La lingua perduta delle gru – David Leavitt

SINTESI DEL LIBRO:
Philip allungò una mano e gli accarezzò la guancia, un gesto che
persino adesso gli sembrava grandioso e terrificante, benché Eliot se
ne accorgesse a malapena. Per lui, simili manifestazioni d'affetto non
erano niente; la sua vita ne era stata piena, buffetti e carezze e baci
casuali, mentre per Philip appoggiare una mano su una guancia era
un gesto di tale portata che doveva essere contato, tesaurizzato,
conservato.
Irradiava potere; esigeva coraggio.
Philip capiva che al mondo c'era gente come Eliot alla quale
amore e sesso venivano facili, senza una sollecitazione attiva, come
un forte vento a cui bastava porgessero il viso perché soffiasse su di
loro. Capiva anche di non essere una di queste persone"
In La lingua perduta delle gru, il suo primo romanzo, David
Leavitt coglie meravigliosamente la passione e la paura di un nuovo
amore. Storia di una famiglia in crisi, di segreti dei genitori e segreti
dei figli, La lingua perduta delle gru è un romanzo in cui ogni
personaggio - padre, madre, figlio - compie un percorso di scoperta e
accettazione.
Con Ballo di famiglia Leavitt è diventato, fra gli scrittori giovani,
il più acclamato dalla critica e il più amato dal pubblico. Per
tenerezza e ironia, visione romantica e precoce esperienza del dolore,
questo romanzo fa definitivamente di Leavitt l'interprete più intenso
e raffinato del nuovo sentimento contemporaneo.
Nato a Palo Alto in California, David Leavitt si è laureato a Yale
nel 1983. I suoi racconti sono stati pubblicati nel "New Yorker" e in
"Harper's" Il suo primo libro, Ballo di famiglia (pubblicato da
Mondadori) è stato l'avvenimento letterario del 1986, e ha avuto otto
edizioni.
Leavitt vive a East Hampton, New York.
Per Gary e in memoria di mia madre.
Vorrei esprimere la mia gratitudine al National Endowment for
the Arts e alla Macdowell Colony, per il loro appoggio che mi ha
aiutato enormemente a portare a termine quest'opera.
Vorrei inoltre ringraziare Lynn Hart che, per prima, mi ha
segnalato il caso del bambino-gru, e il dottor François Peraldi, sulla
cui lucida trattazione del caso apparsa in Psychoanalysis, Creativity
and Literature: A French-American Inquiry (Columbia University
Press, New York, 1978) è basata la mia versione immaginaria.
Verso Barbara Bristol e Andrew Wylie ho un debito di
riconoscenza troppo grande per essere espresso a parole. A loro tutto
il mio affetto e la mia sconfinata ammirazione. Perdonami se leggi
questo...
Vivevo da tanto senza amore, Che non sapevo più cosa pensavo.
James Merrill, "Days of 1964"
Viaggi.
Nel primo pomeriggio di una piovosa domenica di novembre un
uomo scendeva frettoloso lungo la Terza Avenue, superando fioristi
ed edicole chiusi e sbarrati, le mani sprofondate in tasca e la testa
china contro il vento. La strada era deserta ad eccezione di qualche
taxi, che tagliando l'acqua grigia delle pozzanghere la schizzava via in
zampilli. Dietro le finestre illuminate delle case d'appartamento la
gente si stiracchiava, separava le pagine dell'edizione domenicale del
"Times", versava il caffè in tazze di ceramica smaltata, ma in strada
la scena era completamente diversa: un vagabondo coperto da
sacchetti di plastica fradici era raggomitolato nell'androne di un
negozio; una donna con un cappotto marrone si riparava la testa con
un giornale e correva; un paio di piedipiatti i cui walkie-talkie
blateravano voci distorte ascoltavano il pianto di una vecchia di
fronte a un edificio smaltato di rosa. Cosa, si chiese l'uomo, cosa ci
faceva lui, individuo degno e rispettabile, con un appartamento ben
riscaldato, buoni libri da leggere, una macchinetta del caffè, qui fuori
tra questa gente, in mezzo alla strada in una fredda mattina
domenicale? Rise di sé per essersi fatto ancora una volta quella
domanda e proseguì. Qualunque cosa si inventasse, egli sapeva, stava
andando dove stava andando.
