La cattedrale dei vangeli perduti -Fabio Delizzos

SINTESI DEL LIBRO:
14 dicembre
Il bambino si fermò sulla porta e rimase in silenzio a guardare suo padre che
puliva le armi: stava lucidando una lama dritta usando un canovaccio e, come
sempre, quando era impegnato in quel lavoro, aveva un’espressione solenne e
meditativa, anche se di tanto in tanto faceva una lieve smorfia di dolore e
scrollava la mano destra muovendo la spalla.
Erano i nervi e le ossa che gli facevano male, che s’infiammavano quando il
tempo era brutto, perché tanti anni prima suo padre era volato giù da una
finestra mentre lottava con un criminale.
Il bambino lo ammirava. Sognava di diventare come lui, da grande.
Adesso sul tavolo davanti a suo padre c’erano uno stocco uguale a quello che
stava lucidando, una katana giapponese costruita dal suo migliore amico, un
pugnale fabbricato a Toledo e un meraviglioso falcetto di manifattura turca. Il
bambino sapeva che il migliore amico di suo padre, colui che aveva forgiato
la spada giapponese, era morto da cinque anni; si chiamava Ariel Colorni ed
era il padre naturale di Sara.
Il fanciullo si schiarì la voce: «Vi disturbo?»
«Tu non mi disturbi mai, Ariel», gli disse Raphael senza distogliere lo
sguardo dall’arma. «Vieni pure». Posò con delicatezza lo stocco sul piano e
guardò il bambino, ancora fermo sulla soglia. «Qualcosa non va, figliolo?».
Ariel, cinque anni, capelli color ambra e guance punteggiate di piccole
efelidi dorate, gli corse incontro e lo abbracciò.
«Cosa ti prende?»
«Niente», disse, e schiacciò la guancia contro la sua spalla.
«Mi avevi dato la tua parola d’onore: nessuna bugia».
«Sì».
«Allora dimmi».
«Ve ne andate di nuovo?»
«No».
«Allora perché state pulendo le armi?»
«Per riporle nella cassa».
«Non dovete andare a proteggere quell’uomo di cui non si può dire il nome a
nessuno?»
«No, figliolo. Ho finito con quel lavoro».
«Non ha più bisogno della vostra protezione?»
«Sì, ma vuole che io trascorra un po’ di tempo con mio figlio».
«È un uomo buono, allora».
«Certo che lo è: è il papa!».
Ariel sorrise. «Resterete a casa come quando ero piccolo?».
Raphael affondò le labbra nella sua chioma tiepida e profumata, poi gli prese
le spalle e lo spinse indietro per guardarlo dritto negli occhi. «D’ora in avanti
avrò più tempo per stare con te», gli disse. «E quando tornerà la bella
stagione ti porterò di nuovo nel bosco, e ti insegnerò a costruire altre trappole
per catturare vivi gli uccellini, senza fargli male. E li farai volare via dalle tue
mani, come piace a noi».
Il bambino provò a mostrarsi contento, ma stavolta non ci riuscì. «Allora,
finché non riceverete altri ordini starete a casa con noi?»
«Certo».
Ariel scosse la testa, scettico. «Tanto so che gli ordini arriveranno, perché il
duca ha sempre cose da chiedervi. Voi siete forte e sapete usare bene il
cervello, la spada e la pistola».
«Chi ti dice queste cose su di me?», rise Raphael.
«Me le raccontava la mamma. E Sara ha detto che è tutto vero».
«Vedrai che almeno per un po’ di tempo non arriverà nessun ordine». Gli
strofinò i capelli strappandogli una risata. «Il papa mi ha appena lasciato
libero, quindi…».
«Sara ha detto che è vecchio».
«Non così tanto. Ma non è in salute: mangia male, beve e si strapazza troppo
con le sue cortigiane».
Dai dischetti smeraldini al centro degli occhi di Ariel baluginò una luce
curiosa. «Cosa sono le cortigiane?».
Raphael drizzò la testa reprimendo la voglia di ridere. «Sono donne che non
hanno un marito o un fidanzato, e non sono suore. Si uniscono agli uomini a
pagamento. E molte di loro sono malate, di un male contagioso».
«Contagioso?»
«Crescendo capirai questo genere di cose», disse alla fine, riprendendo in
mano la spada e il panno. «Serve tempo».
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