La principessa di ghiaccio – Camilla Läckberg

SINTESI DEL LIBRO:
La casa era deserta, vuota. Il gelo penetrava in ogni recesso. Nella vasca si
era formata una sottile pellicola di ghiaccio, e lei aveva cominciato ad
assumere un aspetto leggermente bluastro.
Gli parve che somigliasse a una principessa, lì stesa. Una principessa di
ghiaccio.
Il pavimento su cui stava seduto era gelido, ma il freddo lo lasciava
indifferente. Allungò la mano e la sfiorò.
Il sangue sui polsi si era seccato da tempo.
L'amore che provava per lei non era mai stato così intenso. Le accarezzò il
braccio, come se accarezzasse l'anima che aveva ormai lasciato quel corpo.
Andandosene, non si voltò. Non era un addio, ma un arrivederci.
Eilert Berg non era una persona felice. Il fiato bianco che gli usciva a
sbuffi dalla bocca indicava che respirare gli costava un certo sforzo, ma il suo
problema principale non era la salute.
Svea era bellissima, da giovane, tanto che Eilert aveva fatto fatica a
dominarsi fino alla fatidica prima notte di nozze. E lei pareva remissiva,
gentile e un po' timida. Ma la sua vera natura era emersa dopo un periodo di
passione giovanile durato decisamente troppo poco. Ormai erano quasi
cinquant'anni che lo teneva nel suo pugno di ferro. Eilert però aveva un
segreto. Per la prima volta intravedeva la possibilità di conquistarsi,
nell'autunno dell'esistenza, un po' di libertà, e non aveva intenzione di
lasciarsela scappare.
Per tutta la vita si era sfiancato con la pesca, e le entrate erano bastate
giusto giusto per mantenere Svea e i figli. Da quando poi aveva smesso di
lavorare, avevano dovuto vivere della sua magra pensione. Senza un po' di
soldi in tasca, non avrebbe avuto modo di rifarsi una vita altrove, da solo.
Quella possibilità invece era giunta come un dono del cielo, e oltretutto era di
una semplicità al limite del ridicolo. Ma se qualcuno era disposto a pagare
una cifra esorbitante per un'oretta di lavoro alla settimana erano fatti suoi. Lui
non se ne sarebbe certo lamentato. Nel giro di un solo anno le banconote
nella cassetta di legno dietro il compost erano arrivate a formare un discreto
gruzzolo, e tra poco gli avrebbero permesso di partire per latitudini più calde.
Si fermò a prendere fiato lungo la ripida salita e si massaggiò le mani
indolenzite dai reumatismi. La Spagna o forse la Grecia sarebbero state in
grado di sciogliere quel gelo che veniva da dentro. Eilert calcolava di avere
davanti almeno una decina d'anni prima di andare all'altro mondo, e aveva
tutta l'intenzione di sfruttarli al massimo. Quindi, col cavolo che li avrebbe
passati con quella befana che aveva a casa.
La passeggiata alle prime luci dell'alba era da tempo il suo unico momento
di calma, e in più gli dava l'occasione di fare quel po' di movimento di cui
aveva sicuramente bisogno. Seguiva sempre lo stesso percorso, e chi
conosceva le sue abitudini usciva spesso a scambiare due parole con lui. Un
particolare piacere gli derivava dalle brevi chiacchierate con la bella ragazza
della casa in cima alla salita che portava alla Håkebackenskola. Era lì
esclusivamente nei fine settimana, sempre da sola, ma si concedeva volentieri
qualche minuto per parlare del più e del meno. Tra l'altro la signora
Alexandra era anche interessata alla Fjällbacka di un tempo, un argomento
che Eilert affrontava volentieri. E poi, a guardarla c'era da rifarsi gli occhi:
pur essendo vecchio, se ne intendeva ancora. Certo, si era spettegolato
parecchio su di lei, ma se si fosse dato ascolto alle chiacchiere delle comari
non sarebbe rimasto tempo per fare altro.
Poco più di un anno prima gli aveva chiesto se gli andava l'idea di fare una
capatina a casa sua ogni venerdì mattina, visto che comunque passava di lì.
L'edificio era vecchio e sia la caldaia che le tubature erano inaffidabili, non le
avrebbe fatto piacere trovare le stanze gelide arrivando per il fine settimana.
Gli avrebbe dato la chiave in modo che potesse entrare e controllare che fosse
tutto a posto. Nella zona c'erano stati diversi furti con scasso, quindi avrebbe
dovuto accertarsi anche che non ci fossero state effrazioni.
