Le passioni dell’anima – Raffaele Simone

SINTESI DEL LIBRO:
Signore, se mi fossi concesso l’onore di scrivervi ogni
volta che ne ho avuto il desiderio, sareste stato
importunato molto spesso dalle mie lettere; non c’è stato
infatti un solo giorno che non vi abbia pensato più e più
volte.
… l’eccezionale rigore di quest’inverno m’ha indotto a
fare spesso auspici per la salute vostra e dei vostri cari; s’è
notato infatti che in questo paese non ce n’è stato uno più
rigido dal 1608! Se anche in Svezia è così, avrete visto lì
tutto il ghiaccio che il Settentrione può produrre. Ciò che
mi consola è sapere che ci sono in quelle zone più rimedi
contro il freddo di quanti ce ne siano in Francia, e sono
sicuro che non li avete trascurati. Se è così, avrete
trascorso la maggior parte del vostro tempo in una camera
ben riscaldata, dove immagino che le faccende pubbliche
non v’abbiano tenuto occupato così di continuo da non
lasciarvi tempo per pensare ogni tanto alla filosofia.
… se poi avete gettato talvolta lo sguardo al cielo fuori
della stanza, forse avrete scorto nell’aria meteore diverse
da quelle di cui ho scritto io: e potreste darmene buone
informazioni…
… ho tanta fiducia nelle vostre parole, e voi me l’avete
descritta dotata di costumi e di un’intelligenza che ammiro
e stimo così profondamente che, anche nel caso non si
trovasse nell’alta condizione in cui è, e non fosse di nobili
natali, se solo osassi sperare che il mio viaggio le fosse
utile, ne vorrei intraprendere uno più lungo e più difficile di
quello in Svezia, per aver l’onore di offrirle tutto quel che
posso dare per soddisfare i suoi desideri.
… il cattivo esito di tutti i viaggi che ho fatto da
vent’anni a questa parte mi fa temere che, per questo che
mi accingo a fare, mi manchi solo che in cammino mi
imbatta in ladri che mi spoglino, o in un naufragio che mi
tolga la vita. Tuttavia ciò non mi tratterrà, se davvero
ritenete che questa incomparabile Regina persista nel
desiderio di esaminare le mie opinioni e possa averne il
tempo; sarò lieto di essere così fortunato da poterle
rendere servigio. Se però così non è, ma ella ha solo avuto
qualche curiosità che ora le è passata, vi supplico e
scongiuro di far sì che io possa, senza dispiacerle, esser
dispensato dal viaggio…
… ciò non mi impedisce di cercare sempre qualcosa,
anche solo per morire più sapiente e per poterne trattare in
privato coi miei amici, ai quali non potrei nascondere nulla.
Mi lamento però che il mondo sia troppo grande per le
poche persone oneste che lo abitano; vorrei che fossero
tutte adunate in una stessa città: sarei allora ben felice di
lasciare il mio eremo per andare a vivere con loro, se
volessero accogliermi nella loro compagnia. Sebbene infatti
rifugga la folla per la quantità di insolenti e di importuni
che vi s’incontrano, non smetto di pensare che il maggior
bene della vita stia nel godere della conversazione delle
persone per le quali si ha stima. Non so se nel luogo ove vi
trovate ne incontriate molte che siano degne della vostra;
tuttavia, siccome a volte mi viene voglia di tornare a Parigi,
quasi mi rammarico che i Signori Ministri vi abbiano
affidato un incarico che da essa vi allontana, e vi assicuro
che, se foste in quella città, sareste uno dei principali
motivi che mi spingerebbero a venirci.
È con una specialissima inclinazione, infatti, che sono
ecc. ecc.
II. MONSIEUR DESCARTES ALLA REGINA
CRISTINA
La Venerazione o Rispetto è un’inclinazione dell’anima non solo a stimare
l’oggetto che essa riverisce ma anche a sottomettersi a esso con qualche timore
per cercare di renderselo favorevole.
Le passioni dell’anima, articolo CLXII
Egmond–Binnen, 26 febbraio 1649
Signora, se accadesse che una lettera mi fosse inviata
dal cielo e la vedessi scendere dalle nuvole, non ne sarei
più sorpreso e non potrei riceverla con rispetto e
venerazione maggiori di quelli con cui ho ricevuto la lettera
che a Vostra Maestà è piaciuto scrivermi. Mi reputo però
così poco degno dei ringraziamenti che contiene, da non
poterli accettare se non come un favore e una grazia, di cui
sono debitore a tal punto che non potrò mai disobbligarmi.
L’onore che in precedenza avevo avuto, d’essere
interrogato da parte di Vostra Maestà tramite Monsieur
Chanut a proposito del Sommo Bene, mi aveva già ripagato
della risposta che avrei dato. E da allora, avendo saputo da
lui che questa risposta era stata favorevolmente ricevuta,
ne ero stato tanto gratificato che non potevo sperare né
augurarmi niente di più per una cosa così da poco; in
particolare da parte di una Principessa che Dio ha posto in
un luogo così elevato ed è al centro di tanti importantissimi
affari, di cui ella stessa si prende cura, e le cui minime
azioni possono essere così importanti per il bene generale
di tutta la Terra, che quanti amano la virtù devono ritenersi
oltremodo fortunati se possono avere occasione di renderle
servigio.
E per il fatto che io dichiaro in modo particolare di
essere tra questi, oso qui affermare a Vostra Maestà che
Ella non potrebbe mai comandarmi niente di così difficile
che io non sia sempre pronto a fare tutto il possibile per
eseguirlo; e che se fossi nato svedese o finlandese non
potrei essere con maggiore sollecitudine né più
perfettamente di quello che sono, ecc. ecc.
