L’isola dei segreti – Scarlett Thomas

SINTESI DEL LIBRO:
Il 747 beccheggia nel cielo. Se lo fa ancora una volta, ad Anne
verrà da vomitare.
«E' normale che faccia così?», chiede all'uomo seduto di fianco a
lei.
«Non è niente», dice quello. «Una volta stavo viaggiando e
l'aereo perse duemila piedi di quota».
«Duemila?», Anne cerca di restare calma.
«E già. Devono mantenersi su numeri pari o dispari, dipende
dalla direzione. Non puoi abbassarti solo di mille, altrimenti rischi un
frontale con un aereo che va in senso opposto».
Anne registra questa informazione. Sul grande schermo in fondo
alla cabina c'è una mappa che mostra il percorso dell'aereo. Anne
trova conforto nei piccoli grafici che rappresentano il mondo e
l'aereo. Rendono l'esperienza astratta. In questo momento, il finto
piano è da qualche parte sull'Atlantico, a un paio d'ore da Heathrow.
Anne decide che dopo l'atterraggio non volerà mai più.
«E rimasta in una scialuppa di salvataggio per undici ore», dice la
donna seduta accanto ad Anne, dall'altro lato. «Chi?» «Mia madre».
«Mi scusi?» «Quando la salvarono durante il naufragio del
Titanic, mia cara».
Sulla pista di Los Angeles, Anne ha accennato ai suoi vicini che i
viaggi la mettono in agitazione. La donna anziana allora ha risposto
che sua madre aveva paura di volare. Anne ha ribattuto che in
compenso lei non ha problemi con le navi, e la donna ha cominciato
a parlare del Titanic. Dopo di allora non ha fatto che dormire per tutto
il viaggio, salvo svegliarsi più o meno ogni ora e ricominciare la
conversazione.
«Ho ereditato il dono da lei».
«Il dono?» «Leggere le carte».
«Quali, i tarocchi?» «Sì, cara. Le carte le avevano detto che non
era una settimana buona per viaggiare».
Si appisola di nuovo e Anne riapre il suo libro. Ma lascia subito
perdere. Prende il walkman dal tavolino a ribalta e mette le cuffiette
nelle orecchie. E' alla terza cassetta dei REM e fa come sempre: si
fissa su un'unica traccia e la ripete centinaia di volte. Per il decollo
da Los Angeles era Losing my Religion. Per qualche ora
sull'Atlantico era Tongue. Ora è Daysleeper. Centinaia di volte. Sua
madre direbbe che è maniacale.
Da bambina, Anne non conosceva mezze misure. Alla scuola
domenicale, una ragazzina le aveva detto che se avesse mentito
sarebbe andata all'inferno. Per un mese Anne non parlò, spaventata
dalla possibilità di mentire per sbaglio. Non poteva neanche
rispondere a semplici domande come: «Dove sono i corn flakes?»,
con un semplice «Non lo so», perché magari lo sapeva e l'aveva
semplicemente dimenticato. Per l'Anne di sei anni, il diavolo
l'avrebbe contata come bugia. E quindi smise di parlare. Punto e
basta.
La madre la portò da uno psicologo infantile con l'alito cattivo e le
ascelle sudate. Anne continuava a stare zitta, ma cominciò ad
arrossire quando lui prese a farle domande sempre più imbarazzanti
a proposito di "comportamenti inappropriati", e a chiederle se per
caso qualcuno che conosceva l'avesse toccata in modo da farla
sentire a disagio. Fu il viaggio verso lo studio a curarla dal silenzio,
in particolare quando le dissero che avrebbe dovuto tornarci finché
non ci sarebbero stati miglioramenti. Tra lo psicologo e il diavolo,
scelse il diavolo.
In seguito, le parole divennero le uniche amiche di Anne. Diari su
diari spiegavano perché non si ambientava a scuola, o perché gli
altri bambini pensavano che fosse strana. Alla fine i genitori la
mandarono in una scuola speciale, lamentandosi in continuazione
per la spesa. Una volta lì, le venne detto che era troppo intelligente e
fu spedita in una stanza a leggere i libri per ragazzi di Judy Blume da
sola, nel tentativo di riportarla al livello degli altri. Aveva dodici anni.
I romanzi per ragazzi divennero presto un'ossessione. Anne
lesse rutti i Judy Blume (il suo preferito era Per sempre), poi
cominciò con Paul Zindel, deliziandosi con il suo Pigman. Dopo di
questi, continuò con ogni cosa le capitasse a tiro. Ragazzini
americani grassi, solitari o maltrattati: voleva saperne sempre di più.
Anne avrebbe potuto tenere una rubrica di posta del cuore. Sapeva
tutto delle questioni. Il bullismo, il suicidio, il divorzio, la gravidanza, il
sesso. Ogni volta che gli altri ragazzi avevano un problema, lei
sapeva cosa fare. Ogni volta che uno di loro era depresso, lei gli
prestava la sua copia di Are You There God? It's Me, Margaret.
Alla scuola speciale non c'erano regole, né compiti a casa. A
dodici anni e mezzo, Anne cominciò a scrivere poesie. La poesia
l'aiutò durante quello che la scuola chiamava "periodo di
apprendimento", che consisteva in lezioni non obbligatorie. Durante
la ricreazione teneva banco nei campetti da gioco o nelle aule
inutilizzate parlando di contraccezione o religione, sparando raffiche
di ansie adolescenziali su confusi preadolescenti che non
l'avrebbero mai accettata nel loro gruppo.
Fuori da scuola, passava il tempo in biblioteca. Era una tipa
solitaria e, anche se nessuno l'avrebbe mai considerata una
"bambina inserita", non era infelice.
Nei quattro anni passati alla scuola speciale, scrisse settecento
poesie e non frequentò mai una lezione. A scuola credevano che si
sarebbe annoiata prima o poi, ma si sbagliavano. La politica di
annoiare un bambino fino alla sottomissione aveva funzionato con
tutti gli altri alunni: ognuno, prima o poi, scivolava verso le lezioni
non obbligatorie. Ma con Anne non funzionò.
Semplicemente, lei non si annoiava.
Ad Anne sembrava inutile sostenere gli esami, dato che non
aveva seguito alcuna lezione, ma la scuola la iscrisse ugualmente,
sperando almeno in una sufficienza in inglese. Cominciò con la
prova di biologia. La prima domanda fu sulla contraccezione, la
seconda sul ciclo mestruale. Questi argomenti erano più che coperti
nei romanzi per ragazzi di Anne e perciò prese una A. Ne prese
anche in lingua inglese, storia, geografia, religione e arte. Per
quest'ultima materia non fece altro che presentarsi nell'aula
dell'esame e disegnare un pene astratto (non che ne avesse mai
visto uno).
Questi voti valsero a farla entrare prima in un liceo classico
esclusivo, e infine alla Sussex University a studiare inglese e
filosofia.
I suoi genitori le pagavano un appartamento sulla costa di
Brighton e le comprarono una macchina, nonostante Anne non
l'avesse chiesto. Le diedero anche una generosa rendita, che lei
spendeva in libri, riviste e sushi, l'unico cibo che mangiasse. Il primo
anno lo passò pensando a niente, e la tesi che ne risultò,
l'argomento era lo zero, fu acclamata da tutti esclusi i suoi genitori,
che decisero, all'inizio del secondo anno, di prendersi indietro
l'appartamento, la macchina e la rendita, credendo che lei se la
stesse prendendo comoda.
Avevano sperato che Anne avrebbe per forza di cose dovuto
cominciare una vita da studentessa ma lei, che non poteva essere
forzata a fare niente, trovò un monolocale, lavorò come donna delle
pulizie e lesse Sartre per un anno intero. Alla fine dell'anno mise in
scena il proprio suicidio. La sua tesi fu un dossier di documenti legati
alla sua morte: un diario degli eventi che avevano portato lì, e
persino il biglietto d'addio. La trovata venne ripresa dai telegiornali
nazionali. I suoi genitori le diedero di nuovo l'appartamento, l'auto e
la rendita, e la mandarono in terapia.
Al terzo anno, Anne lesse Baudrillard e ascoltò i Radiohead. Non
le era mai piaciuta tanto la musica indie, prima, preferiva il pop
caramelloso e la disco anni Settanta, ma quell'anno scoprì MTV. I
nuovi gruppi le piacevano, e le parole delle loro canzoni erano una
specie di poesia: poesia surreale, sdolcinata, alienante e senza
senso quanto tutto ciò che la circondava. Per il suo progetto del
terzo anno, Anne inventò un videogame chiamato Life. Si laureò con
il massimo dei voti.
Anne non ha mai avuto un amico o un ragazzo. È ancora
vergine.
Il viaggio in America doveva essere l'estremo tentativo da parte
dei suoi genitori di spingerla a farsi una vita. Ma negli ultimi due mesi
Anne non ha fatto altro che pensare alla fine del mondo. La zia che
la ospitava è dovuta andare a San Francisco da un amico malato,
così Anne ha avuto la casa tutta per sé. Ha mangiato quantità
industriali di formaggio, sandwich con erba medica e patatine fritte al
microonde. Ha scoperto i talk show: Geraldo. Ricki, Sally, Jesse
Raphael, Jerry Springer. E, nei due mesi trascorsi lì, non è uscita
mai di casa, tranne per andare al supermercato aperto
ventiquattr'ore su ventiquattro.
Quando sotto l'aereo appare la terraferma, l'atmosfera a bordo
cambia. La turbolenza è passata e tutti sono tranquilli.
«Sembra che alla fine ce la faremo», dice l'uomo seduto accanto
ad Anne.
«Sì», gli sorride lei.
«Avrei potuto dirvelo, che sarebbe andato tutto bene», dice la
donna anziana, svegliandosi.
«Come?», chiede Anne.
«Le carte. Le ho fatte stamattina».
«E perché non me l'ha detto prima?» «Perché non mi avresti
creduto. La gente crede alle previsioni solo quando si sono avverate.
E' così che mia madre finì sul Titanio. Non volle credere che non
era una settimana buona per viaggiare fino a quando la nave non
cominciò ad affondare».
L'uomo di fianco a lei si punta un dito alla tempia e lo fa roteare,
come a dire che la vecchia è pazza. Anne comincia a riporre
walkman e libro nello zaino.
Anne mangia un panino di MacDonald's a Heathrow prima di
prendere la metro per Islington.
Quando arriva a casa, l'appartamento dei suoi genitori è deserto.
Si ricorda che sono ancora nella villa in Toscana. C'è una copia del
«Guardian» sul tavolo in cucina, aperta alla sezione delle offerte di
lavoro nel settore "Media". In cima, c'è una nota per ricordare ad
Anne che è tempo che si trovi un impiego, e che la sua rendita finirà
a settembre. La madre di Anne ha già cerchiato in rosso le offerte
che crede possano essere adatte alla figlia. Sono tutte più o meno
legate alle pubbliche relazioni o alla beneficenza.
Anne si versa un bicchiere di Coca e si mette seduta davanti al
giornale. Per qualche motivo diventa improvvisamente importante
che lei trovi un lavoro su questo giornale. Oggi. Senza alcun intento
di ribellione, si mette a cercare l'annuncio più improbabile, ma alla
fine si accontenta del più vago: «Giovani menti brillanti cercasi per
grande progetto».
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