Le ragioni dell’odio – Tommaso Carbone

SINTESI DEL LIBRO:
La valle era già bianca, la neve seguitava a cadere densa e obliqua
formando un sottile velo sulla strada. I tergicristalli stridevano e avevano
accumulato due strisce bianche ai lati del parabrezza.
Si fermò in una piazzola di sosta e scese dall’auto. Aprì il portabagagli e
constatò con disappunto che le catene non c’erano.
Era convinto di averle a bordo.
Oltrepassò il bivio per Canova e si diresse verso la statale 7.
La neve era aumentata di intensità e si avventava rabbiosa contro il
parabrezza. L’auto procedeva piano lungo i tornanti ricoperti di neve. Le
ruote di tanto in tanto perdevano aderenza e slittavano girando a vuoto. La
visibilità era scarsa. La coltre di neve aveva completamente coperto la strada.
Con la faccia incollata al vetro procedeva a venti all’ora.
Faceva fatica a distinguere la carreggiata.
Dopo l’ultimo tornante, apparvero le prime case del paese abbarbicate sul
fianco della collina.
Sentiva i muscoli del collo e delle spalle contratti per la tensione e gli occhi
stanchi.
Aveva viaggiato tutta la notte e ora aveva voglia di bere un caffè e
sgranchirsi le gambe.
La mamma lo aveva chiamato la sera prima. Le condizioni del nonno si
erano improvvisamente aggravate.
I paletti gialli e neri spuntavano appena dalla neve nel rettilineo che
immetteva nel paese. Un’auto si era messa di traverso e alcune persone
cercavano di liberare la strada spingendola per rimetterla in carreggiata.
Frenò leggermente e le ruote scivolarono sulla neve. Controsterzò e l’auto
si fermò a mezzo metro dal burrone. Ingranò la retromarcia e si rimise in
carreggiata.
Proseguì a passo d’uomo fino alla chiesa della Madonna del Carmine. Era
impossibile salire a casa della nonna con l’auto. Parcheggiò accanto a un
furgoncino. Si tirò il cappuccio del giaccone sulla testa e scese. Prese il
trolley, attraversò la piazza deserta e si diresse verso via Roma.
La neve continuava a cadere.
Il marciapiede era coperto da uno strato di neve che brillava al buio e si
affondava fino al ginocchio.
In cima alla salita aveva la fronte madida e un leggero affanno. Nonostante
il freddo un rivolo di sudore gli scorreva lungo la schiena.
Si fermò sotto un balcone per rifiatare.
Trascinò il trolley fino alla casa dei nonni lasciandosi dietro due scie
parallele che la neve ricopriva rapidamente.
Salì le scale e si fermò sul ballatoio, si spolverò la neve e suonò il
campanello.
Venne ad aprirgli la mamma.
«Ciao.» gli disse. Aveva il volto pallido e gli occhi lucidi e arrossati. «Ero
preoccupata. Ho provato a chiamarti, ma il telefono risultava non
raggiungibile.»
«È stata un’impresa. Ho dimenticato le catene nel garage. Il nonno?»
«Non ce l’ha fatta. Ha chiesto di te fino a poco prima che perdesse
conoscenza…» la voce si incrinò e gli occhi le si riempirono di lacrime.
L’attirò a sé e lo strinse forte.
Alessandro le accarezzò la testa. Notò la ricrescita dei capelli. nella riga
che li separava. In un mese era invecchiata di dieci anni. Assistere al nonno e
confortare la nonna non era stato facile per lei che era figlia unica. Aveva
rifiutato l’aiuto di una badante e di una domestica.
«Posso vederlo?»
«Gli addetti delle pompe funebri stanno ricomponendo la salma. Avrai
fame. Ti preparo qualcosa.»
«Più tardi. Prima saluto la nonna. Come sta?»
«È molto provata.»
Entrò nel salotto. La nonna era seduta su una poltrona, un plaid sulle
gambe, il volto solcato da una fitta rete di rughe, i candidi capelli raccolti in
uno chignon. Le mani tormentavano un fazzoletto ridotto a un cencio. Fissava
la cima di un albero che ondeggiava lievemente scossa dal vento.
«Ciao, nonna» la salutò con un bacio. «Mi dispiace, ma non ce l’ho fatta ad
arrivare prima.