Solo qualche isolato più a nord di lì, al dodicesimo piano di un
edificio di mattoni un tempo discretamente bianchi e ultimamente
dipinti di un vistoso azzurro cielo, una donna sedeva a una scrivania,
muovendo pazientemente una matita rossa su un manoscritto.
Percepiva appena il ritmo martellante della pioggia contro la
grondaia mentre l'acqua si riversava a fiotti sulla sua finestra. Le sue
labbra si muovevano senza un suono, ripetendo le parole che aveva
davanti.
Alla televisione, che era accesa ma senza audio, un attempato
dinosauro di un cartone animato zoppicava in un paesaggio grigio
gesso, i capelli uno spazzettone bianco, tra i denti un bastone cui era
legata una cartella.
Ignara del dinosauro, la donna respirava al ritmo della sveglia di
cucina, e la sua matita passava sul manoscritto come una bacchetta
magica, risanando tutto ciò che toccava. Non pensava a suo marito,
che camminava da solo, lottando con gli scrosci di pioggia.
Rose chiamava spesso il suo quartiere, con i suoi grattacieli rosa,
azzurri e rosso vivo, il Middle East. Era in effetti pieno di uomini
dalla pelle scura che portavano occhiali da sole a mezzanotte, di
sceicchi biancovestiti in limousine, di donne nerovelate che
mercanteggiavano con la vecchia e stanca proprietaria della
drogheria coreana. Dove viveva lei, le piaceva spiegare, era troppo a
ovest per essere Sutton Place, troppo a est per essere midtown,
troppo a nord per essere Murray Hill, troppo a sud per l'Upper East
Side. Stando alle piante della città era Turtle Bay, ma Rose, che aveva
il senso dell'esattezza di un revisore di manoscritti, sapeva che Turtle
Bay delimitava soltanto alcune strade laterali illuminate da vecchi
lampioni, con alberi rigogliosi e villette monofamiliari.
Rose e Owen abitavano nella Seconda Avenue vera e propria. La
camera matrimoniale si affacciava su macchine e taxi e sul traffico
stradale. Le sirene ululavano per tutta la notte, cosicché ultimamente
Owen aveva preso l'abitudine di ficcarsi dei tappi di cera nelle
orecchie quando andavano a letto.
Ventun anni prima, quando si erano trasferiti nell'appartamento,
il quartiere era stato il dominio umile e pervicacemente medio
borghese di gente che avrebbe potuto identificarsi con Lucy e Ricky
Ricardo, salvo che non faceva niente di così eclatante come lavorare
in un nightclub. Col passare degli anni il quartiere era divenuto
sempre più ricco. Grazie alla stabilizzazione degli affitti, Rose e Owen
continuavano a pagare l'affitto di un'era perduta mentre il futuro
sdruciolava via davanti a loro, uptown e downtown, sulla Seconda
Avenue.
Nelle loro immediate vicinanze, poco cambiò visibilmente, ma
Rose sapeva che erano i cambiamenti invisibili che alla fine
sarebbero stati i più implacabili.
