La lunga estate calda del commissario Charitos – Petros Markaris

SINTESI DEL LIBRO:
Spieghi la candidata perché ha scelto questo argomento.”
Indossa una blusa rossa e quei jeans che non si toglie quasi mai. È come se
la vedessi con indosso gli abiti di sempre. L’unica differenza è la giacca blu con
una spilla sul risvolto, che ha messo appositamente per l’occasione. Le brilla il
viso in un insieme di ansia e caldo, perché siamo a giugno e a Salonicco l’umidità
è insopportabile.
“Perché credo, signor professore, che i problemi facili da affrontare, quelli
complessi e persino quelli irrisolti oltrepassino i confini di separazione tra le
scienze. Non sono più né squisitamente giuridici, né solamente politici. Volevo
misurarmi con un problema del genere. O, per dirla altrimenti, volevo mostrare
che il problema del terrorismo non si risolve che tramite un approccio
interdisciplinare.”
Ha lo sguardo fisso sui professori. Ha intrecciato le dita e tiene le mani
strette e unite, come se l’una dovesse impedire all’altra qualche movimento
inconsulto. Evita di voltarsi verso l’aula dove siamo seduti noi. Forse teme che,
incrociando i nostri sguardi, possa entrare in confusione.
Da quanti anni aspettavo questo momento? All’inizio, quando contavo solo
fino alla laurea, quattro, al massimo cinque se rimaneva indietro su qualche
esame. Poi è stata la volta del dottorato e son diventati otto. Da otto anni faccio
e rifaccio i conti sullo stipendio, sperando che sia miracolosamente aumentato,
ci metto dentro l’affitto e le spese di casa, calcolo i vestiti e le camicie che
compro, le scarpe di Adriana, non faccio che fare i conti… a un certo punto,
davanti a me hanno cominciato a passare, invece dei biglietti da mille e
cinquemila dracme, quelli da venti e da cinquanta euretti, ma io non ci ho fatto
caso, ho continuato a fare i conti. Ma alla fine, dopo otto anni, sono arrivato alla
fine degli studi di Caterina.
“È possibile considerare la privazione della vita che si verifica nel caso di un
attentato terroristico come un’azione giuridicamente paragonabile alla privazione
della vita che ha come movente l’asportazione di beni di proprietà della
vittima?”
“Ma cosa studia a fare?” mi dicevano i colleghi in Centrale.
“Fosse un ragazzo, d’accordo. Un ragazzo deve fare carriera perché domani
si sposerà, metterà su famiglia. Ma una ragazza?
Iscrivila alla scuola di polizia, la faranno entrare di ruolo da qualche parte e
avrà uno stipendio sicuro per tutta la vita. E se proprio non vuole fare la
poliziotta, allora mandala in qualche istituto tecnico, che impara un mestiere e
un domani potrà arrotondare le entrate di casa sua.“
Quando ho annunciato che era entrata a Giurisprudenza a Salonicco, mi
hanno guardato tutti un po’ perplessi, con quell’aria di chi pensa “sei tonto ma
non te lo dico”. Ogni tanto mi chiedevano: “Come sta Caterina?”, “Come va
l’università?”, “Quando si laurea?”. Quando ho detto loro, a denti stretti, quasi
vergognandomi, che si era laureata ma continuava con il dottorato, è piombato
lo stesso silenzio di tomba che avevo già incontrato ai tempi dell’iscrizione
all’università. Solo Tzavaràs, della Sezione Anticrimine Economico, mi ha detto:
“Ti stai mettendo nei casini”.
“Se nell’un caso abbiamo come movente dell’azione criminosa la
disperazione politica di un popolo oppresso e nell’altro l’arricchimento illegale,
allora possiamo certo dire che il delitto è lo stesso in entrambi i casi, ma forse,
all’atto della valutazione della pena, il giudice potrebbe giungere a una
differenziazione.”
Guardo Adriana, che siede a tre posti di distanza. Ha trovato come
giustificazione per stare per conto suo il fatto che voleva stare proprio di fronte
a Caterina, per guardarla meglio. Ha indossato tutti i gioielli che le sono rimasti
di sua madre, l’anello che le ho regalato io per il fidanzamento, quello del
matrimonio più la collana che le ho regalato quando è nata Caterina.
“Com’è che ti sei bardata in questo modo, andiamo a qualche ricevimento?”
le ho chiesto quando l’ho vista pronta per uscire.
“Se non mi metto i gioielli per festeggiare mia figlia, quando me li metto? Me
li metterò un’altra volta quando si sposerà e poi li rinchiuderò in qualche cassetta
di sicurezza.”
“Come deve, il paese legale, affrontare il fenomeno del terrorismo?”
Ogni volta che giunge una nuova domanda, sul viso di Adriana si dipinge
l’ansia e il suo sguardo cerca disperatamente la figlia. Le trema il cuore al
pensiero che Caterina non sappia rispondere e la boccino, neanche fosse agli
esami di ammissione all’università. Ha stretto nel pugno un fazzolettino. Finora
non l’ha usato, ma probabilmente lo tiene pronto in caso di bisogno.
“A che le servono le università e i dottorati, Kostas? Che diventi una brava
donna di casa e trovi un bravo ragazzo. Non dico: fa bene a imparare qualcosa,
per avere uno stipendio e non dover dipendere dal marito. Per come sono
diventate ora le coppie, domani potrebbe finire anche in un divorzio, Dio ce ne
scampi! È importante che non rimanga a piedi. Ma di lauree e dottorati… che se
ne fa?”
