La sposa del MacKinnon – Tanya Anne Crosby

SINTESI DEL LIBRO:
Qualcuno la stava osservando; lo sentiva.
Page si immobilizzò mentre indossava la sottogonna.
Un rametto si spezzò, il rumore soffocato dalle felci del
sottobosco, e lei abbassò di scatto il lembo di tessuto, concentrando lo
sguardo sulle ombre che si contorcevano nel bosco non troppo distante.
L’oscurità di mezzanotte le impediva di vedere alcunché e solo il silenzio
raggiunse le sue orecchie – un silenzio sceso come la nebbia notturna, senza
forma e innaturale. Cominciò a battere i denti e rimase immobile per un lungo
istante, raggelata e impaurita, ma non sentì altro che i familiari suoni notturni:
il gracchiare delle rane, il frinire dei grilli, l’ululato distante di un lupo.
Un brivido le percorse la spina dorsale. Aveva sentito qualcosa. Ne era
sicura.
Sarebbe stato meglio, si disse, tornare alla sicurezza del mastio – e
probabilmente meditare su quanto poco saggio fosse uscire da sola di notte. I
mesi trascorsi a sgattaiolare fuori dal castello senza che avvenissero incidenti
le avevano fatto abbassare la guardia.
Come aveva già fatto tantissime volte, Page era uscita per fare il bagno
senza curarsi di informare nessuno della sua destinazione – non che a
qualcuno sarebbe importato, si affrettò a dirsi. Quant’era vero Iddio, l’unico
aspetto positivo dell’essere la figlia di un uomo che voleva solo figli maschi
era avere la libertà di fare quello che voleva. Anche se ciò derivava dal fatto
che nessuno si interessava di dove andasse, di cosa facesse o di cosa le
capitasse. E Page non credeva proprio che quella notte fosse diversa dalle
altre.
D’altro canto, lei teneva alla propria incolumità. Ci teneva parecchio. E
non aveva intenzione di diventare preda di uomini o bestie.
Si affrettò a sedersi sul masso dove aveva steso i vestiti e allungò una
mano per sollevare le scarpe consunte dal terreno bagnato di rugiada. Ne
infilò una in fretta e furia, imprecando in silenzio quando il piede bagnato le
rese i movimenti difficili, poi cambiò idea sull’opportunità di perdere tempo a
vestirsi.
La nebbia vorticava attorno ai suoi piedi, avvolgendo le proprie dita
nebbiose attorno alle sue caviglie, inquietandola. Page non era superstiziosa,
ma in quell’istante il cuore le batteva come quello di un topolino inseguito
dal gatto. Dopo aver lanciato un’occhiata alla falce di luna sospesa nel cielo,
balzò in piedi e si chinò in tutta fretta per recuperare il resto degli indumenti.
I suoi occhi cercarono la lucentezza metallica del pugnale sotto la pila di
vestiti, e i capelli bagnati sulla sua nuca si drizzarono quando non lo trovò.
Per amor di Cristo, dove poteva averlo messo?
I vestiti non le sarebbero serviti a nulla se fosse morta. Lasciò cadere il
fagotto e sollevò l’altra scarpa per sbirciare al suo interno, pensando che,
magari, aveva messo lì dentro il piccolo pugnale. Ma non c’era. Soffocò
un’imprecazione, temendo che Dio fosse già pronto a farle trascorrere
l’eternità in Purgatorio per la sua mancanza di rispetto. Ma, dannazione, non
riusciva mai a trattenersi.
Dove poteva essere finito il pugnale?
Un altro ramo si ruppe, più vicino, e Page alla fine decise che, dopotutto,
non aveva bisogno dell’arma. Nell’istante in cui optò per quella scelta, si levò
un grido. Un attimo dopo apparvero degli uomini – tre sagome a malapena
distinguibili che uscirono di corsa dal bosco.
Page non si soffermò a scoprire quali fossero le loro intenzioni.
Lanciando un urlo di paura, si mise a correre, scagliando la scarpa alle
proprie spalle. Risuonò un’imprecazione, ma lei non si curò di voltarsi per
osservare il danno che aveva provocato – sicuramente ridotto, considerato
che la suola era morbida e consunta dal tempo – purtroppo, avrebbe aggiunto!
Aveva sperato di cavare un occhio al suo bersaglio.
Sputando imprecazioni che non amava ammettere di conoscere, corse con
tutte le sue forze verso il castello, lanciando grida d’aiuto nella speranza che
Edwin, il piantone, non fosse così ubriaco da credere di essersele sognate.
Quell’imbecille! Se fosse stato al suo posto, lei non si sarebbe trovata in
quella situazione: non avrebbe potuto lasciare così facilmente il castello.
Eppure sapeva che la colpa non era dell’uomo, ma sua. Avrebbe dovuto
sapere come comportarsi – dannazione alla malasorte.
Il suo cuore batteva più forte a ogni passo.
Come i rintocchi di una campana a morto, il rumore dei passi degli
uomini si fece più rapido.
E vicino.
Page allungò il passo, scattando in avanti grazie a un’iniezione di energia
generata dal terrore. Ignorando il dolore al fianco, si tenne vicino al ruscello
per evitare di andare a sbattere contro l’enorme quercia che sorvegliava il
sentiero per il castello. Che Dio la perdonasse, sperò che gli uomini non la
vedessero e finissero col rompersi il collo.
Il suo petto si muoveva freneticamente. Il dolore al fianco si fece più
acuto mentre oltrepassava di corsa la vecchia quercia. Ma gli uomini
continuarono a tallonarla; le loro falcate erano più ampie, il che rendeva
facile per loro tenere il suo passo.
Non ce l’avrebbe fatta. Non poteva farcela.
Avrebbe voluto mettersi a piangere per la paura e la disperazione.
Di fronte a lei, Castel Aldergh incombeva come una sagoma distante
sullo sfondo del cielo nero come l’ebano.
Distante e irraggiungibile.
Come suo padre.
Il cuore le martellava nel petto.
Non ce l’avrebbe fatta.
Ma continuò a correre, rischiando di fare un tuffo nel ruscello quanto il
sentiero curvò troppo bruscamente.
Le voci degli uomini la inseguivano, indistinguibili le une dalle altre e
aliene, come pipistrelli nell’oscurità di una caverna che le volavano attorno
provenienti da tutte le direzioni.
Per la miseria, dov’erano ora?
Di fronte a lei? Alle sue spalle? Dove?
Non ce l’avrebbe fatta.
Il ruscello le scorreva di fronte, velato dalla nebbia. In lei si riaccese un
barlume di speranza. Forse quegli uomini non sapevano nuotare. Era una
mancanza comune. Forse avrebbe potuto seminarli grazie al riparo della
nebbia.
Una mano si allungò a sfiorarle la gamba, col rischio di strapparle la
camicia da notte, seguita da una sfilza di imprecazioni indistinguibili quando
l’inseguitore si rese conto di averla mancata. Ma la paura scatenata dal
contatto le fece prendere una decisione. Non poteva permettersi di perdere
tempo a meditare sulle possibili conseguenze. Agitando le braccia, si tuffò
nel torrente. Le gambe la seguirono come un peso morto. Atterrò
bruscamente sul ventre e l’acqua gelida la schiaffeggiò in viso. L’impatto
risuonò per tutto il suo corpo, lasciandola frastornata, ma Page si riprese in
fretta. Ignorando il dolore fisico, nuotò con tutta la propria forza verso la riva
opposta, tenendo le orecchie tese per cogliere eventuali rumori che
suggerissero che era ancora inseguita. Fu travolta dal sollievo quando non
ne udì.
Grazie a Dio! Grazie a Dio!, pensò.
Anche dopo che ebbe raggiunto la riva, non vide traccia dei suoi
inseguitori; udì solo grida e imprecazioni difficili da comprendere, che
provenivano da un punto lungo la riva opposta. Ma non osava esultare. Se
costoro conoscevano anche solo vagamente la conformazione del territorio,
di certo sapevano che, a poche centinaia di metri, il torrente terminava e
avrebbero potuto incrociarla nuovamente lungo la via per il castello. Page
non intendeva correre rischi. Uscì dall’acqua zuppa fino alle ossa e si diresse,
invece, verso il santuario nella foresta. Gli uomini avrebbero potuto pensare
che si fosse diretta verso il castello – come del resto le gridava di fare
l’istinto. Era più logico fare qualcosa di inaspettato.
Se fosse riuscita a rifugiarsi nei boschi – e, chissà, magari ad arrampicarsi
su un albero – avrebbe potuto aspettare che i suoi inseguitori si stancassero di
cercarla e se ne tornassero a casa. Era probabile che si trattasse di semplici
briganti e che lei fosse capitata da quelle parti nel momento sbagliato. Era
sicura che, messi di fronte all’alternativa tra cercare per tutta la notte una
donna senza volto da derubare o andare in cerca di vittime che avrebbero
fruttato loro più denaro, i fuorilegge si sarebbero presto stancati e avrebbe
deciso di lasciarla in pace.
Incoraggiata, Page riprese a correre ansimando e col cuore che
martellava. La sottogonna bagnata le si appiccicò alle gambe. Mentre
correva, cercò di non inciampare quando si voltò a guardarsi alle spalle per
essere sicura che non la stessero seguendo. Ancora una volta fu travolta dal
sollievo, perché non vide traccia degli aggressori.
Un senso di euforia la invase.
Ce l’avrebbe fatta, dopotutto!
Quello, purtroppo, fu il suo ultimo pensiero coerente prima di voltarsi e
andare a sbattere contro un albero.
O almeno le parve che fosse un albero.
L’impatto la fece cadere a terra e la lasciò stordita. Rimase immobile,
stupefatta, a fissare il gigante d’uomo che aveva urtato.
Santo cielo, quanto era alto.
Un attimo dopo, gli altri la circondarono. Lo stordimento le impedì di
mettere a fuoco i loro volti, ma le parve di vederli sorridere, denti privi di
corpo illuminati dalla luce della luna.
“Ah, cribbio, l’hai rincitrullita,” le parve che dicesse uno.
“Bah, si riprenderà,” esclamò un altro.
Scozzesi.
Erano dei dannatissimi scozzesi.
La loro cadenza li tradiva. Ma quello fu l’ultimo pensiero che Page riuscì
a formulare prima che l’oscurità la ingoiasse.
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