La città di sabbia – Laini Taylor

SINTESI DEL LIBRO:
Praga, inizio di maggio. Il cielo opprimeva con il suo grigiore i tetti
fiabeschi e tutto il mondo stava osservando. Perfino i satelliti erano stati
incaricati di sorvegliare Ponte Carlo, nel caso in cui i… visitatori fossero
tornati. Strane cose erano accadute in quella città, prima, ma non così strane.
Almeno non da quando esistevano i video per dimostrarle. O per spremerle.
«Ti prego, dimmi che devi fare pipì».
«Cosa? No. No, non devo. Non provare nemmeno a chiedermelo».
«Oh, andiamo. Lo farei io stessa se potessi, ma non posso. Sono una
ragazza».
«Lo so. La vita è proprio ingiusta. Ma comunque io non ho intenzione di
fare pipì sull’ex fidanzato di Karou per te».
«Cosa?! Non te lo avrei mai chiesto». Con il suo tono più ragionevole
Zuzana spiegò: «Voglio soltanto che tu la faccia in un palloncino così io lo
lascerò cadere su di lui».
«Oh». Mik finse di prendere in considerazione la cosa per circa un secondo
e mezzo. «No».
Lei sbuffò sonoramente. «Va bene. Ma tu sai che se lo merita».
L’obiettivo si trovava tre metri di fronte a loro, con la troupe di un
notiziario internazionale a cui stava concedendo un’intervista. Non era la
sua prima intervista. E nemmeno la decima. Zuzana ne aveva perso il
conto. Ciò che rendeva quest’ultima particolarmente irritante era che
venisse condotta sui gradini d’ingresso del palazzo dove abitava Karou:
l’edificio aveva già ricevuto attenzioni più che sufficienti da parte di
svariati organi di polizia e di sicurezza, senza che l’indirizzo venisse
spiattellato a tutti da un telegiornale.
Kaz era intento a farsi un nome come ex fidanzato della “Ragazza sul
Ponte”, così era stata ribattezzata Karou sulla scia dell’eccezionale
baraonda che aveva fatto puntare gli occhi del mondo su Praga.
«Angeli», sussurrò la cronista, che era giovane e graziosa nella tipica
modalità “modella-da–copertina-incontra-assassino” dei giornalisti
televisivi. «Lo aveva mai immaginato?».
Kaz rise. Prevedendolo, Zuzana simulò una risata in sincrono con la
sua. «Cosa? Che veramente esistano angeli, o che la mia ragazza si sia
messa contro di loro?».
«Ex ragazza», sibilò Zuzana.
«Entrambe le cose, credo», disse ridendo la giornalista.
«No, nessuna delle due», ammise Kaz. «Ma c’erano sempre dei misteri
con Karou».
«Per esempio?».
«Be’, lei era incredibilmente riservata. Voglio dire, non sapevo neppure
quale fosse la sua nazionalità, o il suo cognome, sempre che ne abbia uno».
«E la cosa non la disturbava?».
«Naaa, era fico. Una bellissima, misteriosa ragazza! Teneva un coltello
nello stivale e sapeva parlare tante lingue, e disegnava continuamente dei
mostri nel suo…».
Zuzana urlò: «Raccontale di come ti ha scaraventato attraverso la
vetrata!».
Kaz tentò di ignorarla, ma la giornalista aveva sentito. «È vero? Le ha
fatto del male?».
«Be’, non è stata la cosa più bella che mi sia mai accaduta». Battuta con
risata affascinante. «Ma non mi ha fatto del male. È stata colpa mia, credo.
L’ho spaventata. Non ne avevo l’intenzione, ma era stata coinvolta in una
specie di rissa ed era nervosa. Era tutta insanguinata e a piedi nudi nella
neve».
«Che cosa orribile! Le ha detto cos’era successo?».
Zuzana urlò di nuovo: «No! Perché era troppo impegnata a scaraventarlo
sulla vetrata!».
«Era una porta, per essere precisi», disse Kaz, fulminando Zuzana con lo
sguardo. Indicò il portone a vetri alle sue spalle. «Quella porta».