“I provvedimenti repressivi nei confronti del terrorismo sono necessari, ma
insufficienti. Senza misure preventive per indebolire i moventi del terrorismo, il
paese legale, la giustizia, sarà costretta a osservare impotente la sua diffusione.
Come è indispensabile la prevenzione nella lotta contro il cancro, non meno
indispensabile è la prevenzione nella lotta al terrorismo.”
Per fortuna, tutto quel che mi hanno detto mia moglie e i miei colleghi mi è
entrato da un orecchio e mi è uscito dall’altro. Ho fatto di testa mia e alla fine si
è dimostrato che avevo ragione. L’unico che mi ha influenzato è stato il preside
del liceo di Caterina, il professor Kalamitis, un letterato con un piede già nella
pensione.
“La mandi all’università, signor commissario” mi aveva detto. “Sua figlia è
una bella testa. Si distinguerà.”
Questo “si distinguerà” ha fatto tutta la differenza. Kalamitis non aveva
detto “Andrà bene agli esami di ammissione” oppure “Ce la farà” o “Si farà
strada”ma “Si distinguerà”. La figlia di uno sbirro che si distingue. E stato allora
che ho deciso di non stare a sentire nessuno e far di testa mia.
“Secondo la candidata, abbiamo diritto alla nostra morte?”
Vedo Adriana che involontariamente si fa il segno della croce mentre Fanis,
che siede da solo in ultima fila, sorride. È
l’unico che non ha pensato di mettersi l’abito buono. Indossa una maglietta
di cotone, jeans e mocassini senza calze. Vede che lo guardo e mi dà una
strizzata d’occhio di incoraggiamento. È
il più calmo di tutti, sia perché è assolutamente convinto che Caterina se la
caverà brillantemente, sia perché, come medico, è abituato a non perdere mai la
calma nei momenti difficili.
“Indubbiamente, la vita di ogni uomo si trova a sua completa disposizione, a
patto che non danneggi terzi e il paese legale.
Il diritto alla morte è il completamento concettuale del diritto alla vita.“
Il presidente si rivolge agli altri membri della commissione.
“Ritengo si possa concludere. Ci sono altre domande?” La maggior parte fa
cenno di no, un paio sussurrano un “no”.
“La candidata si accomodi fuori.”
Caterina si alza dalla sua sedia e va direttamente alla porta, senza guardarsi
né a sinistra né a destra. Adriana a io ci scambiamo sguardi perplessi. Rimanere?
Uscire? Adriana alza le spalle, mentre io mi volto verso Fanis. Mi fa cenno di
restare al mio posto. Davanti al lungo tavolo, i membri della commissione
hanno trasformato la tesi di Caterina in un paravento e si consultano. La
riunione non dura più di dieci minuti, ma a me sembrano trentacinque anni.
Caterina rientra nell’aula, ma ancora una volta evita di guardarci. Resta in
piedi davanti alla commissione.
“Complimenti, signora candidata” le fa il presidente. “Con sei voti a favore e
uno contrario la nomino dottoressa in giurisprudenza con il massimo
punteggio.”
“Si distinguerà, signor commissario” aveva detto Kalamitis, “si distinguerà!”
2.
Torniamo ad Atene con la Fiat Brava di Fanis. Caterina ha voluto che
sedessi davanti per farmi stare più comodo, mentre lei si è messa dietro, con
Adriana, che dormicchia ancora perché ieri sera abbiamo fatto le ore piccole in
una taverna di Kalamarià a festeggiare il dottorato di Caterina a tsìpouro –
grappa – e pesce. Ora sono le dieci del mattino e ci siamo già lasciati alle spalle
Platamonas, perché a mezzogiorno ci aspettano a pranzo i genitori di Fanis, a
Volos. Non li abbiamo più visti da quando erano venuti a casa nostra per le
presentazioni ufficiali.
Adriana ogni tanto socchiude gli occhi e, con una certa inquietudine, si
raccomanda:
“Fanis, caro, non correre così. Ci aspettano a pranzo, non al pronto
soccorso”.
Prima che Fanis possa risponderle, lei è già tornata in letargo, con la testa
che le ciondola, per poi risvegliarsi di lì a poco e ripetere esattamente la stessa
osservazione, che sortisce il medesimo risultato – ben poco. E una cosa che ci fa
saltare i nervi, a me e a Caterina, ma Fanis ha un modo tutto suo di
tranquillizzarla, forse perché non la prende mai troppo sul serio.
“Sta’ tranquilla, signora Adriana” le dice. “Vado giusto a 100 all’ora, ma
siccome sei abituata alla Mirafiori di tuo marito che non supera i 30 ti sembra
che corro troppo.”
“Io non entro mai nella macchina di mio marito, Fanis” replica Adriana.
“Non voglio rischiare di trovarmi a spingerla in mezzo alla strada per dare
spettacolo, alla mia età.”
Sento lo sguardo di Fanis su di me, ma io continuo a fissare la Mercedes 280
Kompressor che corre davanti a noi e taccio, per non mandare al diavolo senza
tanti complimenti la famiglia attuale e quella futura, proprio oggi che è una
giornata da ricordare.
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