La verità delle ossa – Kathy Reichs

SINTESI DEL LIBRO:
«Adesso non sono legata. Mi bruciano i polsi e le caviglie per via
delle cinghie. Ho le costole piene di lividi e un bernoccolo dietro
l’orecchio. Non ricordo di aver battuto la testa. Resto distesa,
immobile, perché mi fa male tutto il corpo. Come se avessi avuto un
incidente. Come la volta in cui mi sono schiantata con la bici. Perché
la mia famiglia non viene a salvarmi? Nessuno sente la mia
mancanza? Ho solo la mia famiglia. Niente amici. Era troppo difficile.
Sono completamente sola. Così sola. Da quanto tempo sono qui? Dove
mi trovo? Il mondo sta scivolando via. Tutto quanto. Tutti quanti.
Sono sveglia o sto dormendo? Sto sognando oppure è tutto vero? È
giorno o notte?
«Al loro ritorno mi faranno di nuovo male. Perché? Perché sta
succedendo a me? Non sento neanche un suono. No. Non è vero.
Sento il mio cuore che batte. Il sangue che scorre nelle orecchie. Ho
in bocca un sapore amaro. Probabilmente è vomito incastrato nei
denti. Sento l’odore del cemento. Del mio sudore. Dei miei capelli
sporchi. Odio averli sporchi. Adesso voglio aprire gli occhi. Uno solo.
L’altro è incrostato. Non vedo granché. È tutto sfocato, come se fossi
sott’acqua e guardassi in alto.
«Odio l’attesa. È allora che le immagini prendono il sopravvento sul
cervello. Non sono sicura se siano ricordi o allucinazioni. Vedo lui.
Sempre in nero, la faccia paonazza e imperlata di sudore. Evito i suoi
occhi. Continuo a guardargli le scarpe. Scarpe lucide. La fiamma della
candela è un piccolo verme giallo che danza sul cuoio. Incombe su di
me, enorme e malvagio. Spinge l’orrendo volto puzzolente vicino al
mio. Sento il suo alito rivoltante sulla pelle. Si infuria e mi afferra per
i capelli. Gli si gonfiano le vene. Urla e le sue parole sembrano
provenire da un altro pianeta. O è come se avessi lasciato il mio corpo
e stessi ascoltando da molto lontano. Vedo la sua mano avvicinarsi a
me, stringendo la cosa con tanta forza da farla vibrare. So che sto
tremando, ma sono intorpidita. O sono morta?
«No! Non adesso! Non farlo succedere adesso!
«Le mani mi diventano fredde e formicolanti. Non dovrei parlare di
lui. Non avrei dovuto dire che era orrendo.
«Sì. Stanno arrivando.
«Perché mi sta succedendo questo? Cosa ho fatto? Ho sempre
cercato di essere buona. Di fare quello che diceva la mamma. Non
lasciare che mi uccidano! Mamma, ti prego, non lasciare che mi
uccidano!
«Sento la mente annebbiarsi. Devo smetterla di parlare.»
Silenzio, poi lo scatto-cigolio di una porta che si apre. E che poi si
chiude.
Rumore di passi, senza fretta, sicuri sul pavimento.
«Va’ al tuo posto.»
«No!»
«Non opporre resistenza.»
«Lasciami stare!»
La cadenza del respiro convulso.
Il tonfo di un colpo.
«Vi prego, non uccidetemi.»
«Fa’ come dico.»
Singhiozzi.
Suono di qualcosa che viene trascinato.
Gemiti. Ritmici.
«Sei nelle mie mani?»
«Lurida cagna!» Più forte, più profondo.
Un sommesso raspare.
Uno schiocco metallico.
«Morirai, puttana!»
«Vuoi rispondermi adesso?»
«Troia!»
Tamburellare di dita agitate. Grattare.
«Dammi quello che mi serve!»
Pfff! Un violento getto di saliva.
«Non vuoi rispondere?»
Gemiti.
«Questo è solo l’inizio.»
Scatto-cigolio. Lo sbattere furioso di una porta.
Assoluto silenzio. Singhiozzi sommessi.
«Vi prego, non uccidetemi.
«Vi prego, non uccidetemi.
«Vi prego.
«Uccidetemi.»
2
Le nocche della donna sporgevano pallide sotto la pelle spaccata e
screpolata. Con un dito nodoso premette un pulsante dell’oggetto
nella bustina ermetica.
Nella stanza scese il silenzio.
Rimasi immobile mentre i capelli sulla nuca si sollevavano come
erba nel vento.
Gli occhi della donna rimasero fissi sui miei. Erano verdi, screziati
di giallo, e mi facevano pensare a quelli di un gatto. Un gatto capace
di aspettare, per poi spiccare un balzo con letale precisione.
Lasciai che il silenzio si prolungasse. In parte per calmare i nervi.
Perlopiù per incoraggiare la donna a spiegare il motivo della visita.
Avevo un volo prenotato di lì a poche ore. E così tante cose da
sbrigare prima di recarmi all’aeroporto. Verso Montréal e Ryan. Non
era proprio il momento. Ma dovevo conoscere il significato dei
terribili suoni che avevo appena sentito.
La donna rimase allungata in avanti. Rigida. In attesa. Era alta
almeno un metro e ottanta e indossava jeans, stivali e una camicia
denim con le maniche arrotolate sugli avambracci. I capelli erano
tinti del colore della terra rossa del Roland Garros. Li teneva legati in
una stretta crocchia in cima alla testa.
I miei occhi spezzarono il contatto con lo sguardo felino e vagarono
sulla parete alle spalle della donna. Su un certificato dentro una
cornice il quale dichiarava che Temperance Brennan era un membro
dell’American Board of Forensic Anthropology, l’ABFA. Quell’esame era
stato una rogna.
Ero sola con la mia ospite nei trentasei metri quadrati assegnati
all’antropologo forense dell’MCME, il Mecklenburg County Medical
Examiner. Avevo lasciato la porta aperta. Di solito la chiudo. C’era
qualcosa nella donna che mi metteva a disagio.
Dal corridoio giungevano i classici suoni del luogo di lavoro. Un
telefono che squillava. Il sibilo dello sportello di un frigorifero che si
apriva e lo scatto della chiusura. Le ruote di gomma di una barella
che si dirigeva verso una stanza per le autopsie.
«Le chiedo scusa.» Ero lieta che la mia voce sembrasse calma. «La
receptionist mi ha dato il suo nome, ma non riesco più a trovare
l’appunto.»
«Strike. Hazel Strike.»
Uno scampanellio risuonò nella mia mente. Come mai?
«La gente mi chiama Lucky.» Fortunata.
Non dissi nulla.
«Ma non mi affido mai alla fortuna. Metto impegno in quello che
faccio.» Anche se collocavo l’età di Strike oltre la sessantina, aveva la
voce forte di una ventenne. L’accento suggeriva che probabilmente
era del posto.
«E di cosa si occupa, signorina Strike?»
«Signora. Mio marito è mancato sei anni fa.»
«Mi dispiace.»
«Conosceva i rischi, ma ha scelto di fumare.» L’impercettibile
sollevarsi di una spalla. «Il prezzo si paga.»
«Di cosa si occupa?» ripetei. Volevo che Strike tornasse al punto.
«Faccio tornare i morti a casa.»
«Temo di non capire.»
«Abbino i corpi alle persone scomparse.»
«Questo è il compito delle forze dell’ordine insieme ai coroner e ai
medici legali» dissi.
«E voi professionisti ci azzeccate sempre.»
Trattenni un’altra replica saccente. Strike non si sbagliava. Le
statistiche che avevo letto collocavano il numero di persone
scomparse negli Stati Uniti intorno a novantamila in qualsiasi
periodo, e il numero di resti non identificati negli ultimi
cinquant’anni a più di quarantamila. Secondo l’ultimo conteggio che
avevo visto, il totale dei resti non identificati del North Carolina
ammontava a centoquindici.
«Come posso aiutarla, signora Strike?»
«Lucky.»
«Lucky.»
Strike posò il sacchetto accanto a un fascicolo giallo sulla mia
scrivania. All’interno c’era un rettangolo di plastica grigia, largo più o
meno un paio di centimetri, lungo cinque e spesso uno. Un anello
metallico a un’estremità suggeriva la duplice funzione di registratore
e portachiavi. Un cerchio di denim sbiadito faceva pensare che il
dispositivo un tempo fosse appeso in vita a un paio di jeans.
«Aggeggino notevole» disse Strike. «Attivazione vocale. Due giga di
memoria flash interna. Per meno di cento verdoni.»
Il fascicolo giallo mi chiamava. Con aspetto accusatorio. Due mesi
prima un uomo era morto sulla sua poltrona reclinabile, il
telecomando della tv stretto in una mano. La settimana precedente il
suo corpo mummificato era stato rinvenuto da un padrone di casa
molto scontento. Dovevo concludere questa faccenda e tornare alle
mie analisi. Poi a casa a preparare i bagagli e a lasciare il gatto ai
vicini. Ma quelle voci… Il mio battito faticava a tornare normale.
Aspettai.
«La registrazione dura quasi ventitré minuti. Però i cinque che ha
ascoltato bastano per capire la situazione.» Strike scosse la testa. Il
movimento destabilizzò la crocchia. «Da morire di paura, vero?»
«L’audio è inquietante.» Un eufemismo.
«Dice?»
«Forse dovrebbe farlo ascoltare alla polizia.»
«Lo sto facendo ascoltare a lei, doc.»
«Credo di aver sentito tre voci.» La curiosità stava prenden-do il
sopravvento sulla reticenza a farmi coinvolgere. E anche
sull’apprensione.
«Questa è la mia ipotesi. Due uomini e la ragazza.»
«Cosa stava succedendo?»
«Non lo so.»
«Chi parlava?»
«Ho una teoria su uno dei due.»
«E sarebbe?»
«Possiamo tornare un po’ indietro?»
Gettai una fugace occhiata all’orologio. Non discreta quanto
pensavo.
«A meno che non debba svolgere il “compito” di trovare i nomi ai
morti.» Strike tracciò ironiche virgolette intorno alla parola che avevo
usato poco prima.
Mi appoggiai allo schienale e assunsi la mia espressione da ascolto.
«Cosa sa dei cybersegugi?»
Ecco di cosa si trattava. Mi imposi un tono paziente, ma risposte
brevi.
«I cybersegugi sono dilettanti che si sfidano online per risolvere
vecchi casi irrisolti.» Aspiranti scienziati forensi e poliziotti. Spettatori
fin troppo zelanti di NCIS, Cold Case, CSI e Bones. Questo non lo
aggiunsi.
Le sopracciglia di Strike si congiunsero sopra al naso. Erano scure e
sembravano incongruenti con la pelle chiara e il finto color carota dei
capelli. Mi studiò a lungo prima di replicare.
«La maggior parte della gente muore, ha un funerale, una veglia,
una commemorazione. Ci sono elogi funebri, un necrologio sul
giornale. A qualcuno vengono dedicati ricordini con l’imagine del
volto circondato da angeli, santi e quant’altro. Se sei un pezzo grosso,
magari ti viene intitolata una scuola o un ponte. Questa è la
normalità. È così che affrontiamo la morte. Offrendo un giusto
riconoscimento alle conquiste di una persona.
«Ma cosa succede quando qualcuno scompare? Puf!» Strike simulò
un’esplosione con le dita. «Un uomo esce per andare al lavoro e
svanisce? Una donna sale sull’autobus e non ne scende più?»
Feci per intervenire, ma Strike continuò imperterrita.
«E cosa succede quando salta fuori un corpo senza identità? Sul
ciglio di una strada, in uno stagno, arrotolato in un tappeto e infilato
in un capanno?»
«Come ho già detto, questo è il lavoro della polizia e dei medici
legali. Qui facciamo il possibile perché tutti i resti umani vengano
identificati, qualunque siano le circostanze o le loro condizioni.
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