«Voleva rivederti» disse, abbracciandolo.
«Ho fatto il possibile… La neve mi ha rallentato.»
La nonna gli strinse la mano.
Lui gliela accarezzò.
«Siediti» disse, indicando la poltrona accanto.
«Io vado a preparare qualcosa per il pranzo» disse la mamma e scomparve
nel corridoio.
«Ha sofferto?»
«Solo gli ultimi giorni. Stamane ha bevuto un sorso di latte e ha mangiato
qualche biscotto. Abbiamo chiacchierato e poi, come se presagisse la fine, ha
dato le ultime disposizioni. Tu lo conosci com’era fatto: preciso, scrupoloso
fino a essere maniacale. Verso le dieci mi ha chiamato. La situazione è
precipitata. Si è spento serenamente. Sessantadue anni di matrimonio.»
«Dovrai farti forza.»
«Come va il lavoro? Tua madre mi ha detto che sei stato assunto al Nuovo
Quotidiano.»
«Sono stato fortunato. La concorrenza è agguerrita. Per ora si tratta di un
contratto a tempo determinato.»
«Sei un bravo giornalista e hai un ottimo curriculum. Ho letto quasi tutti i
tuoi articoli. Mi piace il tuo modo di scrivere. Uno stile brillante, allo stesso
tempo semplice ed elegante. Fin da piccolo eri una grande affabulatore.
Conservo ancora i tuoi racconti e i temi che ti assegnavo come esercitazione.
Eri un bambino intelligente e curioso.»
«Ho divorato la biblioteca del nonno che era ben fornita. E ho ereditato da
te la passione per la scrittura.»
«Il nonno ha espresso il desiderio che ti occupi dell’azienda.»
«Non saprei da dove iniziare. E poi vivo a seicento chilometri…»
«La conduzione spetterà al fattore. Tu dovrai solo sovraintendere. Ti
chiedo di rispettare la volontà del nonno che non voleva che andasse in
vendita. Appartiene alla sua famiglia da più di duecento anni.»
«Ti prometto che non la venderò.»
Dal corridoio proveniva un rumore di passi. Qualcuno bussava alla porta.
«Avanti.»
Un signore in abito nero si affacciò sull’uscio.
«Abbiamo ricomposto la salma e allestito la camera ardente. Ci vediamo
domani.»
«Grazie.»
«Arrivederci.»
La nonna si alzò con uno sforzo dalla poltrona.
Alessandro le offrì il braccio e raggiunsero il salone.
Nella stanza in penombra ristagnava l’odore dolciastro dei fiori e delle
candele. Attorno alla bara sedevano alcuni vicini e dei parenti che Alessandro
non vedeva da anni.
Il nonno nel suo elegante doppiopetto, una corona del rosario tra le mani,
sembrava dormisse, se non fosse stato per il viso giallognolo.
Baciò la fronte e rimase alcuni minuti in raccoglimento di fronte alla bara.
Nella mente scorrevano i ricordi più belli: la prima bici, lui e il nonno sul
cavallo bianco, le sere davanti al camino e le lunghe giornate estive tra i
campi arsi dal sole a rincorrere lucertole e grilli sotto lo sguardo divertito del
nonno. Le sere a godersi il fresco seduti davanti alla masseria, incantato a
fissare i puntini di luce intermittente delle lucciole nella notte scura.
La mamma si affacciò sull’uscio.
«È pronto.»
Aiutò la nonna ad alzarsi e raggiunsero la cucina.
«Ho preparato del brodo, l’ideale con questo freddo.»
Versò dalla zuppiera un mestolo fumante. L’odore inconfondibile si diffuse
per la cucina e lo riportò indietro nel tempo quando a Natale ritornavano in
paese per trascorrere le feste con i nonni.
«Buono.»
«Per secondo c’è della carne.»
«Giusto un pezzo.»
Il silenzio era rotto dal risucchio della nonna che sorbiva il brodo.
La mamma sparecchiò, aggiunse della legna nel camino e ravvivò la
fiamma.
Alessandro scostò la tenda. Aveva smesso di nevicare.
La nonna disse che avrebbe vegliato la salma.
Non ci fu verso di convincerla.