L'incarico non gli era parso pesante, e una volta al mese quando passava
trovava nella cassetta della posta una busta per lui contenente quella che ai
suoi occhi era una somma principesca. Oltretutto gli piaceva sentirsi utile in
qualche modo. Era difficile stare con le mani in mano, dopo avere passato
una vita intera a lavorare.
Quel giorno, quando lo aprì spingendolo in dentro sul vialetto d'ingresso, il
cancello sbilenco protestò. La neve non era stata spalata ed Eilert pensò che
la signora Alexandra avrebbe dovuto chiedere aiuto a uno dei ragazzi. Non
era un lavoro da donne, quello.
Armeggiò con la chiave, stando ben attento a non lasciarla cadere nella
neve alta. Se fosse stato costretto a inginocchiarsi, non sarebbe più riuscito a
tirarsi su. I gradini della verandina erano ghiacciati e scivolosi, ma per
fortuna c'era il corrimano. Eilert stava per infilare la chiave nella toppa
quando si accorse che la porta era socchiusa. Perplesso, l'aprì ed entrò
nell'ingresso.
«C'è qualcuno in casa?»
Possibile che la signora Alexandra fosse arrivata prima del previsto? Non
rispose nessuno. Eilert vide il respiro condensato uscire dalla bocca e si rese
improvvisamente conto che la casa era gelida. D'un tratto non seppe che pesci
pigliare. Qualcosa non andava, e non sembrava che si trattasse solo di una
caldaia rotta.
Attraversò l'ingresso. Non era stato toccato niente. La casa era in ordine
come al solito. Videoregistratore e televisore erano al loro posto. Dopo avere
passato in rassegna tutto il pianterreno, Eilert imboccò la scala per salire a
quello superiore. Era ripida, tanto che dovette tenersi al corrimano. Una volta
di sopra, andò prima di tutto in camera da letto. Era una stanza femminile, ma
di buon gusto e in ordine come il resto della casa. Ai piedi del letto, rifatto,
c'era una valigia ancora chiusa. D'un tratto si sentì vagamente stupido. Forse
era arrivata un po' prima del solito, si era accorta del guasto alla caldaia ed
era uscita a cercare qualcuno che potesse ripararla. No, non credeva neanche
lui alla propria spiegazione. Qualcosa non andava: lo sentiva nelle giunture,
come a volte percepiva l'avvicinarsi di una tempesta. Proseguì cauto il suo
sopralluogo. La stanza successiva era una grande mansarda con il tetto
spiovente e le travi di legno. Ai lati di un camino, due divani uno davanti
all'altro. Alcuni giornali sparsi sul tavolino, per il resto tutto al suo posto.
Tornò al piano inferiore. Anche lì gli parve di non notare niente fuori dal
normale. L'unica stanza rimasta era il bagno. Qualcosa lo indusse a esitare
prima di aprire la porta. Regnava ancora il silenzio più assoluto. Rimase lì,
incerto, ma poi si rese conto di essere ridicolo e spinse deciso la porta.
Qualche secondo dopo stava correndo verso l'ingresso alla massima
velocità consentitagli dall'età. All'ultimo momento si ricordò che i gradini
erano scivolosi e si afferrò al corrimano un attimo prima di precipitare a
capofitto. Arrancò nella neve lungo il vialetto e imprecò contro il cancello
che non voleva aprirsi. Una volta sul marciapiede si fermò, spaesato. Poco
più giù, lungo la salita, vide avvicinarsi a passo veloce una figura, e subito
dopo riconobbe la figlia di Tore, Erica. La chiamò, gridandole di fermarsi.
Era stanca. Stanca da morire. Erica Falck spense il computer e andò in
cucina a riempirsi di caffè la tazza per la seconda volta. Si sentiva sotto
pressione su tutti i fronti. L'editore voleva una prima bozza del libro entro
agosto e lei aveva appena cominciato. Il libro su Selma Lagerlöf, la sua
quinta biografia su una scrittrice svedese, doveva essere il migliore di tutti,
ma Erica aveva esaurito la voglia di scrivere. Sebbene fosse trascorso più di
un mese dalla morte dei suoi genitori, il dolore era ancora palpabile come il
giorno in cui le era stata data la notizia. Oltretutto, sgombrare la casa della
sua infanzia si era rivelato un compito molto meno facile di quanto avesse
sperato. Tutto risvegliava in lei ricordi. Ogni scatolone che preparava
richiedeva ore di lavoro: qualsiasi oggetto le capitasse tra le mani le riversava
addosso immagini di una vita che a tratti le pareva vicinissima e a tratti
incredibilmente lontana. Ma era giusto che ci mettesse il tempo che ci voleva.