«Questa, proprio qui?». La giornalista era in visibilio. Allungò una mano
e la toccò come se significasse qualcosa, come se la sostituzione del vetro di
una porta, un tempo fracassato dal corpo scagliato di un pessimo attore,
fosse una sorta di simbolo importante per il mondo.
«Ti prego!», disse Zuzana a Mik. «Sta proprio sotto al balcone». Aveva le
chiavi dell’appartamento di Karou, che si erano dimostrate utili per far
sparire gli album da disegno della sua amica prima che gli investigatori ci
mettessero le mani sopra. Karou aveva voluto che lei vivesse lì, ma adesso,
grazie a Kaz, si era trasformato in un circo mediatico. «Guarda». Zuzana
puntò il dito. «È un colpo preciso dritto sulla sua testa. E tu hai bevuto tutto
quel tè…».
«No».
La giornalista si protese avvicinandosi a Kaz. In tono cospiratore disse:
«Allora. Dove si trova lei, adesso?».
«Scherza?!», borbottò Zuzana. «Come se lo sapesse. come se non l’avesse
detto agli ultimi venticinque giornalisti solo perché voleva conservare questa
eccezionale notizia segreta tutta per lei?».
Sui gradini, Kaz si strinse nelle spalle. «L ’abbiamo visto tutti. È volata
via». Scosse la testa come se non riuscisse a crederci e guardò dritto nella
telecamera. Era molto più bello di quanto non meritasse. Kaz faceva
desiderare a Zuzana che la bellezza fosse qualcosa che potesse essere revocata
per cattiva condotta. «È volata via», ripeté, con gli occhi sgranati di finta
meraviglia. Kaz inscenava quelle interviste come fosse una commedia: lo
stesso spettacolo, ripetuto, soltanto con piccole improvvisazioni a seconda
delle domande. Ormai era trito e ritrito.
«E lei non ha alcuna idea di dove possa essere andata?».
«No. Karou partiva in continuazione, spariva per giorni. Non diceva
mai dove andava, ma quando tornava era sempre esausta».
«Pensa che tornerà questa volta?».
«Lo spero». Un altro sguardo pieno di sentimento nell’obiettivo della
telecamera. «Mi manca, sa?».
Zuzana gemette come se avesse una fitta di dolore. «Oooh, fatelo
taceeereee».
Ma Kaz non tacque. Rivolgendosi di nuovo alla giornalista, disse:
«L’unica nota positiva è che posso usare tutto questo nel mio lavoro. La
nostalgia, le domande senza risposta. Ispirerà un’interpretazione più
intensa». In altre parole: abbiamo detto abbastanza su Karou, parliamo di
me.
La giornalista lo assecondò. «Così lei è un attore», tubò, e Zuzana non
ne poté più.
«Io salgo», disse a Mik. «Tu puoi conservarti la tua vescica piena di tè.
Ci penserò io».
«Zuze, che stai…», cominciò Mik, ma era già partita a grandi falcate.
Allora la seguì.
E quando, tr e minuti dopo, un palloncino r osa piombò dall’alto per
atterrare esattamente sulla testa di Kazimir, quest’ultimo ebbe un debito di
gratitudine nei confronti di Mik perché non fu una “vescica piena di tè” che
gli esplose addosso. Era profumo, l’equivalente di parecchie boccette,
mischiato con del bicarbonato per trasformarlo in un bell’impasto
appiccicoso. Si spalmò come un tappeto sui capelli e gli irritò gli occhi, e
l’espressione sulla sua faccia fu impagabile. Zuzana lo sapeva perché,
sebbene l’intervista non fosse in diretta, la rete decise di mandarla in onda.
All’infinito.
Era una vittoria, ma vana: quando compose il numero di Karou, per la
86.400ª volta, le rispose la segreteria telefonica e Zuzana capì che il
cellulare era scarico. La sua migliore ami - ca era scomparsa, forse in un
altro mondo, e nemmeno vedere ripetutamente Kaz che boccheggiava,
incoronato da un impiastro colloso di profumo e brandelli di palloncino
rosa, poteva farla stare meglio.
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