltre la
porta. «L'ho fatto accomodare in ufficio. Credo che voglia unirsi a
noi.»
«Due minuti e arrivo.»
«Okay.» E se ne va.
Con i documenti fra le mani, esco dal magazzino e mi incammino
lungo il corridoio che attraversa gli spogliatoi e porta alla palestra.
Non appena varco la soglia, il rumore dei guantoni che si
scontrano contro i sacchi e quello metallico delle attrezzature
d'allenamento in movimento mi riportano nel mio mondo, in quello
spazio d'azione a cui ho dato tutto me stesso per anni, in cui ho
riposto la mia voglia di riscatto, ma la vita si sa... non sempre
asseconda i tuoi sogni, i tuoi obiettivi. A volte ti mette alla prova, altre
volte ti fa un vero e proprio sgambetto da cui è impossibile rialzarsi.
Ed è quello che è successo al sottoscritto.
In un attimo la mia carriera da pugile professionista è andata
distrutta a causa di un infortunio al ginocchio. Quel giorno una parte
di me è morta per sempre.
Niente più incontri sul grande ring, niente più titolo mondiale,
niente più vittorie in grado di farmi sentire sul tetto del mondo. Solo
un grande inizio segnato da una fine troppo immediata e stampata
su un maledetto foglio di carta. Un verdetto nero su bianco,
incancellabile. Spietato.
Per settimane ho affogato la rabbia nell'alcol, allontanando
chiunque cercasse di starmi accanto. Volevo solamente stare solo,
non pensare, mandare a fanculo la mia vita e odiarmi. Odiare quella
parte del mio corpo rotta e quella che mi faceva sentire diverso,
sporco. Un mezzo uomo. Perché amare una donna era già
complicato, ma amare un altro uomo, provare attrazione per lui...
Quello era del tutto sbagliato.
Senza rendermene conto stringo con foga i documenti che ho fra
le mani. Ripensare a...
No! Devo piantarla di torturarmi con i ricordi del passato, devo
assolutamente darci un taglio netto. Dimenticarlo.
Scuoto il capo e faccio un profondo respiro, con la coda
dell'occhio noto Cj che mi fissa nervoso per qualche istante, poi la
sua attenzione torna sull'avversario che ha davanti.
C'è qualcosa che non va. Ne sono certo.
Lo conosco troppo bene, per me Cj è un libro aperto.
Dopo la sparatoria che ha coinvolto sua sorella Laura, nonché mia
migliore amica, il nostro rapporto ha trovato un punto d'incontro nel
pugilato, per poi trasformarsi in un'amicizia leale e indistruttibile. L'ho
aiutato a stare lontano dai guai, mentre lui mi ha accettato per quello
che sono. E adesso quello che ci unisce non è solo un rapporto
professionale - visto che sono il suo coach/manager - ma è molto di
più. È un legame fraterno.
Pensieroso raggiungo l'ufficio e noto la porta socchiusa.
Speriamo che chiunque sia non mi faccia perdere tempo perché,
oggi, non sono proprio dell'umore giusto per discutere.
Una volta varcata l'entrata alzo gli occhi sull'uomo di spalle che ho
di fronte: fisico possente, alto più di un metro e ottanta, spalle larghe
e...
Quando la sua figura imponente ruota verso di me, sento il sangue
ribollirmi nelle vene e i nervi tirare così forte che potrebbero
spezzarsi da un momento all'altro.
Nessuno dei due dice una parola, l'aria attorno vibra elettrica,
mentre il silenzio assordante che ci circonda mi rimbomba in testa
con furia, rafforzando quella morsa soffocante che, ormai da mesi,
mi stritola lo stomaco, i polmoni e quel bastardo del mio cuore che
sembra sul punto di esplodere.
Non posso credere che lui sia qui, che sia ritornato a Weston. Che
quegli occhi oscuri e maledetti stiano aspettando una mia mossa.
Una fottuta parola.
«Dimmi cosa ti serve e poi sparisci» dico aggirando la scrivania
«Ciao anche a te» ribatte, appoggiandosi all'armadietto di ferro
che contiene tutte le pratiche d'iscrizione archiviate.
Mi fissa imperscrutabile, con le braccia conserte e quel ghigno
compiaciuto di chi sa di non essermi indifferente. Vaffanculo!
Mi siedo al mio posto, apro un cassetto e tiro fuori dei fogli. Li
sbatto in modo brusco sul piano della scrivania, spingendoli verso di
lui.
«Se sei qui per l'iscrizione, questi sono i moduli da compilare»
affermo secco. «È tutto scritto lì sopra: orari, documenti da portare e
modalità. Se è tutto, te ne puoi andare.»
«Mi mancava il tuo modo di fare da stronzo frustrato» ammette,
mandandomi su tutte le furie.
Alzo lo sguardo di scatto. I nostri occhi si incatenano gli uni agli
altri in un nodo contorto, sempre più stretto.
«Che diavolo vuoi, Jay?»
Con calma apparente si stacca dall'armadietto e si avvicina sicuro
di sé, con quell'espressione fastidiosamente sexy che mi ha fottuto
dal primo giorno che l'ho incontrato.
Appoggia le mani ai bordi della scrivania, le braccia tese e il viso
leggermente inclinato verso il mio. Si passa la lingua su quel cazzo
di labbro inferiore provocandomi. Il suo sguardo è un muro di
determinazione che non promette nulla di buono.
«Chiarire le cose» dichiara con fermezza, indugiando sulla mia
bocca.