Da vent'anni Rose faceva il redattore, dotata della rara capacità di
sedere tutto il giorno in un cubicolo, come un monaco in una cella, a
leggere con un rigore quasi penitenziale. In momenti di tensione si
calmava trovando sinonimi: sentire, comprendere, condividere;
infuriarsi, imprecare, perdere la tramontana; addolcire, placare,
calmare. A muoverla era l'istinto di mettere in ordine il mondo,
come, seduta alla sua scrivania, metteva in ordine le frasi,
correggendo anacoluti e sfrondando participi inconseguenti,
sciogliendo nodi e grumi finché la prosa sotto i suoi occhi acquistava
splendore, come una glassa perfetta. La cucina era un altro dei suoi
piaceri. Andava fiera dei cibi che non assomigliavano in nessun
modo ai loro ingredienti: frutti in miniatura fatti di marzapane;
glasse seriche e perfette (grazie alle quali la torta sembrava un
ripensamento, una banalità, una scusa per l'idea) Owen sedeva di
fronte alle torte che Rose faceva e le fissava, con la faccia piena di
una specie di timore reverenziale, perché era cresciuto in una casa
senza glasse, nutrito con asciutte e pesanti torte di noci e plumcake.
Uomo tranquillo, mangiava le torte di Rose con una ferocia di cui la
maggior parte della gente non l'avrebbe sospettato capace.
Avevano un figlio, Philip; aveva venticinque anni, e viveva nel
West Side. C'era una particolare immagine dei suoi genitori che
aveva per lui una specie di carattere primario: Owen e Rose sono
seduti in soggiorno uno di fronte all'altro su sedie a dondolo gemelle
di velluto a coste per comprare le quali una volta avevano affittato
una macchina e si erano spinti fino nel New Jersey. è notte fonda.
Attraverso la fessura sotto la porta della sua camera da letto, splende
la luce di quattro lampadine da cento watt. Non c'è alcun rumore
eccetto il fruscio di pagine girate, di corpi che cambiano posizione, e
di occasionali stiracchiamenti. "Ancora duecento pagine" dice Owen.
Sta leggendo una biografia di Lytton Strachey fittamente glossata.
Poi entra in cucina e apre lo sportello del frigorifero. La torta è lì, la
glassa luccica sotto la lucina che si accende quando si apre lo
sportello, mancano già un paio di fette e il coltello - spalmato di
bianca seta e briciole gialle - è appoggiato sul piatto, accanto al dolce.
Rose lo raggiunge. Toglie il piatto dal frigorifero, lo appoggia sul
bancone di cucina, e affonda il coltello nella sua morbidezza. Lui
resta lì in attesa, inerte, ad osservarla mentre appoggia due fette di
torta nei piattini per il dolce e li porta in tavola. Tutto senza una
parola. Poi si siedono, piazzano davanti a sé i loro libri aperti, e
mangiano.
Un pomeriggio d'autunno, sull'ascensore, Mrs. Lubin - una
vedova che viveva nel palazzo da ancor più tempo dei Benjamin - si
confidò con Rose. Il padrone di casa, lei sospettava, era capace di
oscure perfidie.
Qualche giorno dopo una lettera le confermò le sue peggiori
paure.
L'edificio sarebbe stato trasformato in una cooperativa
condominiale.
Poiché non beneficiavano del blocco degli affitti e avevano meno
di sessantacinque anni, avevano un'opzione per comprare a prezzo
ridotto ma non potevano continuare ad essere dei semplici affittuari.
Naturalmente c'erano state delle voci, dei segni premonitori, e
infine delle lettere; ma sembrava che la cosa fosse stata rimandata
all'infinito, al punto che avevano smesso di credere che potesse
succedere davvero. Adesso era successa. "Possiamo permettercelo?"
chiese Rose a Owen.
Lui si tolse gli occhiali, posò la lettera, e si strofinò gli occhi. "Non
lo so" disse. "Immagino che abbiamo abbastanza denaro, ma
bisognerà che ne parli con un commercialista. Non ho mai pensato di
spendere tanti soldi in vita mia, almeno non da quando Philip è
andato al college."
"Se non altro, abbiamo qualche mese" disse Rose, "prima che
scada l'opzione." Si guardò intorno. Tolto qualche pezzo di mobilia
nuova, e qualche lavoro di tappezzeria, era lo stesso soggiorno in cui
si erano trasferiti ventun anni prima. Sulla moquette, una macchia di
urina vecchia di diciassette anni dimostrava l'esistenza di Doodles, il
cucciolo di un barboncino investito da una macchina quando aveva
soltanto otto mesi. Vivevano lì da tanto tempo che non le sembrava
più neanche un posto.
"Solo le spese condominiali ci costeranno il doppio dell'affitto"
disse Owen. "Eppure, da quel che ho sentito dire, sono piuttosto
basse."
Guardò fuori dalla finestra, "Sai, Arnold Selensky mi ha detto che
ormai una casa su due in questo isolato è diventata una cooperativa."
"Non voglio andarmene" disse Rose.
Come la vecchia Mrs. Lubin, veniva colta dal panico alla
prospettiva di un cambiamento, aveva sentito storie sui padroni di
casa che assoldavano malviventi e buttavano animali domestici dalle
finestre, e temeva di rimanere senza tetto. Naturalmente non tutti la
pensavano così. Il vivace amico di Owen su nell'attico, Arnold
Selensky, ricco e in via di diventarlo sempre di più grazie all'impresa
di noleggio dei video, una sera li invitò a cena, e agitando il suo
bicchiere di cognac attraverso il tavolo di plexiglass, plaudì al
cambiamento.
"Per quanto mi riguarda, io credo nello stare al passo coi tempi"
spiegò. "Quella musica sullo stereo, per esempio. Eurythmics. Non
gli Eurythmics, solo Eurythmics. Bella, no? All'ultimo grido. Anche
quel lettore di compact disk è l'ultimo ritrovato. Il fatto che uno sta
invecchiando non è un buon motivo per perdere i contatti. Ci sono
tante di quelle vecchie in questa casa che si stanno proprio
uccidendo, almeno così mi pare; ascoltano ancora Lawrence Welk."
Rose pensò, vivere nel passato.
Anacronistico. Da vecchie carampane.
"Non c'è futuro negli affitti" disse Selensky. "Invece c'è un bel
futuro nelle cooperative. Pensateci su. Ci capita una buona occasione,
compriamo, vendiamo a tre volte tanto sul mercato libero, ed ecco
che ci possiamo trovare sulla Quinta Avenue. Be, forse non la Quinta
Avenue, ma con ogni probabilità a Park Avenue verso la Trentesima.
O, nel mio caso, Tribeca. Bisogna prendersi un loft, Owen, ecco cosa
bisogna fare. C'è più spazio di quanto tu possa immaginare.
Come vivere in un ranch in città.
Incredibile."
Quella notte Owen si svegliò in un bagno di sudore. "Che ti
succede?" gli chiese Rose. Lui crollò la testa e non volle raccontarle di
aver sognato che tutto gli era scivolato via da sotto i piedi, ed era
stato sbattuto in mezzo a una strada. Nel sogno, non aveva gambe.
Andava su è giù per le carrozze della metropolitana su una pedana a
rotelle, agitando una lattina per l'elemosina. A differenza di Arnold
Selensky, non aveva un lavoro con un futuro. Da dieci anni si
guadagnava uno stipendio decente accertando i sistemi di valore, il
carattere morale e i punteggi dei test di ragazzini i cui genitori
volevano iscriverli alla Harte School, una scuola privata maschile
nella Novantesima Est. Passava le mattinate leggendo lettere di
raccomandazione dei presidi di varie scuole e intervistando ragazzi
dai sette ai dodici anni, e nel pomeriggio teneva una lezione, un
seminario di letteratura rinascimentale con tre studenti brillanti.
Aveva folti capelli brizzolati che portava molto corti, e benché facesse
poco esercizio fisico, aveva un corpo teso come la corda di un violino.
Era come se la sua stessa tensione avesse assunto una forma fisica.
Rose aveva sempre fatto la spesa nella piccola drogheria italiana
sull'angolo, ed anche ora che era diventata una piccola drogheria
coreana continuava a far compere lì.
Ventun anni fa in quel negozio aveva comperato gli ingredienti
per la prima cena cucinata nell'appartamento - un pollo mal cotto
che lei e Owen avevano mangiato su piatti di carta - e lei si era
meravigliata che le verdure potessero essere così fresche, persino a
New York City. Lei e la signora dietro il banco, di cui non aveva mai
saputo il nome, si conoscevano bene; il pomeriggio parlavano di
asparagi; e arrivarono insieme alla mezza età. Un bel girono la
signora cambiò razza; almeno così la vide Rose. Tutto continuò come
prima con la proprietaria coreana. Apparentemente, il loro piccolo
isolato non era affatto diverso da come era sempre stato. Tuttavia,
Arnold Selensky le aveva detto che una casa su due era diventata una
cooperativa. Sembrava un tradimento.
Incominciarono le telefonate. Agenti immobiliari, mediatori,
gente che aveva sentito dire da altra gente che aveva sentito dire da
altra gente. "Mi scusi" diceva la voce. "È vero che c'è un
appartamento di cinque stanze disponibile in questo edificio?"
"No, non è vero."
"Signora, se c'è un appartamento disponibile di cinque stanze in
questo edificio, potremmo esserle utili."
"No, grazie. Arrivederci."
Le telefonate presero ad arrivare sempre più frequenti e sempre
più tardi la sera. Se Owen era a casa, rispondeva bruscamente. Nelle
sere dei giorni feriali, quando Rose tornava dall'ufficio, la segreteria
telefonica era piena di piccole perorazioni.
Una domenica chiamarono diciassette persone. Rose era furiosa.
"Questo appartamento non è disponibile" disse all'ottava chiamata.
"Ci abitiamo noi.
Perché non ci lasciate in pace?"
"Senta, mi ascolti per un attimo" disse la voce. Era esile e nasale.
"Tutto quelle che vorrei farvi sapere è che c'è un cliente che sta
cercando un appartamento nel vostro quartiere, ed è disposto a
pagare una buona cifra. Ma non mi interessa. Sono stufa di essere
strapazzata. Sembra che non sappiate fare altro che gridare e gridare.
Benone. Ne ho abbastanza. Lo pianto questo stupido lavoro. Potrei
guadagnare molto di più facendo qualsiasi altra cosa invece che
queste stupide telefonate. Ho tre bambini e non ho un marito e
siamo accampati con mia madre a Queens. Chiamo la gente come voi
perché devo farlo, per dar da mangiare ai bambini. Non mi diverto
mica. Il minimo che potreste fare è mostrare un po’ di comprensione,
un po’ di simpatia prima di cominciare a strillare."
"Be, mi spiace." Rose scivolò nel senso di colpa. "Però deve capire
anche lei. Ci disturbano in continuazione. Siamo gente tranquilla e..."
"Sono certa che state belli comodi lassù nell'East Side. Però
potrebbe anche non durare molto. Conosco il ritornello. Nati e
cresciuti a New York, e guarda il risultato. Una sberla in faccia."
Rose riattaccò, sbattendo giù il ricevitore. Guardò il telefono. Tra
le molte cose che dava per scontate nell'appartamento, all'improvviso
il telefono le parve molto speciale. Era di una sfumatura di grigio che
non si vedeva più tanto spesso. C'erano degli avvoltoi là fuori, decise,
tornando alla sua poltrona e alla sua lettura; erano aggrappati ai cavi
del telefono, pronti a strappare l'impianto dalla parete, ad abbattere i
muri, a spogliare l'appartamento della sua mobilia e dei suoi ricordi,
a ridipingerlo e a ristrutturarlo per se stessi, senza pensare neanche
un attimo alla vita che era stata interrotta, la vita che era stata gettata
in mezzo alla strada.
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