Per il momento aveva subaffittato l'appartamento a Stoccolma: poteva
benissimo scrivere lì, nella casa dei genitori a Fjällbacka. Era ai margini del
paese, nella frazione di Sälvik, dove regnavano pace e tranquillità.
Erica si sedette nella veranda e spaziò con lo sguardo sull'arcipelago. Il
panorama non smetteva mai di toglierle il respiro. Ogni cambio di stagione
portava con sé un nuovo spettacolare scenario, e quel giorno sfoggiava un
sole accecante che proiettava sul ghiaccio spesso una cascata di bagliori. Suo
padre avrebbe adorato una giornata come quella.
La gola le si chiuse e l'aria le parve improvvisamente soffocante. Decise di
fare una passeggiata. Dato che il termometro segnava meno quindici si coprì
bene, uno strato dopo l'altro. Quando si ritrovò fuori dalla porta rabbrividì
ugualmente, ma le bastò percorrere un breve tratto a passo sostenuto per
scaldarsi.
Fuori regnava una pace rigenerante. In giro non c'era nessuno. L'unico
rumore che sentiva era quello del suo respiro. Il contrasto con i mesi estivi,
quando il paesino brulicava di vita, era netto. Erica preferiva restare alla larga
nel periodo delle ferie. Pur sapendo benissimo che la sopravvivenza della
comunità dipendeva dal turismo, non riusciva a scuotersi di dosso la
sensazione che ogni estate Fjällbacka venisse invasa da un gigantesco sciame
di cavallette, un mostro dalle tante teste che lentamente, un anno dopo l'altro,
fagocitava il vecchio paesino di pescatori acquistando case vicino al mare e
trasformandolo in un villaggio fantasma per nove mesi all'anno.
Per secoli la pesca aveva rappresentato per Fjällbacka l'unico mezzo di
sostentamento. Le asperità dell'ambiente e la continua lotta per la
sopravvivenza in cui tutto dipendeva dagli spostamenti dei banchi di aringhe
avevano forgiato una popolazione temprata e forte. Ma da quando Fjällbacka,
a mano a mano che la pesca perdeva la sua importanza come fonte di reddito,
era diventata un luogo pittoresco che attirava turisti dai portafogli gonfi, a
Erica sembrava che i residenti camminassero con la schiena sempre più
curva. I giovani si trasferivano e i vecchi sognavano i tempi andati. Lei stessa
era una dei tanti che avevano scelto di andarsene.
Accelerò ulteriormente l'andatura e svoltò a sinistra verso la salita che
portava alla Håkebackenskola. Avvicinandosi alla cima, sentì Eilert Berg che
le gridava qualcosa, ma non riuscì a distinguere le parole. Agitava le braccia
e le andava incontro.
«È morta!»
Eilert aveva il respiro corto e affannoso, e dal petto gli usciva un fischio
preoccupante.
«Si calmi, Eilert! Cos'è successo?»
«È là dentro, è morta!»
Stava indicando la grande casa di legno verniciata d'azzurro in cima alla
salita, guardandola implorante.
Erica impiegò qualche secondo a registrare le parole, ma quando le si
furono impresse nella coscienza spinse il cancello recalcitrante e avanzò
arrancando nella neve fino alla porta d'ingresso. Il vecchio l'aveva lasciata
aperta ed Erica oltrepassò cauta la soglia, chiedendosi cosa doveva aspettarsi
di trovare. Per qualche motivo non aveva pensato di chiederlo a lui.
Eilert la seguì esitante, indicando con un gesto muto il bagno. Erica evitò
mosse precipitose. Si girò verso il vecchio e gli rivolse uno sguardo
interrogativo. Era pallido, e la voce gli s'incrinò.
«Lì dentro.»
Era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che Erica aveva messo
piede in quella casa, ma la conosceva e sapeva da che parte si trovava il
bagno. Rabbrividì, nonostante fosse ben coperta. La porta si aprì lentamente e
lei entrò.
Non sapeva esattamente cosa si fosse aspettata di trovare, ma non era
preparata al sangue. Il bagno era piastrellato di bianco e l'effetto del sangue
dentro la vasca e tutt'intorno risultava tanto più intenso. Per un brevissimo
istante fu colpita dalla bellezza di quel contrasto, ma subito si rese conto che
quello che si trovava immerso nell'acqua era un essere umano.
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