III. MONSIEUR DESCARTES A ELISABETTA DI
BOEMIA
Può essere che qualche resto d’Amore o di Pietà, che si presenti
all’immaginazione, faccia uscire vere lacrime dagli occhi, benché si senta
nondimeno una Gioia segreta nel più intimo della propria anima.
Le passioni dell’anima, articolo CXLVII
Egmond–Binnen, 31 marzo 1649
Signora, circa un mese fa ho avuto l’onore di scrivere a
Vostra Altezza e di comunicarle che avevo ricevuto alcune
lettere dalla Svezia. Ne ho appena ricevute di nuove, con le
quali sono invitato, da parte della Regina, a fare un viaggio
in quel paese entro questa primavera, per tornare indietro
prima dell’inverno. Ma ho risposto dicendo che, sebbene
non rifiuti affatto di andare, credo tuttavia che partirò da
qui non prima della metà dell’estate.
Ho chiesto questo rinvio per più ragioni, in specie per
aver l’onore di ricevere i comandi di Vostra Altezza prima
di partire. Ho già dichiarato così pubblicamente lo zelo e la
devozione che ho per voi, che si avrebbe di me una peggior
opinione se apparissi indifferente a ciò che vi riguarda,
piuttosto che se mostrassi che cerco con ogni cura il modo
di disobbligarmi per quanto vi devo.
Conto di passare in quel paese l’inverno, e di tornarne
solo l’anno seguente. È da credere che, per allora, ci sarà
pace in tutta la Germania, e, se i miei desideri saranno
esauditi, al ritorno prenderò la strada che passa per dove
voi sarete. Nulla infatti potrebbe impedirmi di preferire –
se l’occasione si presentasse – la felicità di vivere nel luogo
dove si trovasse Vostra Altezza a quella di essere nella mia
patria, o in ogni altro possibile posto, per testimoniare più
privatamente che io sono di Vostra Altezza l’umilissimo e
ubbidientissimo servitore,
Descartes
IV. DIARIO DI MONSIEUR DESCARTES
A bordo dell’Espérance, 5 settembre 1649
Le Scritture assicurano che Dio, remotissimo e
irraggiungibile, passando accanto a Elia si rese avvertibile
sotto la forma di un «mormorio leggero di vento». Se ogni
rumore di vento dovesse essere indizio del passaggio di Dio
accanto a noi, bisognerebbe concludere che in questi giorni
di navigazione siamo stati inglobati senza posa nella sua
sfera, tanto vicini da poterlo quasi vedere e toccare. Invece,
a giudicare dagli effetti che il vento sta avendo sulla
navigazione, occorre supporre il contrario, e cioè che Dio si
sia dimenticato di questi suoi figli che legittimamente
tentano di guadagnare la Svezia per mare.
Tempeste di vento accompagnano la nostra avanzata,
giorno e notte, con pioggia e senza: a momenti il vento è di
tale violenza che pare svellere dal loro alloggiamento le
assi della nave e gli alberi, che scricchiolano e si flettono
come per ribellarsi alla forza che li opprime; in altri
momenti è più blando ma sempre abbastanza potente da
impedire le operazioni della navigazione e soprattutto, per
quanto mi riguarda, ogni attività del pensiero.
Il capitano della nave, un olandese di origine
portoghese di nome Saul Nahum Cordovero, m’ha
raccontato che nella spagnola Cadice, la città più ventosa
d’Europa per esser sita su una punta che s’incunea tra
l’oceano e il Mar Mediterraneo, sono continui i suicidi. Di
punto in bianco, le persone si affacciano alle finestre che
danno sul reticolo delle stradine del villaggio moro da cui la
città deriva, si guardano attorno accigliate come per
studiare una difficile operazione e si gettano dabbasso
senza mandare suono, a occhi spalancati e con una sorta di
verso di soddisfazione, come rapaci in picchiata.
Cordovero è convinto che a renderli folli sia il perpetuo
vento, che dà l’illusione di poter atterrare planando e non
permette di concentrarsi sul governo di sé e del corpo, ma
soprattutto perché produce un rumore spirante che viene,
dopo poco, assorbito dal cervello e si trasforma in un ronzio
interno, di quelli che hanno talora i malati d’orecchio, che
par che sentano sibili nella testa anche se la giornata è
mite e silenziosa. A lungo andare, questa doppia sensazione
fa inavvertibilmente perdere il senno, tanto che la follia dei
suicidi non viene neanche intuita dai loro parenti, che
perciò non prendono misura alcuna per prevenirla.
Siccome non so se queste notizie siano vere, ne
chiederò conferma a qualche medico o navigante appena
sarò uscito dal labirinto di cui sono prigioniero. Perfino
queste note di diario posso prenderle – dacché son partito,
è la prima volta che scrivo – approfittando di un momento
di quiete del mare e soprattutto contando sulle doti di
Schlüter come steganografo. Se non fosse così bravo a
usare le scritture veloci e ogni altra sorta di cifratura, di
queste tremende giornate non potrei conservare traccia.
Devo contare anche sulla sua pazienza. Con la mia voce
fioca e il rumore che fa il vento attorno, i miei pensieri gli
arrivano all’orecchio quasi sussurrati e lui deve fare grandi
sforzi per cogliere quel che dico.
Quanto a me, il vento non mi dà il senso di diventare
pazzo come la gente di Cadice, semmai la percezione di
allontanarmi ogni giorno di più da qualsivoglia ubi
consistam, sradicarmi da ogni ancoraggio e perdermi nel
vasto pelago. Era la stessa impressione che il vento mi
faceva a La Haye, da ragazzo, quando, spazzando i cortili,
portava via le foglie o le paglie che si trovavano intricate
fra i rami, come volesse dissociare cose che la natura aveva
unito in modo inestricabile e separare anche me dal mio
mondo.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo