La pietra lunare di Satapur – Sujata Massey

SINTESI DEL LIBRO:
Perveen Mistry sospirò e si aggiustò il cappello sulla fronte sudata.
Erano le sei e mezzo del mattino e c’erano già ventotto gradi.
Cavalcare al piccolo galoppo nel maneggio del Royal Western India
Turf Club, senza peraltro riuscire a tenersi davvero al passo con la
sua amica Alice, costituiva un esercizio troppo intenso.
Alice Hobson-Jones montava Kumar, un grande baio rampollo di
una stirpe di purosangue da corsa. Era diventato un cavallo da
maneggio perché un po’ troppo basso per le competizioni, ma
restava comunque un principe tra i cavalli, e considerando che Alice
sfiorava il metro e ottanta, in coppia dominavano la pista.
Perveen, con il suo metro e sessanta scarso, era stata ben lieta
di vedersi assegnare una femmina di pony, che si era augurata fosse
più docile. Dolly era così bassa che Perveen era riuscita a issarsi in
sella da sola senza l’aiuto degli stallieri, imbarazzante rituale cui
doveva assoggettarsi quasi ogni volta che montava. D’altra parte la
cavallina era tutt’altro che disponibile a seguire la direzione che
Perveen cercava di imporle a colpetti di piede. Non era certo una
grande amazzone, e a quanto pareva Dolly ne era consapevole.
Eppure la cavalcata era meno spaventosa di quelle che le erano
toccate in Inghilterra, quando Alice la portava ai week-end in
campagna e Perveen si ritrovava in groppa a cavalli enormi. Adesso
i ruoli si erano invertiti. Perveen era tornata a casa, a Bombay, per
esercitare la professione forense, mentre Alice, in visita prolungata,
stava cercando di ottenere un incarico d’insegnamento. Nella città in
cui i Mistry risiedevano da quasi trecentocinquant’anni gli agganci
familiari di Perveen aprivano molte porte, e sembrava probabile che
Alice potesse assicurarsi una docenza di matematica al Wilson
College.
Quella settimana Alice si era data da fare per convincere
Perveen ad alzarsi presto per montare, per ben tre volte, alle sei del
mattino. All’inizio le era sembrata un’idea allettante. Le piogge erano
finite e la città era di nuovo vivibile, ma appena il sole si alzava
tornava a essere torrida e ventosa.
Completando il giro, Perveen vide che Sir David Hobson-Jones, il
padre di Alice, si trovava al bordo della pista. Nonostante fosse a
Bombay da appena due anni, era nel comitato direttivo del Western
India Turf Club. Cose che capitavano, se si faceva parte della
ristrettissima cerchia dei tre consiglieri principali del governatore.
Sir David sorrise e fece un ampio gesto con la mano. Perveen
continuò a trotterellare, occupata a tenere la schiena dritta. Mentre
gli passava davanti Sir David ripeté il medesimo gesto, stavolta con
più decisione.
La stava chiamando.
Le si strinse lo stomaco. Forse era venuto a dirle che qualcuno
del club si era lagnato alla vista di un’amazzone indiana: a quanto le
risultava non c’erano altri cavalieri indiani.
Perveen detestava dover spronare la puledra, ma le avevano
insegnato che era quello il modo per far muovere i cavalli. Dolly la
ignorò. Fu solo dopo che le ebbe assestato qualche altro colpetto
che la cavallina si spostò con riluttanza dal galoppatoio all’area
vicino all’ingresso, dove gli stallieri erano pronti ad assistere i
cavalieri. Un ragazzino ossuto le tenne ferma la cavalcatura mentre
Perveen smontava con scarsa grazia. Si stava ripulendo le mani
impolverate sulla gonna da amazzone quando Sir David si avvicinò.
Indossava un completo candido che sembrava del tutto inadatto
all’equitazione.
«Buongiorno, Sir David. Lei ha già montato?» Cercò di apparire
meno turbata di quanto si sentiva. Se stava per essere cacciata da
quel club di europei a causa della sua razza, non intendeva certo
arrendersi senza protestare. Sir David ignorava la sua appartenenza
all’Indian National Congress, un gruppo di indiani che si battevano
per i diritti civili. Per lui Perveen era semplicemente l’ex compagna di
studi di sua figlia Alice a Oxford, nonché una giovane avvocatessa
che si stava facendo strada sulla scena legale di Bombay.
Fece segno di no. «Sono passato solo per una rapida colazione
prima di andare al Secretariat. Qui le uova sono ottime. Vuole unirsi
a me?»
La buona notizia era che non stava per essere cacciata. Però
non le andava l’idea di allontanarsi senza avvertire Alice.
«Ma sono…» Perveen indicò il proprio abbigliamento da
equitazione, non un completo sportivo di tweed come quello di Alice,
ma una giacca di cotone leggero con una voluminosa quanto
sorpassata gonna pantalone, l’unico indumento che secondo sua
madre era adatto per una donna indiana che intendeva dedicarsi a
un’attività così eccentrica come montare a cavallo.
«Non si preoccupi. In veranda sono tutti in tenuta da equitazione.
Sarò io l’unico fuori posto».
Perveen continuava a sentirsi a disagio. «Ma Alice…»
«Saprà dove trovarci». Il principale consigliere del governatore
abbassò la voce e disse: «Ho comunque una questione d’affari di cui
vorrei discutere con lei, prima che Alice ci raggiunga».