Digrigno i denti, trattenendomi.
La sua vicinanza è una tentazione insopportabile, mi manda fuori
di testa e lui lo sa. Lo sa dal nostro primo incontro al Pub, quando...
«Un'altra birra, Steve» chiede lo sconosciuto che si è appena
seduto sullo sgabello accanto al mio. «E una anche per il mio amico,
almeno che non desideri qualcosa di diverso» aggiunge con tono
smaliziato.
Mi volto verso di lui con le mani strette al boccale di birra che ho di
fronte, curioso e infastidito allo stesso tempo.
Non appena metto a fuoco il suo profilo, sono catturato dal
movimento della sua bocca che si stringe attorno al collo della
bottiglia da cui sta bevendo.
Non riesco a staccargli gli occhi di dosso, e lui se ne accorge.
Piega le labbra in un sogghigno consapevole, soddisfatto, poi mi
lancia un'occhiata carica di sottintesi.
Appoggia la bottiglia sul bancone e i suoi occhi neri come la
perversione si scontrano con i miei in un gioco di cui non conosco le
regole, facendomi sentire un giocatore in affanno e già perdente
ancor prima di fare la propria mossa.
Quest'uomo sta avendo un effetto tale su di me... e il mio corpo
sta reagendo al suo sguardo vissuto, a quella bocca piegata che
vorrei sul mio...
Merda! Non posso averlo pensato davvero! Io non sono...
«Ecco a voi» irrompe Steve, appoggiandoci davanti le birre
ordinate. «Vedo che hai fatto la conoscenza del nostro campione»
afferma, rivolgendosi allo sconosciuto.
«Non ancora, ma lo spero presto. Molto presto» risponde,
provocandomi un brivido d'eccitazione lungo la schiena.
«Devo andare» biascico nervoso, alzandomi all'improvviso.
Devo uscire da qui al più presto. Allontanarmi da quest'uomo e
scopare per dimenticare, per scacciare questa insana e assurda
attrazione che potrebbe distruggermi.
Sbatto sul bancone dieci dollari e scappo come una cavolo di
femminuccia, senza dire una parola.
Mi avvicino a Tracy, seduta a un tavolo con delle amiche, e la
invito a seguirmi. Non se lo fa ripetere due volte: ho bisogno di
scoparmela in tutti i modi possibili, ho bisogno che il suo sapore
cancelli il pensiero assurdo di "lui".
La trascino nel bagno degli uomini, entriamo in uno dei cessi e
immediatamente la faccio piegare a novanta, le mani appoggiate al
muro piastrellato. Senza alcuna delicatezza le alzo la gonna e le
scosto il tanga per poi penetrarla con due dita.
Tracy geme non appena mi muovo dentro di lei, ripetendo più
volte il mio nome con voce ansimante. Quando sento che sta per
venire interrompo l'assalto, facendola sussultare.
La faccio voltare verso di me, mentre mi porto le dita bagnate della
sua eccitazione in bocca e le succhio senza fretta.
«Mhh» mugugno, perdendomi nei suoi occhi chiari che mi fissano
annebbiati dal piacere, ma poi quel mare azzurro e cristallino diventa
una macchia sempre più scura, torbida. Nera. Nera come gli occhi
dell'uomo sconosciuto.
«Vaffanculo!» sbraito incazzato.
Tracy mi guarda confusa, avvicina una mano al mio viso. «Ehi,
che...»
«Zitta» le ordino, spingendola contro il muro. Prendo il
preservativo dalla tasca dei jeans e abbasso la cerniera, liberando
questa fottuta erezione che mi pulsa fra le gambe da quando lui...
Scuoto il capo esasperato, indosso il preservativo e le afferro una
gamba, obbligandola ad allacciarmela intorno alla vita. Con ferocia
affondo dentro di lei, scopandola come un ossesso. Spietatamente e
senza alcuna dolcezza. Come un animale incattivito che vuole
saziare la sua fame, la sua sete, quel bisogno che lo rende diverso.
Tracy si aggrappa alle mie spalle, mentre la sfondo spinta dopo
spinta.
Vengo emettendo un verso gutturale che racchiude solo rabbia,
nessun piacere o appagamento.
«Accidenti, Iceman» sospira sul mio collo, appoggiandosi contro il
mio petto, sfinita e soddisfatta.
Mi scosto dal calore bruciante della sua pelle, tolgo il preservativo
e lo getto nello scarico, poi rimetto il mio amico nei pantaloni, mentre
Tracy si abbassa la gonna dandosi una sistemata veloce.
Apro la porta per andarmene, quando mi ritrovo davanti il mio
"incubo senza nome" intento a darsi una rinfrescata.
Mi dà le spalle, ma i nostri sguardi si incrociano attraverso lo
specchio che ricopre l'intera parete.
Come un coglione rimango a fissarlo immobile, lui fa lo stesso.
Non appena nota la chioma bionda di Tracy sbucare dietro di me, i
suoi lineamenti si induriscono per un breve istante, ma poi un sorriso
sarcastico gli incurva le labbra. Come se sapesse, come se tutto
fosse andato come previsto.
Butta nel cesto la carta che ha usato per asciugarsi le mani e
senza dire una parola si incammina verso l'uscita.
Prima di chiudere la porta dietro di sé si gira un'ultima volta. «Puoi
scopartele quanto vuoi, ma questo non cambia ciò che sei.»
E se ne va, lasciandomi di merda e con una sensazione fastidiosa
alla bocca dello stomaco.
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