Si sedette su una poltrona, la mamma le mise un plaid e si accomodò sul
divano.
«Vai a letto, sarai stanchissimo.»
Salutò la mamma e la nonna e si avviò verso la cameretta.
La stanza era rimasta identica. Indossò il pigiama e s’infilò nel letto. La
vecchia rete cigolò, spense la luce e si tirò le coperte sopra la testa. Dormì un
sonno inquieto, destandosi in continuazione finché la luce dell’alba iniziò a
penetrare nella stanza e poi arrivò il sole, che si riversò sul pavimento in
sottili strisce.
Rimase per un po’a fissare il soffitto. Si alzò e andò in bagno. Si lavò la
faccia con l’acqua fredda per scacciare gli ultimi residui di sonno.
Dalla cucina proveniva il profumo del caffè.
«Buongiorno.»
La mamma aveva gli occhi cerchiati, e il viso pallido e i capelli raccolti in
una coda. Indossava una vestaglia rosa che doveva avere almeno
cinquant’anni.
Fece colazione e si vestì.
Verso le nove iniziò la processione di parenti, amici, conoscenti e vicini.
Uscì a fare due passi. L’aria era fredda ma il cielo era terso e illuminato da
un brillante sole invernale che si riverberava sulla neve. Strizzò gli occhi e si
diresse verso la piazza. Gli operai del comune spargevano sale lungo via
Regina Margherita. Un gruppo di ragazzi giocava a palle di neve. Tre
bambini stavano completando un pupazzo sbilenco e tozzo con la testa
sproporzionata rispetto al tronco.
Raggiunse l’edicola, comprò due quotidiani e una rivista. Al bar incontrò
un paio di amici e si trattenne fino alle undici.
Tornò a casa. Nella camera ardente c’erano due lontani parenti che si
avvicinarono per salutarlo e gli fecero le condoglianze. Scambiarono alcune
parole di circostanza e si congedarono.
La mamma preparò un pranzo frugale.
Alle quindici il lugubre rintocco delle campane della vicina chiesa di
Sant’Angelo annunciò l’arrivo del prete.
Don Carmine, con una candita cotta bianca, entrò con la sua perenne
espressione dolente, seguito dal sagrestano, un vecchio magro e sdentato.
La bara, portata a spalla dagli addetti delle pompe funebri, scese
ondeggiando.
Il cielo era basso, di un grigio acciaio.
Il corteo funebre raggiunse la chiesa, accompagnato dal sottofondo di
chiacchiere e pettegolezzi.
Dopo la messa, il carro funebre si avviò verso il cimitero seguito da tre
auto.
Il cancello di ferro battuto del piccolo cimitero era aperto a metà. Ai lati
del viale centrale svettavano due file di cipressi che il vento piegava da un
lato, come la punta di un pennello sulla tela. Imboccarono un vialetto laterale
che divideva a metà un grande rettangolo di candide lapide e cippi marmorei
poggiati su un soffice manto di neve, tra pini e abeti.
Il custode, con un basco nero e i baffi, spingeva una carriola carica di
sabbia e mattoni. Lo salutò. L’uomo gli rispose con un cenno del capo e tirò
dritto.
In fondo al vialetto apparve la fila di cappelle gentilizie, risalenti a
metà’800. Un angelo bianco era posto a guardia della facciata neoclassica. Ai
lati della porta di bronzo c’erano due colonne in stile dorico. Una lettera, la M
della parola FAMIGLIA, si era staccata dal frontone.
Alessandro la raccolse. Girò la chiave e spinse il pesante battente. La porta
si aprì con un sinistro cigolio. Fu investito da un odore di umidità, fiori
appassiti e muffa. Dalla finestra sopra l’altare di marmi policromi su cui
poggiavano due candelabri di bronzo e un leggio di legno intarsiato filtrava
una luce giallognola che illuminava appena l’interno della cappella. Su una
parete si erano formate delle chiazze scure di umido e altre gialle con
rigonfiamenti dell’intonaco.
La salma venne sollevata e deposta nel loculo. Il muratore lo richiuse con
mattoni e calce.
«La lapide» disse, «la mettiamo appena è pronta. Il marmista mi ha detto
che ci vorrà una settimana.»
«Grazie» disse, allungandogli una banconota da cinquanta euro.
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