La prospettiva di una questione d’affari era molto gradita a una
giovane legale di Bombay, abbastanza conosciuta ma non occupata
quanto avrebbe voluto. Nello spogliatoio delle signore Perveen si
ripulì alla meglio dalla polvere che la pista le aveva lasciato sulle
mani e sulla faccia, e si spazzolò i capelli prima di raccoglierli di
nuovo in cima alla testa. Lasciò perdere il casco coloniale che aveva
indossato prima, sebbene la sua assenza rivelasse l’evidente riga
rossa che le aveva lasciato sulla fronte. Al suo ingresso in veranda si
sentì addosso numerosi sguardi britannici: era perché l’avevano
vista in compagnia di Sir David, o per quella stupida gonnellona?
Sir David le indirizzò un gesto di invito che suscitò un coro di
mormorii.
«Mi sono preso la libertà di ordinarle la colazione» le disse.
«Dopo il club andrà direttamente al lavoro, vero?»
«Cerco di aprire lo studio prima delle otto» rispose lei assumendo
il suo miglior tono professionale. «È l’unico momento in cui posso
dedicarmi alle carte senza interruzioni».
«Certo. Come le dicevo, potrei avere una proposta interessante
per lo studio Mistry».
Si sporse verso di lui con tanto entusiasmo che rischiò di
rovesciare sul piattino la tazza vuota. «Qualcuno di sua conoscenza
ha bisogno di un legale?»
Un cameriere snello in giacca dal colletto rigido le raddrizzò la
tazza e le versò uno zampillo dorato di Darjeeling. Sir David sorrise
con benevolenza. «Sì, serve a me».
Lo fissò con attenzione. Aveva per caso qualche problema al
lavoro? «Si ricordi che io sono un procuratore legale. La corte di
Bombay ancora non consente alle donne di patrocinare le cause in
tribunale, ma mio padre potrebbe…»
«Questo è irrilevante» intervenne lui, interrompendo la
spiegazione. «Ha sentito parlare della Kolhapur Agency?»
Quella semplice domanda la sorprese. Zuccherando il tè rispose:
«Certo. È la sezione dell’amministrazione pubblica che si occupa
dello stato del Kolhapur, e rientra nell’ambito della Bombay
Presidency».
«È un po’ più di questo» spiegò lui. «La Kolhapur Agency
esercita la propria autorità sui venticinque stati feudali e principeschi
dell’India Occidentale. I funzionari del l’Agenzia sono residenti e
agenti amministrativi che mantengono i rapporti tra questi stati e
l’India britan nica».
Perveen si vergognò per non aver saputo quanti fossero gli stati
controllati dalla Kolhapur Agency. In ogni caso, perché gliel’aveva
chiesto?
Il giovane cameriere tornò per servire a ciascuno di loro un piatto
di uova strapazzate, pane tostato e aringhe affumicate. Le uova
apparivano soffici, il pane tostato era imburrato alla perfezione, ma a
Perveen non piacevano le aringhe. Decise di assaggiarne una, in
segno di cortesia per il suo ospite.
Era sempre così, con gli inglesi. Un indiano non poteva sperare
di prosperare senza contatti con loro, ma questo non significava
doverne adottare usi e costumi. Mentre spargeva peperoncino verde
sulle sue uova rifletté sul quadro che Sir David aveva tratteggiato. Il
governo britannico aveva potere sul cinquanta per cento circa del
subcontinente, mentre il resto dell’India era un mosaico di stati,
staterelli e territori governato da hindu, musulmani e qualche sikh. In
cambio della loro parziale indipendenza dal dominio britannico, le
famiglie reali versavano cospicue tasse agli inglesi, in contanti e con
una parte dei raccolti. Inoltre, come aveva fatto intendere Sir David,
ciascuno stato doveva comunque ottemperare ai desideri degli
agenti amministrativi.
Sir David si infilò in bocca una delle aringhe e la masticò di gusto,
prima di continuare la conversazione. «Al momento la Kolhapur
Agency si trova in difficoltà. Ci hanno chiesto di aiutarli a trovare un
investigatore legale che possa recarsi laggiù per assisterli in una
questione con uno dei loro stati più settentrionali».
«Molto interessante» disse Perveen, che aveva già messo in
moto il cervello per potergli proporre il legale più adatto
all’incombenza. «Mi dica di più. Da quanto lo stanno cercando? E
per quanto tempo dovrebbe durare l’incarico?»
«La questione è emersa durante la riunione della scorsa
settimana, e tutti i presenti hanno concordato con me che lei è
probabilmente l’unica persona in tutta l’India in grado di ricoprire
l’incarico».
Perveen rischiò di lasciarsi sfuggire la tazza di mano, ma riuscì a
controllarsi. Non ci pensava neppure a lavorare per quell’Inghilterra
che fin dal Seicento teneva schiacciata l’India sotto la sua zampa
d’elefante. Ciononostante, doveva mostrarsi diplomatica. Rispose
con cautela: «Sono onorata che mi abbia presa in considerazione
per un incarico governativo, ma non potrei mai lasciare lo studio di
mio padre. Mi ha promossa socia solo il mese scorso».
«Congratulazioni! Resta il fatto che lo studio si occupa di clienti
disposti a pagare una congrua parcella, non è forse questo lo scopo
di avere uno studio legale?»
Perveen annuì circospetta.
«Le assicuro che si tratterebbe di un singolo incarico, che
probabilmente non richiederà più di una settimana sul posto e
qualche altro giorno da fatturare, una volta rientrata a Bombay, per la
stesura del rapporto». Si interruppe. «Ha assaggiato l’aringa
affumicata? Le preparano con pesce locale, non con le solite aringhe
scozzesi».
Un pesciolino locale piccolo e liscoso che lei aveva sempre
considerato buono solo come esca, e non certo adatto al consumo.
Riluttante, lo assaggiò. Mentre masticava lo sgradevole pesce, cercò
di riflettere.
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